Sentenza Thyssen: non fu omicidio volontario
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Sentenza Thyssen: non fu omicidio volontario

La Corte d'Appello modifica il giudizio di primo grado e riduce le pene: da 16 a 10 anni per l'ad Espenhahn, accusato di omicidio colposo con dolo. Rabbia dei familiari

Sentenza Thyssen: non fu omicidio volontario
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28 Febbraio 2013 - 11.54


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Non fu un omicidio volontario ma omicidio colposo con dolo quello del rogo della Thyssen. Almeno così ha stabilito questa mattina corte d’Assise d’appello presieduta dal giudice Gian Giacomo Sandrelli. Modificata così la storica condanna per dolo eventuale all’amministratore delegato Harald Espenhahn, al quale in primo grado furono inflitti 16 anni e mezzo di carcere, ridotti adesso a 10 anni. Pene ridotte a sette anni anche per gli altri dirigenti del consiglio d’amministrazione Gerald Priegnitz e Marco Pucci. Per il direttore dello stabilimento Raffaele Salerno otto anni. Uno sconto di pena, per altro già chiesto dall’accusa, è stato concesso al responsabile della sicurezza Cosimo Cafueri (8 anni), mentre per Daniele Moroni la pena era già stata più bassa in primo grado (10 anni e 10 mesi), ora ridotta a 9 anni. La sentenza è stata accolta con urla di disperazione e rabbia dai familiari delle vittime.

Una vicenda giudiziaria importante e tormentata quella che riguarda l’incendio che scoppiò la notte del 6 dicembre 2007 lungo la linea 5 in cui morirono sette operai: Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Giuseppe Demasi. L’accusa portata avanti dal procuratore Raffaele Guariniello, e dai sostituti Laura Longo e Francesca Traverso ha sostenuto che lo stabilimento di corso Regina era stato abbandonato dalla dirigenza in vista della chiusura e del trasferimento degli impianti a Terni. L’ad Espenhahn sarebbe stato quindi a conoscenza del rischio, accettandolo, che potesse capitare un infortunio, anche grave e mortale, preferendo non investire nella sicurezza per ragioni di risparmio economico. In particolare non erano stati messi gli impianti di rilevazione e spegnimento antincendio che la stessa assicurazione aveva indicato come interventi necessari dopo che un analogo incendio (per fortuna senza conseguenze) si era verificato in Germania nello stabilimento di Krefeld.

La sentenza del primo grado era arrivata il 15 aprile del 2011: la corte d’assise presieduta da Maria Iannibelli, aveva condannato Harald Espenhahn, amministratore delegato della Thyssen, a 16 e sei mesi; Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafuerri a 13 anni e 6 mesi e Daniele Moroni a 10 anni e 10 mesi. La difesa della Thyssen hanno puntato a sostenere che la responsabilità dell’incendio fu in parte degli operai, che esisteva un sistema di deleghe da parte di Espenhahn verso i suoi collaboratori, che non vi era alcun obbligo di installazione di impianti di rilevazione fumo in quel tratto della linea, e che in ogni caso Espenhahn non avrebbe potuto immaginare la situazione di degrado e sporcizia dello stabilimento visto che in occasione delle sue visite questo veniva tirato a lucido.

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