L'Aquila piange in latino: Historia magistra vitae
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L'Aquila piange in latino: Historia magistra vitae

Quello del 2009 non è stato il primo sisma a distruggere L’Aquila. Nei secoli la città ha subito tanti terremoti, a partire dal XIV secolo per memoria scritta.[Francesca Luzi]

L'Aquila piange in latino: Historia magistra vitae
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Francesca Luzi Modifica articolo

30 Gennaio 2012 - 11.28


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di Francesca Luzi

Numerose le cronache delle varie epoche, in particolare dell’Aquilano Buccio di Ranallo (1294 – 1363), storico e scrittore delle Cronache aquilane che raccontò nella sua opera del devastante terremoto del 3 settembre 1349. Il sisma, stando ai suoi scritti, provocò 800 vittime, cifra ovviamente non verificabile ma indicativa della catastroficità dell’evento: crolli e rovine ovunque – racconta Buccio – gente accecata dalla polvere, «tucte quante le chiese… atterrate», strade ingombre di pietre e legnami, vittime in ogni famiglia, nove settimane trascorse nelle baracche allestite per non restare nelle case. In questa situazione tanto difficile la popolazione giungeva già duramente provata da una tremenda epidemia di peste nera abbattutasi l’anno prima sulla città. Moltissimi, si legge, decisero di abbandonare la città distrutta e tornare nei loro contadi d’origine.

Il reggente locale del tempo, il conte Lalle Camponeschi, cui dispiaceva di tanto avvilimento, radunati i cittadini pronunciò un discorso incoraggiante e volto a risollevare gli animi promettendo grandi aiuti per la riscostruenda città. Lalle fece inoltre un atto di forza facendo letteralmente sbarrare le porte urbiche impedendo così lo spopolamento dell’Aquila, convinto, giustamente, che allora come non mai la città avrebbe avuto bisogno di braccia e menti per ricostruire non soltanto i muri ma anche l’economia locale. Dopo questo atto dell’autorità costituita, si legge, la città si troverà definitivamente rinsaldata nelle sue radici e non si parlerà più di abbandono. Una piccola finestra sul passato, sorvolando su altri tre eventi sismici che rasero al suolo L’Aquila (1315 – 1461 – 1703).

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Una città che, come l’Araba Fenice, è abituata a rinascere dalle sue ceneri, la cui pianta è sovrapponibile alla pianta della città di Gerusalemme e l’edificazione delle cui chiese rispecchia la costellazione Aquila, (come spiegato nel libro La Rivelazione dell’Aquila – reset 3.33 di Ceccarelli – Cautilli – Proclamato, La nuova editrice, 2009) per esplicita volontà del suo fondatore, l’imperatore Federico II detto Barbarossa. Una città che si immola, offrendosi al massimo sacrificio di se stessa come il Cristo a Gerusalemme.

Torniamo ai nostri tempi. Gli ultimi dati analizzati si riferiscono a luglio 2011, mese in cui il comune dell’Aquila rende noto che sono oltre mille le richieste di cambio di residenza: oltre mille terremotati che, certificando la loro domanda, vanno via lasciando L’Aquila definitivamente. E questi sono soltanto una goccia nel mare, perché sono in realtà molte di più le famiglie che, di fatto, anche senza ufficializzare l’atto con il formale cambio di residenza, si sono trasferite altrove, per lo più sulla costa abruzzese e nel vicino Lazio, in modo particolare nella città di Roma, da sempre sede lavorativa di una grossa fetta di Aquilani.

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L’Aquila senza il lavoro e il rilancio della sua economia sta morendo lentamente. Se non si creeranno al più presto condizioni favorevoli a che gli imprenditori italiani siano invogliati a venire ad investire in città, hai voglia a ricostruire le case: chi avrà più la possibilità di abitarle se non c’è di che campare e far crescere i nostri figli?

La storia, come sempre, si ripete. Siamo i resistenti dei giorni nostri.

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