Radha. Le radici della violenza sessuale in India
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Radha. Le radici della violenza sessuale in India

Quando si parla di violenze, di ogni tipo, i dati numerici diventano rapidamente quantità astratte, formano uno schermo tra il concetto che ci formiamo e la realtà.

Radha. Le radici della violenza sessuale in India
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9 Febbraio 2014 - 16.07


ATF

Perciò
da sola a mezzanotte


Radha
va alla sua altalena,


un
capo del sari legato a una ramo di dalim


l’altro
capo attorno al suo collo


Radha
è sospesa.




Cigolando
nella notte silente


Radha
dondola




Namita
Chaudhuri, “
Radha
swings
i

di
Piero Pagliani
.

1.
Premessa

Calcutta
è probabilmente la metropoli più sicura dell’India. In tanti anni
che la frequento, gli unici consigli sulla sicurezza che mi hanno
dato i miei amici kolkattiani sono stati di stare attento durante la
Durga Puja
alle bande di ragazzi che con la scusa di raccogliere denaro per la
popolarissima festa cercano di spillare soldi, a volte in modo un po’
aggressivo, e ai furbacchioni che bazzicano il tempio di Kali e
chiedono con insistenza non tanto gradevole cospicue donazioni per la
dea (cioè per loro stessi). Un moderato “
warning
anche per la visita agli
slum,
dove però è ben raro che vi succeda qualcosa.

Calcutta non
è
la metropoli più
sicura dell’India per le donne. I casi di violenza sessuale, anche
su bambine piccolissime, riportati sui media nazionali indiani o a
volte solo locali sono troppi, benché “troppi” nasconda la
semplice verità che
anche
un solo caso è troppo
.
Quando si parla di violenze, di ogni tipo, i dati numerici diventano
rapidamente
quantità
astratte
, formano uno
schermo tra il concetto che ci formiamo e la realtà, nascondendo che
rappresentano
singoli
esseri umani
ognuno coi
propri sogni, la propria vita, i propri affetti, la propria voglia di
vivere. Quindi dire che un caso di stupro è troppo non è
un’affermazione pateticamente idealistica. E’ invece
quanto
di più concreto si possa dire
.

Anche i nostri media hanno
recentemente dato risalto al caso di una ragazzina di dodici anni
morta a Capodanno per le ustioni dopo essere stata
violentata
in gruppo e data alle fiamme

nella municipalità di Madhyagram, un sobborgo della capitale
bengalese. Era incinta, perché lo stesso gruppo l’aveva già
stuprata tempo prima. L’atroce violenza che l’ha uccisa è stata
una vendetta perché questa coraggiosa giovane studentessa aveva
denunciato i suoi aggressori. Sono stati arrestati da quella Polizia
che in precedenza si era rifiutata di proteggere la ragazza. Ora
rischiano la pena capitale. E’ ben difficile che la evitino dopo la
sentenza che ha condannato a morte gli assassini violentatori della
studentessa universitaria a Delhi, proprio un anno fa. Può essere
che scampino al capestro perché in India le esecuzioni sono
rarissime, ma non ci giurerei: l’
esasperazione
dell’
opinione
pubblica
indiana,
di cui parleremo tra poco perché è un elemento chiave per capire
cosa sta succedendo, sta creando forti pressioni sul governo centrale
e quelli locali.

Essendo stato già denunciato, il
branco di violentatori poteva essere certo quasi matematicamente che
l’arresto e la probabile condanna a morte sarebbero stati la
conclusione. Eppure l’hanno fatto lo stesso, cosa che conferma
quanto avevano già rivelato le inchieste sui condannati a morte
negli Stati Uniti: chi commette un crimine come questo non pensa in
quel momento alle conseguenze. Per cui la vendetta di Stato è del
tutto inutile come deterrente. E purtroppo la scorsa settimana
un’altra ragazza è stata violentata a Calcutta da un gruppo di
uomini che hanno circondato il bus su cui viaggiava dopo il lavoro.
Si trova ora in gravissime condizioni all’ospedale.

Calcutta non è Delhi, considerata
da alcuni la capitale mondiale degli stupri con il 17% di tutti i
casi registrati in India. Ma i segnali che si è oltrepassato un
limite ci sono tutti.

2.
L’entità del fenomeno

Secondo
alcune stime in India avviene uno stupro ogni 22 minuti e le
statistiche, riguardanti solo i casi denunciati, dicono
impietosamente che il trend è drammaticamente in crescita:

Non siamo ancora ai livelli
statunitensi. I dati Onu affermano che negli Usa nel 2010 ci sono
stati
84.767 stupri, cioè
27,3 casi ogni 100.000 abitanti, mentre in India sono 1,8
ii.
Tuttavia un sondaggio della Thomson Reuters definisce
l’India
il quarto Paese al mondo più pericoloso per le donne e il peggiore
del G20
. A qualificare
l’India in questo modo così cupo non sono quindi solo gli stupri
ma tutto un quadro di
violente
discriminazioni di genere

che trovano le forze di polizia compartecipi e la magistratura troppo
spesso tollerante. Basti pensare che in tutto il 2012 solo una
persona è stata incarcerata per stupro a Delhi e con una ridicola
sentenza di tre anni. Una situazione che ha obbligato il premier
Manmohan Singh a dichiarare che
l’atteggiamento
della Polizia nei casi di stupro è da considerare
completely
unacceptable
e a minacciare duri provvedimenti
.

In India il genere femminile è
soggetto a un repertorio di violenze e di

discriminazioni rabbrividente che lo accompagna dal concepimento alla
morte con cifre per le quali si fa fatica a trovare l’aggettivo
giusto. Si stima che più di due milioni di donne manchino alla conta
ogni anno in India. Si inizia dall’utero con la piaga degli aborti
selettivi, per continuare con l’infanticidio femminile, le
discriminazioni nelle cure mediche e quelle nella dieta
iii.
Poi occorre considerare i matrimoni precoci e le gravidanze
adolescenziali. Infine il quadro delle violenze non può dimenticare
la subordinazione tradizionale della dignità della donna al suo
essere moglie e soprattutto madre (specie se di maschi) e le
aggressioni con l’acido. Sto solo sintetizzando report medici,
economici e statistici
iv.

Gli stupri e il femminicidio
si inseriscono in questo quadro di violenze di genere.

3.
Le cause sociali

Il
discorso sulle cause sociali è straordinariamente intricato.
Scontando inevitabili approssimazioni, si può iniziare richiamando
l’attenzione sul fatto che quando si parla di India si parla di una
società complessissima scossa nelle fondamenta di un ordine arcaico,
ingiusto, spesso feroce, ma che garantiva la coesione sociale. Non è
una contraddizione. E’ sempre stato così, perché i vecchi ordini,
pur nella loro iniquità, erano inclusivi, mentre è il capitalismo
ad essere escludente
v.
Tuttavia la sovrastruttura culturale del vecchio ordine non è
scomparsa nel nulla. Troppo alta la sua
viscosità
e troppo veloci i processi di cambiamento. Così si è
scontrata-combinata con le nuove dinamiche e le nuove mentalità,
dando vita a quel “
doppio
movimento
” analizzato
da Karl Polanyi, che oscilla tra gli opposti attrattori della libera
espansione del mercato, da un lato, e delle sue limitazioni messe in
atto della società, dall’altro, e che in India, in modo forse più
chiaro che in altri posti, assume la forma di una sorta di
andirivieni tra il futuro e il passato, tra il progresso e la
tradizione
vi.
Ne è prova macroscopica quel periodico ritorno di consensi per il
Bharatiya
Janata Party
(il partito nazionalista indù), che contraddistingue l’India a
partire dalle “riforme” liberiste avviate all’inizio degli anni
Novanta, quasi venisse espressa la necessità di rifugiarsi in
fedeltà
premoderne
per sfuggire al continuo spiazzamento provocato da un sistema che
progredisce
tramite successive crisi di tutte le dimensioni sociali
vii.

In contrasto con la previsione di
Marx, le caste non sono state soppiantate dalle classi (cosa che
avrebbe semplificato gli schemi sociali), ma le differenze di classe
si sono intrecciate con quelle di casta, coi comunalismi etnici e
religiosi e quindi con le antiche discriminazioni di genere
producendo una miscela esplosiva dalle mille sfaccettature,
premoderne e moderne, che provoca devastazioni anche dove prima
sarebbe stato quasi impensabile. L’India “troppo statica”
denunciata da Jawaharlal Nehru è corsa dietro a quella qualità che
lo stesso Nehru reputava che gli Inglesi, i suoi dominatori, avessero
“persino in eccesso”: una mentalità dinamica. Lo ha fatto
incurante dei moniti di Gandhi. E le antiche contraddizioni, non
risolte, sono state trascinate da questa stessa dinamica oltre i
propri tradizionali territori e confini.

La tradizionale violenza di genere
si esprimeva lungo le storiche gerarchie e fratture sociali:
gli uomini delle caste alte contro le donne delle caste basse,
gli uomini indù contro le donne tribali e quelle musulmane,
gli uomini musulmani contro le donne indù.

Questo tradizionale humus non è
stato estirpato ma si è “evoluto” inglobando nuove
contraddizioni e generando nuovi conflitti. Ad esempio in alcune
regioni del Paese si ha l’impressione che i maschi delle caste alte
siano quasi letteralmente
prigionieri
dei propri pregiudizi
di
modo che non hanno alcuna possibilità di rapportarsi, se non con
rancore, alla mobilità sociale promossa dalla modernità e di cui
fruiscono i
Dalit,
gli intoccabili. E questo rancore si sfoga non di rado in modo
violento
viii.

I recenti stupri a Delhi di donne
europee di diversa età sono altri indici che la violenza di genere
sta rompendo i tradizionali schemi e diventando un’emergenza
sociale di carattere generale. Poiché prima questo odioso tipo di
crimine era inserito in schemi interpretabili che si riferivano a
relazioni sociali o politiche specifiche, in linea di principio era
pensabile che potesse essere contrastato con una logica opposta,
anche se con difficoltà. Oggi schemi nuovi interagiscono con
quelli antichi e il drammatico problema che ne nasce deve essere
riconsiderato alla radice. La reazione dei governanti è stata invece
quella classica di inasprire le pene, ma è sotto gli occhi di tutti
che così non se ne esce. Occorre altro.

4.
La storia recente. Lo stupro come arma di repressione e la nuova
coscienza femminile indiana

L’atrocità
commessa sulla ragazzina di
Madhyagram
mi ha riportato alla mente
un caso di cui mi ero occupato da vicino. Tapasi Malik era una
ragazza sedicenne che si era distinta nella lotta che opponeva i
contadini agli espropri dei loro terreni a Singur, decisi dall’allora
governo del Fronte delle Sinistre a favore di una costruenda fabbrica
di automobili della Tata Motors. Il
18
Dicembre del 2006
, Tapasi fu
rapita, violentata in
gruppo e bruciata viva
.
La Polizia parlò senza pudore di “suicidio”, ma il
Central
Bureau of Investigation

(l’Fbi indiana), chiamato a indagare dai contadini, arrestò per il
crimine un militante del Partito Comunista Indiano (Marxista), o CPM,
e il segretario zonale di questo partito,
Suhrid
Dutta
. Entrambi furono
condannati all’ergastolo nel 2008 ma Dutta fu rilasciato diciotto
mesi dopo con un’ordinanza dell’Alta Corte di Calcutta.

Se quindi la vicenda rimane ancora
aperta giuridicamente, tuttavia i motivi politici di quel crimine
sono stati stabiliti oltre ogni ragionevole dubbio.

Una lotta ancor più drammatica
oppose in quel periodo il CPM ai contadini di Nandigram, sempre a
causa di politiche di esproprio, in questo caso a favore di una
multinazionale chimica indonesiana. Tra il 14 e il 16 marzo del 2007,
la
Central Reserve Police
Force
(CRPF)
fiancheggiata da militanti del CPM espugnò i villaggi di Nandigram
utilizzando le armi da fuoco. Quattordici persone furono uccise.
Durante l’attacco avvennero molti casi di stupro e di orribili
torture di carattere sessuale anche ai danni di bambine (
qui
l’inchiesta indipendente e
qui
un documento filmato).

Queste violenze purtroppo si
inseriscono in una ben radicata e orrenda tradizione politica che ha
avuto modo si manifestarsi in tutta la sua crudezza durante la
rivolta naxalita
iniziata nel 1967 e finita all’incirca dieci anni dopo in un bagno
di sangue; o meglio, finita nella sua forma classica, poiché è
riemersa dopo alcuni anni sottoforma di una guerriglia maoista che
attualmente investe circa il 40% dell’India.

Durante la rivolta naxalita la
macchina repressiva dello Stato si macchiò di
numerose
nefandezze anche di carattere sessuale
,
come lo stupro di donne in custodia, di contadine povere, di donne
delle caste inferiori, di musulmane e infine di donne tribali
ix.

Ma la
coscienza sociale e civile degli strati medi urbani della popolazione
stava evolvendosi
grazie
anche all’influenza ideologica dei Naxaliti che forse per la prima
volta era riuscita a tessere un legame politico e culturale tra i
ceti urbani e quelli contadini e quindi a incrinare, se non proprio a
rompere, lo schermo che separava quei due mondi.

Non è una novità che una stagione
soggettivamente rivoluzionaria abbia come esito non la rivoluzione ma
un radicale cambiamento di costumi e di mentalità. E’ avvenuto
così anche col nostro Sessantotto,
si
parva licet
. Questo
cambiamento in India costituì un fatto decisivo, perché crimini che
sarebbero rimasti invisibili e denunce che sarebbero state
inascoltate furono affrontati da un ceto medio urbano in espansione,
propenso a lasciarsi alle spalle le arretratezze di un mondo chiuso e
statico e ciò che appariva essere il loro frutto avvelenato. Uno
strato di popolazione determinato a non tollerare più le violenze
sulle donne in sé e il loro
utilizzo da parte di uno Stato percepito come liberticida.

Questa nuova mentalità non poteva
che essere fortemente scossa dal
caso
Mathura
.

Mathura
era una tribale minorenne che era stata violentata da due
poliziotti
in una stazione di polizia nel 1972. Il suo caso era
stato assunto da un avvocato dei diritti civili ma la sentenza, dopo
tre gradi di giudizio compresa la Corte Suprema dell’India, fu che
Mathura era una ragazza di costumi facili e che i rapporti sessuali
erano stati consenzienti.

La sentenza indignò l’opinione
pubblica progressista di un’India che si era da poco ripresa
dall’
Emergency Rule,
che per 21 mesi, dal 26 giugno 1975 al 21 marzo 1977, aveva permesso
un governo autoritario e la sospensione delle libertà civili
x.

Ne nacque una campagna contro la
violenza sessuale che nel 1980 pretese la revisione della Rape Law
e la riapertura del caso Mathura. Fu in quel periodo che il
movimento per i diritti delle donne assunse un carattere
nazionale. Nel 1983 il Lok Sabha (la Camera dei Deputati)
approvò finalmente la revisione della legge con il Criminal Law
Amendment
.

5.
Cosa cambiò in realtà?

I
movimenti femminili avevano richiesto che nell’emendamento fossero
compresi i casi di violenza domestica. Ma la richiesta non fu accolta
perché il governo non voleva scontrarsi con la diffusa opinione che
un marito aveva ogni diritto di pretendere rapporti sessuali dalla
moglie. Non era un rifiuto secondario, perché così
non
si riconosceva l’esclusivo diritto della donna sul proprio corpo
.
In altri termini non veniva intaccata la mentalità dello stupro ma
si operavano puri aggiustamenti legali, come avevano immediatamente
denunciato le militanti dei diritti umani e civili.

Ancora recentemente Chidambaram
Palaniappan, in qualità di ministro dell’Interno (ora è alle
Finanze), ha ribadito che il concetto di “
marital
rape
” è troppo
controverso in una società conservatrice come l’India e richiede
la costruzione di un più largo consenso. Come se non bastasse ha
aggiunto che il governo non è pronto ad accogliere la richiesta di
cancellazione dell’attuale impunità che grazie all’
Armed
Forces (Special Powers) Act

(AFSPA) del 1958 è goduta dalle forze di sicurezza riguardo agli
stupri e alle altre aggressioni sessuali che esse compiono nelle aree
di conflitto. Un’affermazione contraria al codice penale indiano e
che lascia di sasso perfino se pronunciata da colui che ha lanciato
l’Operazione
Green Hunt,
cioè la repressione senza quartiere della guerriglia maoista.

Per certi versi c’è del vero,
come si è visto, nel fatto che la società indiana nel suo complesso
farebbe fatica ad accettare l’idea che una donna possa rifiutarsi
di avere rapporti sessuali col marito. Le considerazioni da fare qui
sono molteplici. La prima è che un governo sempre pronto ad assumere
provvedimenti economici impopolari si blocca davanti alla vera o
presunta impopolarità di un’iniziativa di
vera
emancipazione
, quasi
sicuramente per il timore di perdere la concorrenza con
l’ultraconservatore BJP. La seconda è che, ancora una volta,
“progresso” non si identifica con “emancipazione”. Molti
osservatori si sono dichiarati sorpresi che la mentalità dello
stupro operi non solo nella vecchia India rurale ma anche nei centri
dell’
high-tech
e della vita cosmopolita. Ma che diavolo significa questa sorpresa?
Si dimenticano le allarmanti statistiche riguardo gli Stati Uniti?
Come abbiamo visto,
la
modernizzazione agisce addirittura da moltiplicatore, da estensore
della mentalità dello stupro
.
La terza considerazione è apparentemente in diretto contrasto con
quanto appena detto. Gli anticorpi contro questa situazione (in India
come da noi) non sono ricercabili nel passato ma devono procedere dal
presente. Il Medioevo non è certo preferibile alla modernità pur
con tutte le ambiguità di quest’ultima. Il punto è proprio il
disambiguamento, ovvero la capacità di lasciare l’idea di
“progresso” alla modernità e usare quanto essa ci offre per
evolverci verso un processo di emancipazione. Prima, ovviamente,
dobbiamo fare i conti con la differenza tra i due concetti
xi.
E’ un discorso lungo e per ora mi limiterò a illustrare perché in
India questi problemi sono dilatati e quindi forse ancora più
espliciti.

6.
La modernità, la classe media e la lotta di emancipazione

Secondo
Vipul Mudgal, studioso di mass-media
del
Centre for the Study of Developing Societies
,
il caso della studentessa di Delhi uccisa l’anno scorso «
ha
scosso la coscienza della classe media indiana come mai prima
»
dando ad essa la parola.

La classe media è composta da 270
milioni di persone e per la fine del decennio dovrebbe arrivare a
poco meno di 400 milioni e i mass-media si sviluppano in parallelo e
in connessione con essa. Attualmente in India ci sono 800 canali
televisivi di cui 300 sono notiziari a tempo pieno. Si vendono
quotidianamente 330 milioni di copie di giornali e ci sono 65 milioni
di utenti Facebook e 35 milioni di account Twitter.

Tutto ciò sposta radicalmente i
calcoli elettorali e fa della classe media, che comunque non è
omogenea ma stratificata, un forte gruppo d’opinione e di
pressione
xii.
Al di fuori di essa ci sono 800 milioni di persone che hanno bisogno
di assistenza alimentare
xiii.

La classe media ha espresso negli
ultimi anni un crescendo attivismo sociale specialmente contro la
corruzione degli organi statali, compresa la Polizia. Un attivismo
che comunque riflette le
ambivalenze
politiche e valoriali della classe media
.
Il recentissimo straordinario
successo
dell’
Aam
Aadmi

Party

(paragonabile al nostro Movimento 5 Stelle) a spese di partiti come
il BJP e il
Congress
(paragonabili ai nostri centrodestra e centrosinistra anche se con
fenomeni esasperati come conviene alle dimensioni di questo Paese)
indica che oltre a quella sociale si sta “modernizzando” anche la
configurazione politica dell’India. Questo cambiamento culturale –
di cui uno dei più potenti motori è il notevole aumento di donne
che lavorano e quindi sono consapevoli della propria autonomia – ha
mutato il modo di percepire il fenomeno della violenza di genere.

Ma anche qui opera la dialettica
progresso-emancipazione
di cui si parlava prima.

Nonostante nel 1983 la Corte Suprema
abbia decretato che la pena capitale debba essere applicata ai “più
rari dei casi rari”, la reazione del governo alle pressioni seguite
allo scempio di Delhi è stata quella di promulgare un nuovo
Criminal
Law (Amendment) Act

che oltre ad altri provvedimenti per contrastare la violenza sulle
donne (
stalking,
molestie,
voyeurismo,
aggressioni con l’acido), inserisce nel Codice Penale Indiano la
sezione 376A che prevede fino alla pena di morte per gli stupri che
hanno come esito una vita vegetativa permanente o la morte della
vittima. L’emendamento è entrato in vigore il 2 aprile del 2013 ma
era stato preceduto da un’ordinanza dal presidente indiano Pranab
Mukherjee, promulgata proprio alla luce del fatto di Delhi.

Il governo è stato però accusato
di avere evitato nuovamente la discussione sulla violenza domestica
(riconosciuta solo come delitto civile e non penale, in base a una
legge del Raj britannico del 1860) e di non avere emendato il
famigerato AFSPA (vedi sopra).

Altri critici hanno fatto notare che
qualcosa non va in una decisione che fa improvvisamente passare da
una pena di sette anni a quella capitale.

Unendo i due tipi di critiche appare
evidente che la decisione del governo non va nella direzione di
sradicare una mentalità.
Come
potrebbe se continua a non riconoscere la potestà della donna sul
proprio corpo e ad ammettere lo stupro come una forma di attività
repressiva
? Insomma,
invece dell’emancipazione si è privilegiato il progresso formale,
se così possiamo dire
xiv.

7.
L’ambiguità del connubio classe media-mass media

La
reazione della classe media al crimine di Delhi se da una parte è un
fatto positivo perché scuote dal torpore o dalla complicità le
istituzioni, obbliga a considerare un drammatico problema e
testimonia la volontà di liberarsi di una mentalità nefasta,
dall’altra costringe però a porre molta attenzione sulla frattura
tra un’India in cui le gerarchie sociali sono in movimento e
un’altra in cui rimangono ferme. Infatti mentre si svolgevano le
manifestazioni anti-stupro di Delhi, un’altra India rimaneva
nascosta e impermeabile a queste dinamiche e quindi alla possibilità
di riscatto
xv.

Appena tre mesi prima una sedicenne
Dalit
dell’Haryana, uno Stato molto conservatore proprio lì vicino, era
stata stuprata da otto uomini di casta superiore che avevano filmato
e postato l’aggressione. Per la vergogna il padre della ragazza si
era suicidato. Era l’ultimo di una lista di casi di donne
Dalit
stuprate
senza che si
sollevasse nessuna protesta

come quelle di Delhi. Mentre nella Capitale centinaia di persone
manifestavano con candele accese, una bambina di dodici anni
violentata nel Rajasthan attendeva in un ospedale della stessa Delhi
la ventesima operazione di ricostruzione degli organi lesionati,
senza che nessuno si fosse mai occupato di lei e con quattro dei suoi
sei violentatori in libertà. Lo stesso sta avvenendo col
recentissimo stupro di gruppo di una ventenne ordinato dal
salishi
sabha
, il tribunale
tradizionale, di un villaggio della tribù dei Santhal nel Bengala
Occidentale, accusata di essersi fidanzata con un uomo estraneo alla
comunità. Pur registrando il Bengala Occidentale un altissimo numero
di stupri, questo fatto sconvolgente non ha precedenti. E stupisce
che sia avvenuto tra i Santhal, una tribù famosa per le sue
coraggiosissime lotte per la libertà e la giustizia sociale e le cui
donne sono state da sempre vittime designate della violenza sessuale
dei “
diku“,
gli estranei
xvi.
Per ora il caso è solo oggetto di accuse politiche e di conseguenti
contromosse amministrative, come la rimozione del capo della polizia
distrettuale da parte della
Chief
Minister
, Mamata
Banerjee, a seguito del rifiuto della polizia locale di prendere in
custodia i 13 uomini del villaggio accusati di avere eseguito la
“sentenza”.

Come qualcuno in India ha
commentato, tutti questi misfatti sembrano fuoriuscire dal campo
d’attenzione della vita globalizzata delle grandi città.

Io ho l’impressione che tra le
altre cose nelle grandi città si stia sviluppando uno scontro non
più in relazione a stati inalterabili ma proprio alle dinamiche
sociali permesse dalla modernizzazione indiana. Queste dinamiche,
palpabili con mano ad esempio nella composizione sociale degli
studenti universitari, o addirittura codificata nel controverso
Reservation System
(un sistema di quote che sulla carta servirebbe a promuovere i
settori sociali più svantaggiati), queste dinamiche visibili a
occhio nudo sembrano trasformare la tradizionale violenza di genere
in una lotta che, ribaltando i vecchi termini del discorso, può
seguire a ritroso la frattura tra chi si sente socialmente escluso (i
sadici violentatori di Delhi) e chi persegue l’inclusione sociale
(la loro vittima)
xvii.

E’ necessario un maggiore
approfondimento su questo punto, ma sembra succedere quanto segue. A)
Le dinamiche che lo sviluppo impone alla società indiana hanno fatto
rompere gli argini alla mentalità dello stupro facendole invadere
nuovi territori, specialmente quelli urbani, e facendole seguire
logiche non più riconducibili univocamente alle vecchie gerarchie
sociali. Anzi, come abbiamo notato, lo scempio di Delhi riflette
semmai una direzione gerarchica inversa. B) La classe media,
protagonista (benché numericamente minoritaria) della nuova India,
con l’appoggio dei mass-media riesce a sviluppare dei meccanismi di
resistenza e a mettere in campo richieste di emancipazione
riguardanti l’universo femminile. C) Ma questo movimento non riesce
a retroagire su quel mondo tradizionale da cui quell’invasione
scaturisce e in cui questi tipi di crimini hanno proporzioni
vastissime.

Se nel caso Mathura agiva ancora un
collegamento tra campagna e città dovuto, direttamente o
indirettamente, all’ideologia naxalita e alle forze ideali e
personali che essa aveva mobilitato, ora questo collegamento sembra
ristretto ad alcuni intellettuali e militanti ancora legati in
qualche modo a un’idea di “rivoluzione”, sebbene non
necessariamente – anzi raramente – quella che fa agire i maoisti
indiani. Tra questi intellettuali e la classe media esiste non una
consonanza ma solo una contiguità sociale
xviii.

A questo punto devo confessare una
cosa che riguarda questo articolo. Appena scritta la sezione
precedente mi sono chiesto fino a che punto fosse corretta. Allora
sono andato a cercare le reazioni allo stupro di Delhi di quelli che
conosco essere intellettuali militanti di caratura e mi sono
imbattuto nelle dichiarazioni di Arundathi Roy. Lascio a voi
giudicare, ma credo che con la solita franchezza e il coraggio di
andare controcorrente che la contraddistinguono, Arundathi abbia
detto cose che corroborano quanto ho appena illustrato. Le trovate
qui
in video con un commento dialogico intelligente
xix.

Ancora una volta, quindi, non è
possibile venire a capo della cultura dello stupro se non si
considerano contemporaneamente le sue radici culturali, storiche e
sociali. Perché se non lo si fa si finirà per accontentarsi
dell’aggiustamento di tiro amministrativo, magari pensando che un
passo è meglio di niente e che è difficile un intervento
“olistico”.

E così si rischia di abbandonare
senza accorgersene le richieste di emancipazione per cadere, per
l’appunto, nella trappola del “progresso”, del “meno peggio”,
del “male minore”, dei “piccoli passi”, mentre il peggio
e il male maggiore procedono con passi da gigante, a
volte anche col nostro inconsapevole aiuto.

_________________________

NOTE

i
Radha è la pastorella innamorata devota a Krishna e rappresentante
l’energia divina femminile. La coppia Radha-Krishna simboleggia
popolarmente l’unione amorosa. “Radha swing” è
contenuta nella raccolta “A mermaid in a stream of moonlight
(Nandimukh Samsad, 2011). Namita Chaudhuri è una poetessa
bengalese.

ii
Le organizzazioni femministe statunitensi stimano fino a 1.270.000
di casi reali ogni anno. Per l’Italia i dati Onu fanno riferimento
al 2006 e parlano di 7,6 casi denunciati ogni 100.000 abitanti.
Cifre disperanti.

iii
Ancora oggi in caso di ridotte possibilità di nutrirsi è una
soluzione molto praticata privilegiare il capofamiglia e poi i figli
maschi.

iv
Ma le cifre possono essere molto più alte. Secondo l’Indian
Medical Association
il 42% dei feti di sesso femminile
verrebbero abortiti ogni anno contro il 25% dei feti di sesso
maschile per un numero complessivo di 5.000.000 di feti di sesso
femminile. Il rapporto maschi/femmine è pari a 0.93, ancora più
basso che nel 2001. I matrimoni infantili sono stimati essere il 47%
(dati Unicef, con stime sensibilmente più alte in Stati come il
Rajasthan),
nonostante il Child Marriage Act del 2006 li
vieti. Le autorità locali chiudono un occhio per rispetto alla
tradizione e forse perché spesso, per fortuna, non vengono
consumati subito o per lo meno prima della pubertà. Il tasso di
gravidanza adolescenziale è del 62 per 1.000, quello di mortalità
post-parto del 200 per 100.000 nati vivi, la violenza domestica (su
cui ritorneremo) si stima sia presente nella metà delle famiglie. I
casi riportati di aggressioni con acido contro le donne nel 2010
sono stati 153.

v
Come notava Marx, il capitalismo non garantisce la vita dei propri
schiavi, al contrario di quanto succedeva nelle società
precapitalistiche. In India, l’imperatore Moghul era personalmente
garante della vita dei suoi contadini. Se i raccolti erano scarsi le
tasse venivano diminuite fino ad essere sostituite da lavori
socialmente utili (come la costruzione di nuovi pozzi). Al
contrario, le tasse monetarie implacabilmente riscosse dal Raj
britannico e la sua logica liberista indussero spaventose carestie
che mieterono decine di milioni di morti, un fatto inedito nella
storia millenaria dell’India.

vi
Karl Polanyi “La grande trasformazione” (Einaudi, 2000).

vii
Si noti che il BJP e il Congress Party non hanno politiche
economiche sostanzialmente differenti. Così come avviene col
centrodestra e il centrosinistra italiani, la differenza è di
ordine culturale e benché questa stessa differenza sia “inquinata”
da politiche convergenti o sovrapponibili, è su di essa e su una
presunta maggiore moralità pubblica di uno schieramento rispetto
all’altro, che si svolge lo scontro politico.

viii
Si veda ad esempio il mio “Naxalbari India:
l’insurrezione nella futura terza potenza mondiale”
(Mimesis Edizioni, 2007), specialmente al capitolo 8.3.

ix
Non ne furono protagonisti solo le forze di sicurezza indiane, ma
anche quadri del CPM e del Congress. Tristemente famoso è il
massacro della zona di Cassipore-Baranagore a Calcutta, costellato
di stupri e durante il quale spicca per efferatezza l’uccisione
della dirigente naxalita Karuna Sarkar
avvenuta scarnificandole il seno con ferite che riproducevano
la sigla del suo partito, cioè il CPI(ML) costituito dai
rivoluzionari fuoriusciti dal CPM.

x
Lo Stato di Emergenza fu dichiarato in base all’articolo 352 della
Costituzione indiana da Indira Gandhi che così riuscì a
sbarazzarsi dell’opposizione interna al Congress Party, a
parare i colpi che la Magistratura le stava infliggendo e a
reprimere con ferocia le lotte popolari.

xi
Per esemplificare, un conto è la conquista di diritti da parte
degli omosessuali (emancipazione) e un altro è l’utilizzo
ideologico-culturale di questi diritti da parte di Obama come arma
geopolitica contro la Russia (cosa che pertiene alla modernità).
Non bisogna lasciarsi travisare dalle discutibili contromosse russe
come la recente legge, che seguono una logica di segno opposto ma
dello stesso tipo
, né dal modo irritante con cui i conservatori
denunciano l’ingerenza statunitense. Succede sempre e la medesima
polarità la possiamo vedere riguardo all’Euro, alle guerre
imperiali e ai diritti umani. In fondo sono espressioni del doppio
movimento
di cui abbiamo parlato. L’utilizzo di diritti e di
condivisibili istanze generali per fini di potere specifici è
paragonabile a chi si finge in difficoltà per poter rapinare il
soccorritore: un danno non da poco per chi ha veramente bisogno. In
altre parole la modernità si può presentare come un’aggressiva
concorrente dell’emancipazione sugli stessi temi. Il
“progresso” a tratti può essere d’ausilio all’emancipazione,
tuttavia i due processi non coincidono e possono entrare in serio
contrasto. Se così non fosse il movimento comunista sarebbe stato
solo un di cui della sinistra.

xii
Paradigmatico il caso della diciannovenne Sambhavi Saxena arrestata
durante una protesta contro la violenza sessuale. Riuscì a twittare
il seguente messaggio: “Illegalmente trattenuta qui alla Stazione
di Polizia di Parliament St. a Delhi, con altre 15 donne.
Terrorizzate. Per favore RT (cioè “retweet“)”. La
società di analisi mediatica Favstar stima che questo tweet
si sia propagato in poche ore a 200.000 persone.

xiii
In India 841 milioni di persone vivono con meno di 2 dollari al
giorno.

xiv
Nella stessa direzione i provvedimenti degli anni Ottanta per cui le
donne possono essere arrestate e detenute solo da poliziotte. Si
risolve amministrativamente qualcosa ma non la sostanza della logica
dello stupro come attività punitiva e repressiva, se è vero, come
è vero, che ci sono stati casi di commissarie che hanno incitato i
loro sottoposti maschi a torturare e violentare le detenute.

xv
Un discorso parallelo riguarda il modo in cui viene affrontato il
sesso nella società indiana. Io ho l’impressione che la
possibilità di parlare di sesso segua le stesse dinamiche sociali
che ho cercato di illustrare. Una mia amica di Calcutta, già mio
amico, parla apertamente del suo cambiamento di sesso, della
femminilità e dei rapporti tra generi nel suo blog dedicato alla
Matematica. Ma stiamo parlando di una ricercatrice universitaria in
una grande metropoli, forse quella più aperta culturalmente
dell’India. A Calcutta si iniziano a vedere nei parchi coppie che
si baciano, però sotto lo sguardo sconcertato e a volte un po’
morboso dei passanti. Perché l’India è un Paese dove alla
televisione non potete vedere due labbra che si toccano. In
compenso, come hanno denunciato le femministe indiane, i film sono
pieni di stupri. Di sesso e riproduzione non si parla ai ragazzini a
scuola, ma nemmeno nelle famiglie. Uno degli obiettivi degli
interventi in campo sanitario, anche del volontariato, è proprio
l’educazione sessuale. E Internet è lì in agguato a permettere
overdosi di pornografia. Sovraesposizione da una parte e tabù
dall’altra. Un disastro.

xvi
Le fortissime pressioni di ogni tipo sulle popolazioni tribali le ha
condotte a una violenta chiusura verso l’esterno esasperando tra
le altre cose l’ossessione per l’endogamia, che comunque è
sempre esistita (si veda la storia della guerrigliera Shanti Munda
raccontata nel saggio “Attraverso la lente del genere” di
Mallarika Sinha Roy contenuto nel mio “Naxalbari-India
già citato). Le società tribali sono spesso mitizzate nella
letteratura democratica ed ecologista mentre soffrono invece di
notevoli contraddizioni esacerbate anch’esse dalla
modernizzazione. Questa mitizzazione è stata contestata anche da
sinistra (su ciò in Italiano si veda il capitolo V.3 del mio libro
on-line “Al
cuore della Terra e ritorno
“). Ad ogni modo questo
episodio è inaudito.

xvii
Jyoti Singh era figlia di un facchino emigrato dall’Uttar Pradesh
e lavorava a un call centre per pagarsi gli studi da
fisioterapista a Dehradun, nello stato di Uttarakhand, a nord di
Delhi. Il lavoro da fisioterapista le sarebbe servito per promuovere
la mobilità verso l’alto dei suoi due fratelli minori. Non è
dunque difficile capire perché la classe media di Delhi si sia
identificata con le aspirazioni di Jyoti.

xviii
L’ambiguità del connubio classe media-massmedia si riscontra
anche in Occidente. Alzi la mano chi ha saputo, si è commosso e si
è indignato per i contadini ammazzati a Nandigram nel 2007. Bene.
Adesso alzi la mano chi ha saputo, si è commosso e si è indignato
per la repressione nel 2009 delle manifestazioni della classe media
di Teheran Nord (“dove
l’alcol scorre a fiumi
“, come ci viene detto per
farcela sentire vicino a noi e farci capire quanto dobbiamo essere
lontani dagli ayatollah). Pur scontando le modalità per cui un
fatto “fa notizia”, il cortocircuito tra la coppia “classe
media-massmedia” indiana e quella italiana salta agli occhi quando
si mettono a confronto il rapporto tra l’entità del fenomeno
negli Usa e in India e la totale mancanza di notizie focalizzate
sugli Stati Uniti. In termini assoluti le violenze sessuali negli
Usa sono 3,6 volte quelle indiane e in relazione alla popolazione
sono ben 15 volte di più. Perché si parla solo di India? Perché
si da per scontato che i maschi occidentali sono degli stupratori
senza possibilità di redenzione? Io, da maschio italiano, spero di
no.

xix
L’India è anche la terra delle grandi attiviste sociali, come
Aruna Roy, Medha Patkar, Vandana Shiva e Mahasweta Devi, che ho
avuto la fortuna di incontrare personalmente. Arundathi Roy è una
di esse, oltre ad essere una scrittrice in grado di vincere il
Booker Prize. Si legga il suo magnifico romanzo “Il dio
delle piccole cose
” (Guanda, 1997) per capire i molteplici
ingredienti della miscela, a volte reazionaria, a volte
progressista, che blocca la possibilità di emancipazione. Anche
Mahasweta Devi è una grande scrittrice. Ha dedicato la sua penna
alle lotte sociali. Nei racconti raccolti nella “Trilogia del
seno
” (Filema, 2005) e ne “La preda” (Einaudi,
2004) è narrato con precisione cosa significa “violenza sociale e
politica sulle donne in India”. Perché Mahasweta inventa
«molto poco», come mi disse qualche anno fa a Calcutta.

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