La pelliccia torna di gran moda
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La pelliccia torna di gran moda

Dagli stilisti come Gaultier alle celebrities come Rihanna, la pelliccetta non mette più in imbarazzo nessuno. Sono lontani i tempi delle campagne di Toscani con la "troia in pelliccia".

La pelliccia torna di gran moda
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17 Dicembre 2012 - 22.01


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da Londra
Francesca Marretta

Qualcuno forse ricorda una vecchia campagna animalista firmata Oliviero Toscani. Uno degli slogan era “Troia in pelliccia”. C’era pure “Oca in pelliccia” (senza offesa per i volatili) e non ricordo cos’altro. Negli anni ’90 essere contro la pelliccia era di moda, era politically correct.

Nel 2012 assistiamo alla piena riabilitazione della pelliccia.

Fonti informate dei fatti descrivono le recenti passerelle dei grandi stilisti a Parigi come un trionfo di pelo animale. Jean Paul Gaultier, solo per citarne uno, ha presentato bei cappottini di pelliccia di volpe (animali che a Londra rovistano regolarmente nella spazzatura, chissà che non le abbia prese qui) e anche di coniglio (tinto di rosa).

Celebities come Kiera Knightley, Kate Moss e Rihanna, appaiono a proprio agio con indosso la pelliccetta. Lo stesso vale per Naomi Campbell e Cindy Crawford (pur essendo state in passato testimonial di campagne animaliste). E che male c’è. La pelliccia è tornata di moda, quindi si può portare senza farsi troppe domande.

E poi in questo periodo di crisi è una delle poche industrie in crescita. L’International Fur Trade Federation (IFTF) ha annunciato il mese scorso che il business della pelliccia vale oggi oltre quindici miliardi di dollari (nel 2000 era circa 9 miliardi di dollari).

Il punto è che la sofferenza inflitta agli animali per farne pellicce è la stessa dei tempi in cui in nome dell’etica e del buon gusto eleganti e famose signore bruciavano le pellicce in strada al grido di “meglio nuda”.

Sul sito di PETA (People for Ethical Treatment of Animals) si legge: “Che sia fatta con un animale selvatico o allevato, ogni pelliccia causa tremende sofferenze e toglie la vita”.

Gli animali allevati per farne pellicce vivono stipati in gabbie sporche e sono uccisi per soffocamento, con scosse elettriche, gassati o avvelenati. Quelli catturati sono spesso mutilati nelle trappole o uccisi per annegamento.

In Cina cani e gatti sono scuoiati vivi per il pelo. In questo paese è prodotta oltre la metà delle pellicce vendute negli Stati Uniti. Quelle stesse pellicce sono rivendute e ricucite vari marchi di fabbrica. Non basta dunque sentirsi con la coscienza a posto perché sulla pelliccetta non c’è scritto Made in China.
Chi si sente in vena di stare al passo col l’ultima moda, ma a basso costo, trova su siti come misscoquine.co.uk gilet di pelliccia a poco più di 30 sterline (meno di 40 euro). Difficile che siano prodotte a ovest di Vienna, dove nelle fabbriche va pagato almeno il minimo garantito (a Napoli, Italia, può essere diverso).

Anche le pellicce prodotte in atelier di grandi firme d’alta moda sono il risultato della crudeltà su animali.

Sarà il caso di rispolverare le foto di Toscani?

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