Finlandia nella Nato, non è un "atto di pace" ma di paura. Ma giustificata
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Finlandia nella Nato, non è un "atto di pace" ma di paura. Ma giustificata

Che sia un atto di pace, ci permettiamo di dubitare. Che sia conseguenza della paura per l’aggressività russa, questo non è solo un atto comprensibile ma assolutamente fondato.

Finlandia nella Nato, non è un "atto di pace" ma di paura.  Ma giustificata
Sanna Marin
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21 Maggio 2022 - 17.10


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Sanna Marin, giovane e combattiva premier finlandese, ha idee molto chiare che sa argomentare con passione e forza. Nella grande politica internazionale è entrata dalla porta principale. Con una decisione storica: l’ingresso della neutrale Finlandia nella Nato. 

Paura più che pace

“Siamo preparati a diversi tipi di reazioni russe. Siamo pronti e ci stiamo preparando”. Così la premier finlandese nel corso della conferenza stampa dove Helsinki ha annunciato la volontà ufficiale di entrare nella Nato. “Quando guardiamo alla Russia, vediamo oggi un paese molto diverso da quello che abbiamo visto appena qualche mese fa. Tutto è cambiato da quando la Russia ha attaccato l’Ucraina e penso personalmente che non possiamo più credere che ci sarà un futuro di pace accanto alla Russia restando da soli”, ha detto, spiegando la decisione di chiedere l’adesione alla Nato. “E’ un atto di pace, non ci sarà più la guerra in Finlandia”, ha detto. “Non avremmo fatto questa scelta se non avessimo pensato che avrebbe rafforzato la nostra sicurezza nazionale. La minaccia nucleare è gravissima ma non può essere isolata in una sola regione. Penso che essere all’interno della Nato ci darà sicurezza perché anche la Nato ha armi nucleari e ci sarebbe una risposta se la Russia le usasse, quindi questa decisione ci rafforza, non ci indebolisce”.

Che sia un atto di pace, ci permettiamo di dubitare. Che sia conseguenza della paura per l’aggressività russa, questo non è solo un atto comprensibile ma assolutamente fondato.

Così come non c’è dubbio che la scelta compiuta è stata fatta da un Paese, la Finlandia, che ha una democrazia funzionante, plurale, matura.

“Con questa richiesta  – rimarca Alessia  De Luca , analista dell’Ispi, in una intervista a Cinzia Sciuto per Micromega.it –  la Finlandia rompe con una neutralità strategica che durava da oltre settant’anni e che era stata sancita da un accordo stretto con l’Unione sovietica. All’epoca la Finlandia ritenne che quello fosse il modo migliore per salvaguardare la propria sicurezza nazionale. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è stato un fatto dirompente, che ha provocato un radicale cambiamento nella visione delle cose in questa parte di Europa. Una svolta mostrata anche dai sondaggi: in Finlandia per anni la percentuale di cittadini favorevole all’ingresso nella Nato si era attestata intorno al 20-25 per cento, oggi è schizzata a oltre il 70. Ancora più interessante forse è analizzare quello che è accaduto in Svezia. Storicamente gli svedesi sono sempre stati ancora più scettici sull’adesione alla Nato perché, oltre alle ragioni di opportunità geopolitica, hanno sempre anche avuto delle profonde ragioni ideologiche, ritenendo che il modo migliore per preservare la pace del continente europeo fosse quella di guardare verso il disarmo e il dialogo, e per questo la Svezia aveva anche progressivamente diminuito la propria spesa militare. A partire dal 2014 però, da quando cioè la Russia ha annesso la Crimea, c’è stata una inversione di tendenza e la Svezia ha ricominciato a investire nella difesa. Oggi, con l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, in questi due Paesi si è diffusa una profonda paura che possa capitare anche a loro quello che sta accadendo all’Ucraina e vogliono tutelarsi[…] Rimanendo alla Finlandia, nonostante la neutralità strategica, nel corso di questi anni ha comunque tenuto sempre un esercito estremamente efficiente, ha la leva obbligatoria, già spende di fatto più o meno il famoso 2% del pil in spesa militare e ha sempre mantenuto delle forme di collaborazione con la Nato. Anche le perplessità espresse dalla Turchia potrebbero tutt’al più rallentare la procedura ma non bloccare tout court l’adesione”.

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Due analisi che aiutano a capire

Iniziamo con Andrea Antonio Verardi che su Treccani.it annota:

“[…]Nel firmare la domanda di adesione il presidente Niinistö ha sottolineato come la decisione storica per il Paese e la celerità con cui essa è stata presa siano il frutto della validità del sistema democratico finlandese, della capacità del Parlamento di cogliere il cambiamento nell’opinione pubblica e del popolo finlandese, che in maggioranza si è espresso a favore di questa scelta. Sebbene l’accento sul volere popolare sia anche funzionale alla valutazione positiva della richiesta di adesione da parte della Nato, il dibattito politico delle ultime settimane ha chiaramente fatto emergere la solidità dei partiti politici finlandesi, che hanno saputo mantenere un contatto costante con la loro base elettorale e condurre il dibattito non solo all’interno del Parlamento, ma anche nelle loro sedi locali.

Un ruolo centrale nella gestione della vicenda è stato svolto sicuramente dagli organi di stampa, soprattutto della statale Yle. Sono stati proprio i risultati dei sondaggi sulla Nato dell’emittente nazionale a convincere l’opinione pubblica e i partiti politici dell’opportunità della richiesta dell’adesione, escludendo de facto l’eventualità che la scelta venisse sottoposta ad un referendum popolare. Quest’ultima possibilità d’altronde era stata scartata dai partiti sia perché avrebbe rallentato il processo di adesione, sia perché poteva essere soggetto a condizionamenti esterni. È comunque certo che il nuovo corso della politica estera finlandese è stato fortemente influenzato dalla paura di un attacco Russo. Lo mostrano chiaramente le conclusioni del recente rapporto pubblicato dalla National defense information planning Commission, la commissione parlamentare che sin dagli anni Sessanta svolge indagini sull’opinione pubblica finlandese riguardo alla politica di sicurezza e difesa nazionale. Il rapporto, condotto su 1002 cittadini tra aprile e maggio, registra un aumento significativo della volontà dei finlandesi di aderire alla Nato (secondo il rapporto il 68% degli intervistati, mentre erano solo ¼ nell’autunno scorso). Ad aumentare è stata inoltre la volontà dei finlandesi di una difesa armata della propria patria qualora fosse attaccata. Il dato in questo caso è stato dell’84%, il risultato storicamente più alto da quando è attivo il sondaggio. Significativi sono i dati emersi sul tema della partecipazione diretta degli intervistati a compiti di difesa nazionale secondo le proprie competenze. In questo caso si è registrata infatti una leggera flessione (1 punto percentuale) nella popolazione adulta di età superiore ai 35 anni, con una disponibilità che si assesta all’82% (86% per gli uomini e 76% per le donne). La percentuale è nel complesso coerente nelle diverse fasce d’età, con l’unica eccezione della fascia 25-34 anni. Di questi, il 73% ha risposto positivamente, rispetto all’82% del rapporto precedente. Il dato non sorprende, poiché le poche voci critiche riguardo all’adesione all’Alleanza atlantica provenivano da questo gruppo. Ancora il 18 maggio, il principale quotidiano vicino all’Alleanza di sinistra, il Kansanuutiset, registrava il dissenso dei giovani di sinistra sulle modalità con cui il governo ha condotto il dibattito pubblico sulla Nato, oltre la mancata decisione di effettuare un referendum, preferendo invece commissionare sondaggi ai media.

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Bisognerà ora vedere come si evolverà la situazione e come il governo finlandese risponderà alle preoccupazioni dell’opinione pubblica. Sia sui social (commenti su Facebook alle notizie pubblicate dal quotidiano Helsingin Sanomat), sia all’interno di chat informative organizzate dai media statali (Yle), è infatti emersa la preoccupazione per la possibilità di ritorsioni russe, da un punto di vista militare, soprattutto nel periodo “grigio” tra la consegna della domanda di adesione e la sua effettiva accettazione. È centrale inoltre per gran parte dei cittadini che hanno commentato o posto domande sulla questione della Nato all’emittente statale Yle la questione dei confini con la Russia e della loro gestione. La preoccupazione per una qualche azione militare russa è palpabile, ed è il motivo principale per il quale i cittadini finlandesi auspicano una veloce risoluzione positiva della loro richiesta di adesione alla Nato. Da questo punto di vista la politica di Putin e l’invasione russa dell’Ucraina sono riuscite dove le diverse amministrazioni americane e decine di governi europei avevano fallito per circa mezzo secolo. Certo c’è da chiedersi quanto abbia pesato nella scelta finnica l’assenza di una forza militare unitaria europea, capace di offrire un’alternativa credibile ai due blocchi storici…”.

 Così Verardi.

Un cambio geografico di portata storica

Lo descrive, su Linkiesta, Alessandro Cappelli: “[…]L’ingresso dei due Paesi scandinavi nella Nato cambierebbe il panorama geografico della Russia: la sola adesione della Finlandia raddoppierebbe la lunghezza dei confini condivisi con l’Alleanza. Un incubo per Vladimir Putin, che però è il principale artefice di questa situazione.

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«La percezione della sicurezza in Europa è cambiata drammaticamente il 24 febbraio, e per i Paesi nordici questo ha portato alla necessità di riconsiderare in modo serio l’adesione al Patto Atlantico», aveva detto Antton Rönnholm, segretario del Partito socialdemocratico di Finlandia (Sdp).

Per decenni, infatti, Finlandia e Svezia hanno coltivato con cura la loro neutralità. Sono due Paesi culturalmente e politicamente occidentali, ma fino a ora sono sempre stati cauti nei loro rapporti con Mosca.

La Svezia non confina con la Russia e viene da oltre due secoli di neutralità militare: l’ultima guerra cui Stoccolma ha preso parte attivamente è stata quella contro la Norvegia, era il 1814. La Finlandia condivide un confine di 1.348 chilometri con la Russia, ha una storia recente di conflitti con Mosca, e nel periodo della Seconda guerra mondiale, Helsinki è stata coinvolta in due conflitti con il Cremlino: la Guerra d’inverno (1939-1940) e la Guerra di continuazione (1941-1944) contro l’Unione Sovietica.

Se dovessero diventare le nazioni numero 31 e 32 nel Patto Atlantico, Finlandia e Svezia potrebbero beneficiare del classico «uno per tutti e tutti per uno»: il motto è una buona sintesi del principio cardine della Nato che porta gli Stati membri a correre in aiuto di uno alleato sotto attacco (Articolo 5 del Trattato).

Da un punto di vista puramente militare, l’aggiunta delle forze armate finlandesi e svedesi darebbe un importante impulso alle forze Nato nel Nord Europa. «Entrerebbero nell’Alleanza due Paesi che hanno mantenuto la leva obbligatoria, hanno un esercito numeroso in proporzione alla popolazione, un esercito ben formato e ben addestrato, con equipaggiamenti militari avanzati e moderni», spiega a Linkiesta Alessandro Marrone, Head of Defence Programme, Istituto Affari Internazionali (Iai).

L’esercito finlandese può contare 280mila soldati attivi e un totale di 900mila riservisti addestrati, oltre ad alcune delle più sofisticate capacità di intelligence e cyber in Europa. La Svezia, come riporta la Bbc, «ha una delle forze aeree più potenti d’Europa e, insieme alla Finlandia, rafforzerà notevolmente la presenza della Nato nella vulnerabile regione baltica». Inoltre Stoccolma ha creato il sistema di difesa marittimo più potente al mondo, tra navi, artiglieria e sottomarini: con i due Paesi scandinavi nell’Alleanza, il controllo di tutta l’area che va dal Baltico all’Artico sarà più agevole…”.

Fin qui Cappelli.

Il dibattito è aperto. Una cosa è certa: l’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato è un capolavoro alla rovescia dello zar del Cremlino.

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