Fotogrammi da una Santiago lenta ed euforica
Top

Fotogrammi da una Santiago lenta ed euforica

Viaggio nella capitale del Cile, un paese in rapido sviluppo dove c'è lavoro per tutti. Ma è solo in alcuni angoli della città che la vera Santiago si fa ammirare.[Tano Siracusa]

Fotogrammi da una Santiago lenta ed euforica
Preroll

Desk Modifica articolo

1 Gennaio 2013 - 19.23


ATF
di Tano Siracusa

‘Qui c’è lavoro per tutti, soltanto i flojos non lavorano’, dice il taxista mentre si destreggia nel traffico intenso ma ordinato di Santiago.

E che soltanto i pigri, gli indolenti non lavorino nella capitale cilena, sembra confermato da quello che si vede scorrere dal finestrino dell’auto, la folla sui marciapiedi che entra ed esce dai negozi, dai supermercati, dai centri commerciali, dai palazzi di venti piani e dai grattacieli in acciaio e vetro come da un gigantesco, insonne formicaio. E lo si capisce anche meglio se poi si fa un giro sulle ampie strade pedonalizzate del centro, fra avenida Moneda e Plaza de Armas, dove si affacciano i negozi buoni, qualche discreta libreria, qualche chiesa, qualche palazzo coloniale ed enormi caffè dove non ci sono tavoli né sedie, neppure uno sgabello su cui sedersi in attesa che la ragazza in minigonna serva un espresso scadente per 1500 pesos, più di due euro. Le vetrine dei negozi espongono merci e offerte di lavoro: su queste strade il passo della folla non ha il tempo lento, svagato, dello struscio nelle città del sud, ma quello deciso e finalizzato della massa dei consumatori.

Il Cile è un paese in crescita, fra tutti i paesi del Sudamerica, che guardano comunque da molto lontano la crisi europea, è quello che esibisce il maggiore ottimismo, sostenuto da previsioni di incremento del Pil per il prossimo anno superiori al 5%.

In questo paese che celebra i fasti del presente nell’euforia consumistica, non è facile rintracciare quelli del passato coloniale, ricco di disastri e splendori, ultimo quello legato alla stagione del liberty di cui rimangono magnifiche ma sparse tracce in un tessuto urbano che ha il segno dominante della verticalità. I terremoti e la passione per le verticalità vertiginose – dove si manifesta un aspetto della complessa relazione dei cileni con il modello nordamericano, intriso di fascinazione e condanna, di pulsione mimetica e antiche ripulse – lo sviluppo della motorizzazione e la crescita demografica hanno travolto e cancellato la vecchia Santiago.

Per ammirarla bisogna entrare nei musei, cercarla in un magnifico impianto conventuale francescano, dietro qualche vecchio portone, oppure guardarla su una stupefacente cartolina di cento anni fa: i grandi viali alberati, i giardini, le piazze, le quinte dei sontuosi palazzi coloniali che non superavano i due piani, una città piena di luce e di geometrie. Qui la modernità urbanistica non ha cercato mediazioni, sintesi con il passato.

Bisogna arrivare alla grande Plaza de Armas perché l’atmosfera di quella Santiago perduta, grande capitale del sud indio e latino, diventi almeno immaginabile. Qui rimane traccia di una signorile lentezza, di una preborghese sovrabbondanza di tempo e di spazio, bolle di ozio dove si perdono gli ubriaconi, dove sostano attempati prestigiatori, giocatori di scacchi e pittori di strada, predicatori che urlano agli sfaccendati seduti sulle panchine il loro sdegno per la corruzione dei tempi. Ogni sera a Plaza de Armas va in scena un presente che non sembra la cancellazione del passato, che vi sembra in qualche modo ancora connesso, rendendolo almeno immaginabile. E se poi si scende a piedi verso il barrio Brasil, quella città di case basse e grandi cieli, di piazze e di vento, si può addirittura vederla e percorrerla, lungo i marciapiedi sconnessi e le strade svogliate ma appagate, come ‘las calles desganadas del barrio’ che Borges ricordava della vecchia Palermo di Buenos Aires.

Qui perfino il traffico automobilistico dirada e il passo rallenta fra i locali destinati a uno svago un po’ da periferia, un po’ da bohème, dove le coppie degli innamorati fanno le fusa e i cani randagi ritrovano la vecchia familiarità con gli abitanti di Santiago.

Native

Articoli correlati