Le mine antiuomo sono 'inumane' e al bando ma Biden le invia in Ucraina e l’Europa (con l’Italia) tace
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Le mine antiuomo sono 'inumane' e al bando ma Biden le invia in Ucraina e l’Europa (con l’Italia) tace

Tutti i 27 Paesi Ue hanno sottoscritto la Convenzione di Ottawa contro le mina anti-uomo, ma di fronte alla decisione di Biden nessuno osa obiettare.

Le mine antiuomo sono 'inumane' e al bando ma  Biden le invia in Ucraina e l’Europa (con l’Italia) tace
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27 Novembre 2024 - 18.43


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di Pierluigi Franco

Non sono stati in molti ad accorgersi della decisione presa nei giorni scorsi dal Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, di rifornire l’Ucraina di mine antiuomo. Una decisione importante, ma passata incredibilmente sotto silenzio anche sui mezzi di informazione. Eppure si tratta di un provvedimento tragicamente rilevante perché fa fare un salto indietro di ben 27 anni alla storia. Questo è infatti il tempo passato da quel 3 dicembre 1997 in cui fu firmata a Ottawa una Convenzione internazionale ritenuta all’epoca di importanza rivoluzionaria: la proibizione dell’uso, stoccaggio, produzione e vendita di mine antiuomo e la loro relativa distruzione.

I Paesi firmatari furono all’epoca 133 (tra i quali l’Ucraina), attualmente sono 164 gli Stati parte del trattato. Altri 33 Stati si rifiutarono di sottoscrivere la Convenzione, tra i quali l’America di Bill Clinton e la Russia di Boris El’cin. 

Ancora una volta stupisce il silenzio dell’Unione europea. Tutti i 27 Paesi che ne fanno parte hanno infatti sottoscritto la Convenzione di Ottawa, ma di fronte alla decisione di Biden nessuno osa obiettare. L’etica non tocca in questo caso la politica europea. Eppure le mine antiuomo sono sempre state ritenute strumenti offensivi ignobili, che nel corso di decenni hanno ucciso e mutilato migliaia di civili tra i quali molti bambini. Ma tutto questo non sembra avere più importanza.

Negli anni ’90, soprattutto dopo i disastri che le mine antiuomo avevano creato nella ex Jugoslavia, il mondo si era mosso per far sì che non si ripetessero più simili scempi. Poi, già all’inizio del terzo millennio, si sono purtroppo ancora ripetuti in Afghanistan e in Iraq, Paesi che vantano il poco invidiabile record di maggior numero di mine inesplose sul loro territorio. E ancora quegli scempi si continuano a vedere in ogni angolo del mondo acceso da conflitti. Oggi la decisione dell’amministrazione del più potente Paese occidentale riapre il capitolo, ma non sembra più scandalizzare nessuno.

La messa al bando delle mine antiuomo sancita a Ottawa partiva da dati allarmanti: oltre 110 milioni di mine terrestri inesplose disseminate in più di 70 Paesi del mondo, con il risultato che ogni 20 minuti l’esplosione di una mina uccide o mutila una persona. Il costo delle mine utilizzate più comunemente è molto basso e oscilla tra i 2 e i 50 dollari. Ben più alto è il costo dello sminamento che, per ogni mina, costa almeno 50 volte di più. Per liberare il mondo dalle mine già piazzate occorrerebbero dai 33 ai 50 miliardi di dollari. In ogni caso l’opera di sminamento è continua e ogni anno ne vengono rimosse circa 100.000. 

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Un esempio di cosa significa tutto ciò viene dalla vicina Bosnia dove da decenni si procede alla bonifica del territorio che conta 51.129 chilometri quadrati e sul quale, secondo il “Centro azione mine” delle Nazioni Unite, sono stati posati tre milioni di mine durante il conflitto nella ex Jugoslavia. Dopo la cessazione della guerra, avvenuta nel 1995 con gli accordi di Dayton, le mine hanno continuato a colpire migliaia di civili provocando morti e mutilazioni. 

L’ultimo rapporto del Landmine & Cluster Munition Monitor, presentato il 20 novembre scorso, riferisce di almeno 5.757 morti e feriti a causa di mine e residuati bellici esplosivi in tutto il mondo nel 2023, mentre nel 2022 erano stati 4.710 i civili uccisi o feriti dalle mine terrestri in 49 Paesi. I civili rappresentano circa l’85% delle vittime delle mine antiuomo, di cui la metà sono bambini. 

Nonostante le Convenzioni e i continui appelli all’eliminazione di questi ordigni che furono dichiarati “inumani” nel 1980 dall’Onu, ogni anno si fabbricano nel mondo da 5 a 10 milioni di mine antiuomo sulle cui progettazioni c’è stata anche una grande inventiva. Attualmente se ne producono circa 350 tipi diversi, spesso sofisticati ma sempre poco costosi. Le cariche di esplosivo utilizzate cambiano in base alle dimensioni e all’uso e vanno da meno di 100 grammi a due chilogrammi. Quelle più diffuse sono piccole (anche meno di 10 centimetri) e hanno basse cariche perché sono dirette soprattutto a mutilare gli arti inferiori, nella tragica logica di guerra secondo la quale si fa più danno nel creare feriti che devono essere assistiti anziché morti che possono essere lasciati sul campo fino a cessazione del fuoco. Oltre alle classiche mine con “scoppio a terra”, che esplodono direttamente quando sono calpestate o manipolate (come spesso accade nel caso di bambini), molto diffuse sono anche le mine con “scoppio in aria” dette anche mine “saltanti” o a shrapnell. Quest’ultime possono essere collegate anche a cavi d’inciampo e si sollevano da terra scoppiando a un’altezza che va da 50 centimetri a un metro e mezzo, diffondendo migliaia di schegge letali fino a 25-30 metri e in grado di ferire gravemente fino a 200 metri. Una di queste, la “Valmara 69”, era stata progettata in Italia dove veniva prodotta fino al 1993, ma le copie di questo micidiale ordigno continuano a essere prodotte in altre parti del mondo. Tra i vari tipi di mine antiuomo ci sono poi quelle con le alette, dette “a farfalla”, che vengono disseminate con gli aerei e si caricano nell’impatto a terra pronte a esplodere al minimo urto. Infine ci sono quelle appena fornite dagli Usa all’Ucraina, basate su sistemi a proiettili “Adam” (Area denial artillery munition). In pratica con questa tecnica le mine antiuomo, di tipo M67 a lunga durata e M72 a breve durata, vengono posizionate all’interno di un proiettile che le dissemina in un raggio di circa 600 metri nel momento dell’impatto. L’amministrazione americana parla di mine “intelligenti” e “non persistenti”, ma la Croce Rossa internazionale denuncia da tempo che anche queste mine, al pari di tutte le altre, sono in grado di “uccidere e mutilare indiscriminatamente militari e civili”. C’è poi da dire che tradizionalmente la posa delle mine viene in genere compiuta manualmente secondo piani preordinati e secondo schemi che vengono mappati, mentre la disseminazione casuale attraverso vettori rende senz’altro più complicata la successiva opera di bonifica.

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Sotto il profilo sanitario gli effetti del ferimento da mine antiuomo sono pesanti. Secondo i dati forniti dalle organizzazioni sanitarie internazionali, il periodo medio di degenza di un ferito dallo scoppio di una mina è di 22 giorni, pari a circa il 50% in più rispetto agli altri feriti. Per ognuno di loro sono necessari mediamente due o tre interventi chirurgici e trasfusioni di sangue due volte maggiori di altri feriti da proiettile. Ma la presenza di mine antiuomo pesa anche sull’economia agricola e zootecnica. A seguito della disseminazione di mine, infatti, molte aree coltivabili o forestali non possono essere più utilizzate così come i pascoli, con conseguenze molto gravi per l’economia rurale che è spesso unica fonte di sostentamento delle popolazioni di certe aree. 

Si tratta di dati che dovrebbero far riflettere, ma evidentemente al potere poco importa della vita di chi la guerra la subisce davvero. Né se ne preoccupa più di tanto chi è prono nel sostenere certe decisioni anziché condannarle o, peggio, chi finge di ignorarle. Chi ricorda un’Italia e un’Europa migliori ricorda anche la campagna fatta alla fine degli anni ’90 che portò il Parlamento italiano a varare una legge, entrata in vigore il 4 novembre 1997, che raccoglieva le norme sulla messa al bando delle mine antiuomo. Quella legge italiana sancisce il divieto dell’uso “a qualsiasi titolo di ogni tipo di mina antipersona, fatto salvo l’utilizzo, a fini esclusivi di addestramento per operazioni di sminamento”. Inoltre la normativa definisce mina antipersona “ogni dispositivo od ordigno dislocabile sopra, sotto, all’interno o accanto ad una qualsiasi superficie e congegnato o adattabile mediante specifiche predisposizioni in modo tale da esplodere, causare un’esplosione o rilasciare sostanze incapacitanti come conseguenza della persona, della prossimità o del contatto di una persona”. Una legge modello, venuta da un Paese che fino a poco tempo prima era tra i più importanti produttori di mine antiuomo. Ma è una legge alla quale manca una cosa: l’obbligo di contrastare e condannare la diffusione di quegli ordigni, anche quando ciò avviene da parte di un Paese ritenuto amico e alleato.

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