Nell'Afghanistan in atto la pulizia etnica in Panjshir: gli hazari come i curdi
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Nell'Afghanistan in atto la pulizia etnica in Panjshir: gli hazari come i curdi

Nel paese regna il caos: i talebani hanno vinto militarmente ma tanta gente non vuole vivere sotto una cappa oscurantista. E i ribelli del fronte del Panjshir sono pochi e isolati

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10 Settembre 2021 - 20.58


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Panshir, è iniziata la pulizia etnica. I pashtun talebani contro gli hazari dell’Alleanza del Nord. 

Appello dalla resistenza

“Vi chiedo di non riconoscere alcun governo in Afghanistan a meno che non sia veramente inclusivo e non sia formato sulla base del libero arbitrio del popolo”, è l’appello dell’inviato dell’Afghanistan presso le Nazioni Unite, Ghulam Isaczai, esortando il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a non riconoscere alcun governo a Kabul a meno che non sia “veramente inclusivo”.

Secondo Isaczai le recenti proteste a Kabul sarebbero un chiaro messaggio “ai Talebani che il popolo non accetterà un sistema totalitario”. 

Da New York, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres si dice favorevole a mantenere le comunicazioni: “Dobbiamo mantenere un dialogo con i talebani, in cui affermiamo direttamente i nostri principi, un dialogo con un sentimento di solidarietà con il popolo afghano”. Senza menzionare una revoca delle sanzioni internazionali e uno sblocco dei fondi afgani congelati nel mondo, ha stimato che “strumenti finanziari” potrebbero aiutare a mantenere a galla il Paese e consentire all’economia di “respirare”. “Ci sono garanzie” per la comunità internazionale in termini di protezione dei diritti delle donne e delle ragazze? “No, la situazione è imprevedibile e poiché è imprevedibile, dobbiamo coinvolgere (nella discussione) i Talebani: se vogliamo che l’Afghanistan non sia un centro di terrorismo, se vogliamo che le donne e le ragazze non perdano tutti i diritti acquisiti nel periodo precedente, se vogliamo che le diverse etnie si sentano rappresentate”, ha risposto Guterres.

“La resistenza non è finita, ma è appena iniziata”. Così il Fronte nazionale di resistenza del Panshir su Twitter ha denunciato ”crudeltà” commesse dai Talebani nella Valle, con ”omicidi e atti di vendetta”. I Talebani, prosegue, ”hanno espulso migliaia di persone dalla Valle”. I nuovi governanti dell’Afghanistan “continuano la pulizia etnica e il mondo sta solo a guardare e resta indifferente a questa situazione”, prosegue la Resistenza. Anche per questo, “la guerra non è finita e la resistenza continuerà”. “Il popolo del nostro Paese è cresciuto con un’idea di sviluppo che i Talebani non accettano”, hanno proseguito gli uomini del Panshir, affermando che “noi difendiamo i diritti della popolazione, delle donne, i valori e i diritti umani”.

I Talebani stanno costringendo centinaia di civili della Valle del Panshir dentro a container, per farli morire asfissiati e di fame”. E’ la denuncia del quotidiano turco Vatan Today, che su Twitter parla di ”arresti di massa, massacri, torture, atti umiliati e crimini di ogni tipo” messi in atto dai Talebani nei confronti dei civili del Panshir.

Sui social media circolano anche video di Talebani armati di kalashnikov che fanno scendere con la forza civili disarmati da camion e li costringono a entrare in alcuni container al grido di ”corrotti, infedeli”.

In mattinata il Fronte nazionale di resistenza del Panshir aveva lanciato l’allarme su Twitter: i Talebani hanno espulso dalla Valle ”migliaia di persone” e stanno attuando una ”pulizia etnica” con ”omicidi e azioni di vendetta” mentre ”il mondo resta a guardare con indifferenza”.

Quella idea delle donne

“Una donna non può essere un ministro” perché “il suo compito è quello di partorire”. A sentenziarlo è Sayed Zekrullah Hashim, un portavoce dei Talebani intervistato dall’emittente Tolo News. Quelle che stanno protestando, ha precisato, non sono rappresentative delle donne in Afghanistan. Perché “le donne afghane sono quelle che partoriscono per il popolo afghano. E vanno educate in base all’etica islamica“. Guidare un ministero sarebbe, perciò, come “dare alla donna un peso che non è in grado di reggere”. Ma non basta, Hashimi prosegue interpellato dal giornalista Natiq Malikzada: “Negli ultimi 20 anni, qualunque cosa abbia detto questo media (cioè ToloNews, ndr) cosa hanno fatto gli Stati Uniti e il suo governo fantoccio in Afghanistan se non permettere la prostituzione negli uffici?“. 

Le donne non possono praticare sport 

I Talebani hanno deciso che le donne afghane non potranno più giocare a cricket né a nessun altro sport che “esponga i loro corpi”. Lo spiega in un’intervista il vicecapo della Commissione cultura dei Talebani, Ahmadullah Wasiq: “Non credo che alle donne sarà consentito di giocare. Potrebbero dover affrontare situazioni in cui il loro viso o il loro corpo non siano coperti. L’Islam non permette che siano viste così”.

Le donne non possono lavorare in radio 

 L’Afghanistan è ormai un paese senza musica. Cultura, arte e musica non sono ben viste dai talebani: con il loro ritorno al potere è tornato il divieto che vigeva tra il 1996 e il 2001 per cui la musica viene vietata, in quanto considerata impura. Essa è di nuovo sotto il mirino degli estremisti, soprattutto quando coinvolge le donne: ad esempio, a Kabul, i talebani hanno distrutto gli strumenti della prima e unica orchestra femminile del Paese. Inoltre gli estremisti hanno introdotto il divieto per radio e televisioni della provincia di Kandahar di mandare in onda musica e voci femminili. “Le donne possono continuare a lavorare” affermava un portavoce talebano. Eppure, moltissime giornaliste hanno denunciato sui social di non poter più entrare nelle loro redazioni. Altre donne sono state costrette a rimanere a casa perché, avevano il diritto di uscire ma non si poteva garantire la sicurezza assoluta visto che i talebani non sono abituati a vedere donne per le strade.

 Le donne possono andare in università, ma in corsi separati

In un tentativo di ritorno alla normalità in Afghanistan, hanno riaperto le Università. Ma il segnale lanciato dai talebani è tutt’altro che confortante: l’istruzione per donne e uomini è separata. Così è stato annunciato dal ministro dell’Istruzione talebano Abdul Baqi Haqqani: ”Continueranno a studiare in classi separate, come vuole la sharia”. Circolano diverse foto diffuse su Facebook da un dipartimento di economia e management dell’Università di Kabul: le aule sono state divise con una tenda. Da una parte gli uomini e dall’altra le donne.

La drammatica testimonianza dei giornalisti picchiati 

Se poi sei donna e giornalista… Su questo secondo fronte, in realtà, i Talebani non fanno distinzione di genere: picchiano e basta. Giornalisti in Afghanistan affermano di essere stati picchiati, detenuti e frustati dai talebani mentre cercavano di documentare le proteste scoppiate nel Paese. Lo riporta la Bbc. Alcune foto che circolano online mostrano due giornalisti del quotidiano Etilaat Roz (uno dei principali quotidiani dell’Afghanistan) con lividi e contusioni dopo il loro arresto avvenuto nella capitale Kabul. Uno di loro, Taqi Daryabi, ha riferito alla Bbc di essere stato portato in una stazione di polizia dove è stato preso a calci e picchiato. Mercoledì anche ai reporter della Bbc è stato impedito di lavorare. 

 La libertà di stampa, dunque, era solo una delle tante promesse al vento dei talebani tornati al potere: il nuovo regime non vuole testimoni tra i piedi. Lo hanno capito a loro spese i due giovani giornalisti afghani Taqi Daryabi, fotografo di 22 anni, e Nematullah Naqdi, cameraman di 28, che volevano seguire per il loro giornale Etilaat Roz una manifestazione di donne che protestavano per i loro diritti davanti a un commissariato di Kabul.

Prima le minacce per strada e il tentativo di togliere loro la telecamera – che i due reporter sono però riusciti a consegnare di nascosto a una dimostrante -, poi sono stati trascinati di forza dentro lo stesso commissariato e picchiati per ore.

 In una stanza vuota, i Talebani hanno cominciato a insultarmi, a prendermi a calci in quattro o cinque. Mi hanno legato le mani dietro la schiena, mi hanno buttato a terra e picchiato con bastoni, cavi, tubi, tutto quello che trovavano. Ho temuto che mi uccidessero, ha raccontato Nematullah all’Afp. “Gridavo, continuavo a ripetere che sono un giornalista. Ma non gli importava e mi hanno preso a calci in testa e sulla schiena”, ha proseguito. “E dopo averci picchiati, ci hanno detto: ‘Ora avete capito cosa succede se filmate?'”.

Una volta liberati i due sono tornati in redazione, si sono spogliati con dolore e fatica, per farsi fotografare dai colleghi e mostrare al mondo il vero volto dei talebani: enormi ematomi sulla schiena e sulle gambe, segni di frustate, ferite, anche sul volto. “La situazione dell’informazione è drammatica, oltre 100 media hanno smesso di funzionare lo scorso mese”, riferisce un rapporto dell’Easo, l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo. Inoltre, “i Talebani rastrellano i giornalisti afghani casa per casa”, specialmente quelli che hanno lavorato per gli Stati Uniti o per il precedente governo afghano.

 “Per loro, noi giornalisti siamo dei nemici”, ha detto il giovane Taqi, anche lui malridotto dalle botte. Quando ha chiesto ai talebani perché lo stessero picchiando, uno di loro gli ha risposto: Sei fortunato che non ti abbiamo decapitato”.

Non essere decapitato. E’ la “fortuna” nell’Afghanistan talebano. 

 

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