Così nel Congo i gruppi armati puntano sul terrorismo per destabilizzare il Paese
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Così nel Congo i gruppi armati puntano sul terrorismo per destabilizzare il Paese

Le Nazioni unite avevano recentemente denunciatole continue atrocità commesse da gruppi armati divenute parte di una strategia volta sistematicamente a turbare la vita dei civili, instillare paure e generare caos.

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

22 Febbraio 2021 - 11.34


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“Ci sono morti che pesano come una piuma, e altri che pesano come una montagna”. Il pensiero del presidente Mao-Tse-tung ben si attaglia alla vicenda che stiamo per descrivere. Sì, ci sono morti che pesano come piume. E anche meno. Sono i morti oscurati dai media, dimenticati dalla comunità internazionale. I morti del Congo. Loro pesano come più, anche di meno. 

Morti dimenticati

L’Unhcr, l’Agenzia Onu per i Rifugiati, in una nota ufficiale esprime profonda apprensione per le continue atrocità commesse da gruppi armati nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc) orientale, divenute parte di una strategia volta sistematicamente a turbare la vita dei civili, instillare paure e generare caos.
Nel 2020, i partner dell’Unhcr hanno registrato un numero record di 2.000 civili uccisi nelle tre province orientali (1.240 nell’Ituri, 590 nel Nord Kivu e 261 nel Sud Kivu). La maggior parte di questi attacchi è stata attribuita a gruppi armati.
Omicidi e rapimenti hanno continuato a verificarsi nel 2021 nel Nord Kivu, dove gli attacchi sono stati condotti anche ai danni di civili sfollati. Il 24 gennaio, un gruppo armato ha assassinato due uomini e ne ha feriti in modo grave altri sei nel corso di un’incursione in un campo di sfollati nel territorio di Masisi, nel Nord Kivu. Una settimana prima di tale aggressione, tre persone soggiornanti presso il campo di sfollati supportato dall’Unhcr a Kivuye, nel territorio di Masisi, sono state rapite nel corso di un assalto condotto da un gruppo armato. Gli assalitori hanno inoltre imposto il coprifuoco nell’area dalle 19, ora a partire dalla quale si recano presso gli alloggi degli sfollati per costringerli a pagare per garantire loro “protezione”.
Le testimonianze

L’Unhcr e i partner hanno raccolto numerose testimonianze da persone sopravvissute a queste violenze mirate. Tra dicembre 2020 e gennaio 2021, nel territorio di Masisi si sono registrate almeno sette incursioni di gruppi armati in cinque differenti campi.
Si registrano oltre 88.000 sfollati soggiornanti in 22 campi sostenuti dall’Unhcr e dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim). Molti altri vivono presso insediamenti spontanei, mentre circa il 90 per cento è accolto in seno alle comunità locali. Attacchi perpetrati da gruppi armati sono condotti in base al sospetto che vi sia collaborazione con altri gruppi e con le forze di sicurezza congolesi. Alcuni di questi siti sono minacciati da molteplici gruppi armati. I civili si ritrovano intrappolati negli scontri tra fazioni differenti.
L’Unhcr ha raccolto testimonianze di gruppi armati che occupano con la forza scuole e case, vietando lo svolgimento delle attività scolastiche e conducendo attacchi contro gli ambulatori medici a Mweso, nel territorio di Masisi, e nel territorio di Lubero.
A novembre 2020, gruppi armati hanno introdotto il pagamento di tasse illegali per quanti desiderano accedere alle proprie fattorie nei propri villaggi di origine, nel territorio di Rutshuru. Tale imposizione ha privato molti della loro unica fonte di sussistenza e reddito. Non disponendo di alcun reddito, le persone sfollate non possono permettersi di pagare tali imposte, che non fanno altro che aggravare la loro condizione. Sebbene le operazioni militari condotte dall’esercito congolese contro i miliziani abbiano successo più spesso che in passato, le forze armate non hanno la capacità di mantenere il controllo delle aree di cui entrano in possesso, consentendo così ai gruppi armati di riappropriarsene e imporsi sulla popolazione locale.
L’Unhcr esorta tutte le parti a rispettare il carattere civile e umanitario dei campi di sfollati e chiede l’avvio di indagini rapide e indipendenti sui crimini commessi affinché i responsabili siano assicurati alla giustizia.
L’Unhcr sta lavorando con le autorità e le comunità locali per assicurare protezione ai civili nelle aree interessate rafforzando le capacità di risposta sul territorio e creando sinergie tra le differenti autorità e le iniziative della società civile. L’Agenzia, inoltre, sta monitorando attentamente la situazione nella maggior parte delle aree mediante i propri partner locali e internazionali.
L’assenza di sicurezza e le violenze che hanno segnato la Repubblica Democratica del Congo negli ultimi due anni hanno costretto alla fuga oltre cinque milioni di persone, di cui quasi due milioni sfollati soltanto nella provincia del Nord Kivu, secondo le stime delle Nazioni Unite. Gli sforzi profusi dall’Unhcr per aiutare gli sfollati interni risentono di una grave carenza di fondi. Ad oggi, è stato finanziato solo il sei per cento dei 195 milioni di dollari necessari affinché l’Unhcr possa implementare le proprie operazioni di vitale importanza nella Rdc.

Il conflitto armato

Per avere contezza della tragica situazione può essere di aiuto il Rapporto 2019-2020 di Amnesty International. Al mese di dicembre dello scorso anno, più di 1500 civili erano stati uccisi, migliaia feriti e almeno 1 milione di persone avevano subito sfollamenti forzati come risultato delle violenze perpetrate nella provincia occidentale di Mai-Ndombe e nelle provincie orientali di Ituri, North Kivu e South Kivu. Decine di gruppi armati locali e stranieri, insieme alle forze armate congolesi, hanno continuato a commettere impunemente gravi violazioni dei diritti umani. Diffuse violazioni dei diritti umani commesse dai gruppi armati hanno evidenziato il fallimento delle forze di sicurezza – anch’esse responsabili di gravi violazioni dei diritti umani – e dei caschi blu nell’assicurare efficientemente la protezione dei civili e nella restaurazione della pace.

Mancato accertamento delle responsabilità

Mentre da una parte le autorità hanno preso provvedimenti per portare davanti alla giustizia i colpevoli delle violazioni dei diritti umani connesse al conflitto, dall’altra non sono riuscite a far sì che la maggior parte dei funzionari militari e civili di più alto profilo sospettati di aver commesso e promosso tali crimini ne rispondessero; tali crimini hanno causato oltre 3000 morti e 2 milioni di persone dislocate internamente fra l’agosto 2016 e il dicembre 2017 nella sola regione di Kasaï. Inoltre diversi politici e alti ufficiali sospettati di gravi violazioni dei diritti umani hanno mantenuto od ottenuto posizioni di privilegio nelle istituzioni statali, compresi l’esercito e la polizia.

A settembre (2020) il presidente ha dichiarato ad alcuni giornalisti francesi, che gli avevano chiesto quale fosse la sua posizione riguardo le violazioni dei diritti umani del passato, che “non aveva tempo di rovistare nel passato”. Non vi è stato alcun progresso nei procedimenti giudiziari in relazione alle violenze tra le comunità Banunu e Batende a Yumbi, nella provincia di Mai-Ndombe, nella parte occidentale del paese, nelle quali sono stati uccisi più di 600 civili in due giorni di violenze orchestrate che, secondo l’ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite i diritti umani, potrebbero essere considerate crimini contro l’umanità.

A giugno l’azione giudiziaria militare ha emesso un mandato di arresto per Guidon Shimiray Mwisa, il [capo] della milizia denominata Nduma Defense of Congo-Rénové (Ndc-R), per crimini secondo il diritto internazionale, inclusi omicidi, stupri di massa e reclutamento di bambini, commessi dallo stesso leader o dalle sue milizie. Tuttavia, secondo il gruppo di esperti dell’Onu, la Ndc-R ha continuato a commettere violazioni dei diritti umani nella provincia di North Kivu, con la collaborazione di alti ufficiali [dell’esercito] congolese. Le autorità hanno mancato di prendere provvedimenti adeguati al fine di imporre il mandato di arresto e assicurare alla giustizia Guidon Shimiray Mwisa. Il processo militare di Ntabo Ntaberi Sheka, leader di una fazione del Nduma Defence of Congo, nell’ambito del quale è stato accusato di gravi violazioni dei diritti umani nella provincia di North Kivu è giunto a uno stallo nella metà del 2019, poiché la corte ha posticipato continuamente il processo senza validi motivi. Si pensa che le sue milizie, nel 2010, siano state responsabili di crimini fra cui lo stupro di 387 fra donne, uomini e bambini.

Nel corso dell’anno, gruppi per i diritti umani a livello locale e internazionale hanno ripetutamente lanciato appelli al governo perché Gédéon Kyungu Mutamba venga processato per crimini contro l’umanità per i quali, nel 2009, fu già condannato da un tribunale militare a Lubumbashi (una città sud-orientale). Mutamba ha continuato a godere della libertà in una villa fornitagli dallo stato a Lubumbashi, dopo essersi arreso alle autorità nell’ottobre 2016 e dopo una fuga dalla prigione nel 2011. I tribunali militari hanno ascoltato molti resoconti di casi di violenza sessuale legati a conflitti. A novembre, ad esempio, il leader della milizia Frédéric Masudi Alimasi (noto anche come Koko di Koko) è stato condannato all’ergastolo a Bukavu, una città nella parte orientale del Paese, per omicidi, sparizioni forzate, tortura e stupro. Nello stesso mese un soldato è stato condannato nella provincia di Bas-Uélé a 20 anni di carcere per lo stupro di due bambini di tre e quattro anni.

Giustizia internazionale

A luglio il Tribunale penale internazionale ha riconosciuto Bosco Ntaganda colpevole di crimini di guerra e di crimini contro [l’umanità] commessi nella provincia orientale di Ituri fra il 2002 e il 2003 e, a novembre, è stato condannato a 30 anni di carcere.

A settembre l’esercito congolese ha annunciato di aver ucciso Sylvestre Mudacumura, il capo militare delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Democratic Forces for the Liberation of Rwanda – Fdlr). Sylvestre Mudacumura era ricercato dal Tribunale penale internazionale, che nel 2012 aveva emesso un mandato di cattura per il suo arresto per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi dall’Fdlr nella parte orientale della Repubblica democratica del Congo.

Libertà d’espressione, associazione e riunione

A gennaio il governo ha oscurato completamente Internet, insieme a diversi mezzi stampa, per 20 giorni, nel tentativo di arrestare la pubblicazione di risultati ufficiosi delle elezioni e fermare diffuse proteste contro accuse di massicce frodi elettorali.

A marzo le autorità hanno annunciato che oltre 700 persone erano state scarcerate e che tutti i centri di detenzione illegali gestiti dall’agenzia di intelligence nazionale erano stati chiusi su ordine del presidente. Fra coloro che sono stati scarcerati vi sono prigionieri di coscienza e altre persone che erano state detenute arbitrariamente per un tempo prolungato. Le autorità hanno consentito che diversi attivisti politici e della società civile esiliati, insieme a giornalisti stranieri e difensori dei diritti umani che per anni erano stati considerati sgraditi, facessero ritorno nel paese per svolgere le loro attività. Tuttavia le autorità civili e la polizia hanno continuato a proibire e a reprimere con la violenza le assemblee e le dimostrazioni pacifiche, impunemente. Le autorità hanno imposto il requisito di autorizzazione prioritaria per le dimostrazioni, in violazione della costituzione.

Per tutto l’anno almeno 35 dimostrazioni pacifiche sono state disperse dalla polizia, che ha esercitato una forza eccessiva contro i dimostranti, ferendone ameno 90 e arrestandone arbitrariamente un alto numero. A giugno almeno un dimostrante è morto in seguito a ferite d’arma da fuoco a Goma nella parte orientale della Rdc dopo che le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco contro dimostranti pacifici. A luglio, il governatore di Kinshasa ha proibito una dimostrazione contro un ex ministro della Giustizia che era stato scelto come candidato per la presidenza del senato. La dimostrazione ha avuto comunque luogo e la polizia ha fatto ricorso all’uso eccessivo della forza contro i manifestanti. In agosto agenti della polizia hanno fatto uso di violenza anche per impedire la realizzazione di una manifestazione del partito pro-Union for Democracy and Social Progress che si sarebbe tenuta per denunciare la corruzione del governo e promuovere la buona governance…

Detenzione

Le condizioni delle carceri sono rimaste spaventose. Almeno 120 carcerati sono morti per fame, per mancanza di accesso all’acqua pulita e a un’assistenza sanitaria adeguata. Fra questi, 45 persone sono morte nella sola prigione centrale di Bukavu, fra gennaio e ottobre. Mentre le prigioni erano pesantemente sovraffollate e scarsamente finanziate, pochi o nulli sono stati gli sforzi per migliorarne le condizioni. Oltre 300 detenuti sono fuggiti dalle carceri nelle provincie di Kongo-Central, Kasaï-Central, Ituri e Tshuapa.

Diritti delle popolazioni native

I nativi twa – cacciati dalle loro terre nel 1975 senza previo, libero e informato consenso quando fu istituito il Kahuzi Biega National Park, nella parte orientale della Rdc – hanno aperto un dialogo con le autorità del parco nazionale per risolvere la controversia. Tuttavia le reiterate promesse di fornire loro terre, impieghi e servizi pubblici alternativi e di liberare i twa incarcerati perché potessero fare ritorno nel territorio del parco non sono state mantenute e molti twa sono tornati nel parco come forma di protesta.

 Per Globalist tutti i morti pesano come montagne. Sulla coscienza di un mondo “distratto”. Perché non si possa dire: io non sapevo.

 

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