Immigrazione, Medu: niente Ebola, ma condizioni di vita disumane
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Immigrazione, Medu: niente Ebola, ma condizioni di vita disumane

Nell’ultimo anno, l’arrivo di 150mila migranti è stato spesso oggetto di informazioni fuorvianti e di strumentalizzazioni da parte di non poche forze politiche.

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11 Novembre 2014 - 13.48


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Nel suo ultimo dossier “I sommersi e i salvati” Medici per i Diritti Umani (Medu) smentisce queste posizioni, descrivendo una realtà molto diversa e ben più complessa. E fatta di storie drammatiche di persone sopravvissute a una violenza indicibile e i cui diritti più elementari spesso non vengono ancora riconosciuti, una volta attraversato il Mediterraneo, sul suolo italiano ed europeo.

Roma, insieme a Milano, rappresenta la principale tappa nella penisola per le migliaia di profughi diretti verso i paesi dell’Europa del Nord. Sono 258, tra cui 34 donne e 45 minori, i migranti forzati provenienti dal Corno d’Africa che hanno ricevuto assistenza medica dalla clinica mobile di Medu nel periodo giugno-ottobre 2014 in baraccopoli ed insediamenti precari di Roma. Tutti hanno attraversato il Sahara, si sono imbarcati in Libia e hanno subito qualche forma di grave deprivazione o violenza nei paesi di transito.

Per questo nel dossier Medu chiede alle istituzioni che nella capitale d’Italia vengano garantite adeguate misure di accoglienza ai migranti che raggiungono l’Europa via mare, con particolare riguardo ai gruppi più vulnerabili. Con la chiusura dell’operazione Mare Nostrum rischia di aggravarsi ulteriormente la situazione umanitaria nel Canale di Sicilia con un ulteriore aumento delle vittime del mare. L’Italia, l’Unione europea e la comunità internazionale sono chiamate sia ad assicurare efficaci operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo sia ad adottare misure che consentano a chi fugge da guerre e persecuzioni la possibilità di accedere alla protezione internazionale senza rischiare costantemente la propria vita.

Le testimonianze. Lunedì 3 novembre, la clinica mobile di Medu, con a bordo medici e operatori volontari, è tornata, come di consueto negli ultimi mesi, presso il grande stabile di via Collatina, occupato dal 2004 da circa cinquecento rifugiati provenienti dal Corno d’Africa, in particolar modo dall’Eritrea e dall’Etiopia. “E’un’isola, lo stabile di Collatina, all’estrema periferia orientale della città di Roma, popolata dai salvati, e dalle storie dei sommersi, quelli che in Europa non sono mai arrivati – spiega il dossier –Dall’inizio dell’anno, oltre agli abitanti abituali, è possibile incontrare molti migranti in transito: donne, uomini e bambini originari del Corno d’Africa, sbarcati da pochi giorni sulle coste meridionali del nostro paese.

Si tratta di persone per cui l’Italia è nella maggior parte dei casi un luogo di passaggio obbligato per poter raggiungere altre destinazioni nell’Europa del Nord”. Roma è dunque la tappa di un viaggio che parte da paesi come l’Eritrea, governata da una dittatura militare (la leva militare dura per gli uomini dai 16 ai 60 anni e per le donne fino a 50 anni). “Ho assistito all’uccisione di due miei connazionali presso un centro di raccolta in Libia: uno è stato cosparso di benzina e incendiato vivo perché affetto da scabbia, un altro è stato colpito a morte con un attrezzo agricolo” racconta G. eritreo di 23 anni visitato a settembre dai medici di Medu a Roma.

Sequestrati dai miliziani delle diverse fazioni in lotta, utilizzati come “ausiliari” negli scontri armati, costretti a trasportare armi, detenuti in carceri o in strutture informali di detenzione, privati di cibo e sottoposti a violenze e torture, i migranti affrontano il tratto di mare che li separa dall’Europa con la speranza di chiedere asilo politico e ottenere protezione. La traversata, gestita da organizzazioni criminali, avviene a bordo di imbarcazioni precarie e stipate all’inverosimile.

Ma non tutti ce la fanno. “Di tutto il viaggio, il tratto più rischioso è stato quello al confine tra Sudan e Libia, quando abbiamo attraversato il deserto. Avevamo solo una bottiglia di acqua a testa e quasi niente da mangiare. Eravamo tutti ammassati sullo stesso pick up che viaggiava a gran velocità. Alcune persone sono cadute, ma le hanno lasciate lì… Abbiamo impiegato quattro giorni per attraversare il confine tra Sudan e Libia.”, racconta Y. (Eritrea), 20 anni, in Italia da una settimana, quando gli operatori di Medu lo incontrano a settembre.

Ciascuno di questi migranti avrebbe diritto a presentare domanda di asilo politico e a ricevere protezione – spiega ancora il dossier -. Ma l’Italia per molti dei migranti forzati sbarcati nell’ultimo anno, in particolare siriani ed eritrei, non rappresenta la destinazione finale del viaggio. I profughi tentano infatti di raggiungere altri paesi, in particolare la Germania e la Svezia, dove trovano spesso ad attenderli familiari e conoscenti, un sistema di accoglienza dignitoso e migliori opportunità di lavoro e di inserimento sociale”.

Il passaggio nella penisola italiana, avviene però in condizioni assai critiche, spesso senza poter accedere, neanche nel caso dei più vulnerabili, ad alcun servizio di assistenza e/o accoglienza. Se a Milano il Comune, con il sostegno della Prefettura, ha predisposto delle strutture di accoglienza che da ottobre 2013 a settembre 2014 hanno ospitato temporaneamente 43mila migranti in transito – per lo più siriani ed eritrei -, lo stesso non è accaduto a Roma, dove migliaia di profughi eritrei nel corso del 2014 hanno trovato come unica accoglienza quella prestata dai connazionali all’interno di già sovraffollati edifici occupati e insediamenti precari.

Così l’edificio di Selam Palace, occupato da anni da oltre seicento rifugiati etiopi, eritrei, somali e sudanesi, è arrivato nel corso dell’anno ad ospitare in media oltre mille persone al giorno, aprendo le porte a uomini, donne e bambini sbarcati da pochi giorni, se non addirittura da poche ore. La “Comunità la Pace” di Ponte Mammolo, storico insediamento di baracche abitato da circa ottanta rifugiati eritrei, è arrivata ad accogliere nei momenti di maggior afflusso nei mesi di luglio e agosto oltre duecento connazionali al giorno in arrivo dalle coste siciliane e diretti verso il Nord Europa.

In entrambi gli insediamenti, come anche nell’edificio di Collatina, i nuovi arrivati – compresi nuclei familiari con bambini piccoli – hanno trascorso e trascorrono giorni o settimane in condizioni estremamente critiche, condividendo i pochi materassi e i già insufficienti servizi igienico sanitari, senza poter disporre dei beni di prima necessità e a volte anche di pasti regolari, stipati nei garage degli edifici occupati, in baracche sovraffollate, o addirittura nelle aree parcheggio, come nel caso di Ponte Mammolo.

Nessun allarme Ebola. Secondo il rapporto i migranti presentano il quadro sanitario di una popolazione giovane con problemi di salute legati, nella gran parte dei casi, alle pessime condizioni alloggiative ed igienico-sanitarie in cui sono costretti a vivere in Italia, alle condizioni estreme del viaggio oppure alle torture e ai trattamenti inumani e degradanti subiti nel proprio paese o durante il tragitto per raggiungere l’Europa.

“In Libia ho vissuto per più di due mesi in una piccola casa, con altre trecento persone circa, tra uomini e donne, divisi da una parete sottile. Ogni giorno venivamo picchiati con un tubo dell’acqua con all’interno un filo di ferro, finché non siamo riusciti a pagare il costo della traversata”, spiega H., (Eritrea), arrivato a Roma da poche ore e in Sicilia da qualche giorno, mentre un medico del team di Medu gli chiede la ragione della profonda ferita che gli attraversa la schiena. In tutto sono stati 283 i pazienti stranieri visitati da Medu presso gli insediamenti di Ponte Mammolo e Collatina dal mese da giugno a ottobre 2014. Tra di essi vi erano 258 migranti eritrei dei quali il 96 per cento era giunto in Italia da meno di un mese (in media da 10 giorni) e il 93 per cento ha dichiarato di essere diretto verso altri paesi europei.

Tra i pazienti eritrei il 70 per cento era rappresentato da uomini, il 13 per cento da donne e il 17 per cento da minori d’età tra cui cinque bambini con meno di 5 anni. L’età media complessiva è risultata essere di 24 anni. La totalità dei migranti eritrei è giunta in Italia imbarcandosi in Libia e ha subito qualche forma di grave deprivazione o violenza nei paesi di transito. Per questi pazienti la maggior parte dei sospetti diagnostici rilevati sono da riferirsi alle critiche condizioni di vita affrontate in Italia e durante il viaggio e la permanenza in Libia: infezioni della pelle, infezioni respiratorie acute, lesioni e ferite cutanee, traumatismi.

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