Grandi Rischi, «Molte vite si sarebbero potute salvare»
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Grandi Rischi, «Molte vite si sarebbero potute salvare»

Processo Grandi Rischi. Il giudice Marco Billi afferma: «Sulla corretta analisi del rischio andava calibrata una corretta informazione». I vertici della Commissione sapevano.

Grandi Rischi, «Molte vite si sarebbero potute salvare»
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10 Ottobre 2014 - 10.18


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Chiusero i loro saperi in un cassetto. E rassicurarono gli aquilani sulla base di valutazioni «approssimative, generiche e inefficaci».

Mentre con una corretta analisi del rischio «si sarebbero potute salvare vite». E’ il «cuore» della motivazione del processo contro i vertici della commissione Grandi Rischi, riunita a L’Aquila il 31 marzo 2009, pochi giorni prima del devastante terremoto del 6 aprile, condannati in primo grado a 6 anni per omicidio colposo e lesione colpose. Nelle 940 pagine delle motivazioni il giudice del Tribunale dell’Aquila, Marco Billi, chiarisce: non fu un «processo alla scienza», «…pacifico che i terremoti non si possono prevedere». «Sulla corretta analisi del rischio andava calibrata una corretta informazione».

«Invece si minimizzò lo sciame sismico in corso, inducendo alcune delle vittime a rimanere a casa anche dopo la prima scossa».

La migliore indicazione sulle rassicurazioni della commissione, si legge nelle motivazioni della sentenza di primo grado – si ricava dalla lettura della frase finale della bozza del verbale della riunione, laddove l’assessore alla Protezione civile regionale Daniela Stati, in modo emblematico, dice: «Grazie per queste vostre affermazioni che mi permettono di andare a rassicurare la popolazione attraverso i media che incontreremo in conferenza stampa».

Billi sottolinea che «la rassicurazione non costituisce un segmento della condotta che il pm contesta agli imputati, ma costituisce in realtà l’effetto prodotto dalla condotta contestata».

Le affermazioni emerse nel corso della riunione della Commissione sui temi della prevedibilità dei terremoti, dei precursori sismici, dell’evoluzione dello sciame in corso, della normalità del fenomeno, dello scarico di energia indotto dallo sciame sismico quale situazione favorevole, che costituiscono il corpo principale del capo di imputazione, hanno una indubbia valenza rassicurante. Insomma sempre secondo il giudice Billi – non è stato un processo alla scienza che non è riuscita a prevedere il terremoto del 6 aprile 2009.

«Il compito degli imputati, quali membri della commissione medesima, non era certamente quello di prevedere (profetizzare) il terremoto e indicarne il mese, il giorno, l’ora e la magnitudo, ma era invece, più realisticamente, quello di procedere, in conformità al dettato normativo, alla previsione e prevenzione del rischio».

Quello del processo alla scienza è stato il più discusso durante tutta la vicenda e ha generato polemiche tra le istituzioni e sui media in Italia e nel mondo.

«E’, dunque, pacifico – prosegue Billi – che i terremoti non si possano prevedere, in senso deterministico, perché le conoscenze scientifiche (ancora) non lo consentono; ed è altrettanto pacifico che i terremoti, quale fenomeno naturale, non possono essere evitati: il terremoto è un fenomeno naturale non prevedibile e non evitabile. Per gli stessi motivi nessuno e’ in grado di lanciare allarmi, scientificamente fondati, circa una imminente forte scossa».

Proprio sulla corretta analisi del rischio andava, di pari passo, calibrata una corretta informazione – continua il giudice Billi.

«L’affermazione secondo cui il terremoto è un fenomeno naturale non prevedibile e non evitabile – spiega nelle motivazioni – costituisce, infatti, solo la premessa dei compiti normativamente imposti agli imputati poiché, per quanto previsto dalla legge e per quanto richiesto dalla loro qualità e dalle funzioni della commissione da essi composta, il giudizio di prevedibilità/evitabilità, su cui si basa la responsabilità per colpa contestata nel capo di imputazione, non andava calibrato sul terremoto quale evento naturale, bensì sul rischio quale giudizio di valore».

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