Napoli più pulita, ma dietro l'angolo c'è la catastrofe
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Napoli più pulita, ma dietro l'angolo c'è la catastrofe

La città ora è più in ordine, si sta rialzando con le sue gambe, ma l'immondizia è lì, in agguato. Pronta ad afferrarla per le gambe e a trascinarla giù. Come sempre.

Napoli più pulita, ma dietro l'angolo c'è la catastrofe
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7 Luglio 2011 - 02.00


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di Enrico Fierro

Come un mostro degli abissi la monnezza afferra per i piedi Napoli e i napoletani e li trascina giù a fondo, nella acque scure della disperazione dove rischiano di affondare tutti i tentativi di diventare una città normale. Qui si vive con l’incubo del “tifo murino” che è stato diagnosticato al Policlinico ad un paziente ricoverato nei giorni passati. E’ una malattia da sporcizia, sudiciume e fame, uno scenario che solo Malaparte ne “La Pelle”. L’emergenza dei giorni passati si è da poco placata, si respira di nuovo, molte strade sono miracolosamente pulite, ma una nuova catastrofe già bussa alle porte. Mancano poche ore e Napoli sarà di nuovo quella cartolina tragica e sporca che il mondo intero ha conosciuto negli ultimi vent’anni. Lo sforzo della nuova amministrazione comunale, della rinnovata Asia (l’azienda dei rifiuti) è enorme, quello che non funzionava e che faceva parte di un orribile folklore partenopeo, ora funziona. Gli spazzini lavorano con turni h24, come in guerra, i piani ci sono, anche quelli per il futuro. Ma tutto da oggi, certamente da domani, può crollare, per la semplice, eterna ragione, che non si sa dove portare i rifiuti. I sì delle Regioni italiane, almeno 14, sono per il momento meramente platonici e non ancora operativi, le discariche campane sature, gli impianti quasi fermi.

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Ore 14,30 di ieri, 1050 tonnellate di monnezza a terra. Ammorbano quartieri come Bagnoli, Fuorigrotta, Pianura, Ponticelli, Soccavo, Capodichino. Poca roba rispetto alle 2500 tonnellate dei giorni scorsi, pochissima se si va con la memoria ai giorni neri dell’emergenza di due-tre anni fa, quando tutta Napoli era un a discarica a cielo aperto. Il centro, i Quartieri spagnoli, la zona ospedaliera, l’area Nord, moltissime zone della città sono pulite. I cumuli di sacchetti non offendono più via Toledo, Chiaia, piazza Dante, la via Marittima e il Lungomare, finanche il suk di Piazza Garibaldi e il Rettifilo sono liberi. E in giro c’è tanta voglia di rimboccarsi le maniche, di fare, di impegnarsi. “Ditelo a quel fetente di Bossi e a quelli come lui che noi non siamo incivili, che a noi non ci piace vivere nella monnezza”. Quartieri Spagnoli, vicolo Speranzella e dintorni, il sindaco de Magistris e il suo vice Tommaso Sodano, fanno un giro a piedi. Il venditore di frutta e peperoni, friarielli, insalate e pomodorini, mostra il suo orgoglio partenopeo. Si dà da fare e indica un cartello: “Qui si vendono solo verdure defoliate”. Nessuno gliel’ha imposto, ma lui, da solo, ha capito che è meglio fare così. I vicoli sono puliti, in giro cartelli fai da te che suggeriscono con durezza di depositare i sacchetti solo dopo le otto di sera, “altrimenti…”. De Magistris si ferma davanti ai bassi abitati da napoletani veraci, veri cinesi, pachistani e cingalesi di seconda generazione, laboratori regolarmente clandestini dove si confezionano le borse per le grandi firme, e accetta suggerimenti. “Dottò, i cassonetti per la differenziata metteteli lì, a pochi passi c’è un enorme garage del Comune”. A parlare è il signor Rosario, proprietario del ristorante “Antica Capri”, chiuso per protesta nei giorni dell’emergenza. “Io il deposito della monnezza me lo sono fatto da solo”, parla Ciro, gestore della trattoria “Da Nennella” (parolacce a volontà, ottima cucina napoletana, primo, secondo e frutta: 15 euro). E apre un basso, dove ha allestito una sua personale, ordinatissima discarica. “Separo la monnezza, vedete sindaco, poi la mattina passa l’Asia e la ritira”. Pochi passi più giù c’è la Chiesa di Santa Maria del Carmine di don Donato. Ha affisso un volantino per tutto il quartiere. Titolo: “Diamoci una mano”. Testo: tante indicazioni per differenziare e non affogare nei rifiuti. De Magistris spiega e sorride: “Ce la possiamo fare, ma con l’aiuto di tutti. A Natale faremo un primo bilancio”.
Tommaso Sodano prende appunti, si guarda intorno e sgrana gli occhi di fronte a quel miracolo di senso civico partorito proprio nel cuore dei Quartieri spagnoli. Ma poi, nel suo ufficio, l’umore cambia. Perché la prospettiva è nera. “Sono le due e mezza e non riusciamo a diminuire la quantità di rifiuti per strada”. Nello Stir (impianto di tritovagliatura) di Giugliano i camion hanno scaricato solo 341 tonnellate su 500, peggio a Tufino, 26 su 250, a Santa Maria Capua Vetere zero assoluto perché l’impianto lavora con una sola linea e nel piazzale ci sono venti autocompattatori di Napoli che aspettano di scaricare. Forse non lo faranno perché non è il loro turno e la precedenza tocca a Caserta e alla provincia. Ci vorrebbe una discarica e una c’è, quella di San Tammaro (Caserta, capacità50-60mila tonnellate), ma la Provincia si oppone alla monnezza made in Napoli. L’invaso di Chiaiano è chiuso per questioni giudiziarie e quando riaprirà potrà accogliere solo poche centinaia di tonnellate. Che fare? Provincia e Regione, governate dal centrodestra con Cesaro e Caldoro, pensano all’utilizzo delle cave dismesse, ma ci vorranno mesi di lavoro. “L’unica strada è consentirci di trattare direttamente con i sindaci delle grandi città che hanno discariche e impianti, e in più di rendere operativi gli accordi che già avevamo con Toscana, Emilia e Sicilia, ma bisogna fare presto”. Napoli è pulita, si sta rialzando con le sue gambe, ma il mostro è lì, in agguato. Pronto ad afferrarla per le gambe e a trascinarla giù. Di nuovo, come sempre.

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