Matteo Salvini, l'ultimo epigono di Eretz Israel
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Matteo Salvini, l'ultimo epigono di Eretz Israel

Matteo Salvini, intervistato dal quotidiano israeliano Israel HaYom vicino alla destra ultranazionalista risponde sì giornalista che gli chiede e è favorevole a riconoscere Gerusalemme come capitale

Matteo Salvini, l'ultimo epigono di Eretz Israel
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

31 Agosto 2022 - 14.55


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Parole in libertà. Parole dal sen fuggite. Nella galleria degli orrori, in politica estera, entra a pieno titolo l’ultima sparata di Matteo Salvini.

L’ultimo epigono di Eretz Israel

Ripercorriamo la cronaca dell’improvvida uscita del leader leghista. “Assolutamente sì, ho dato la mia parola, sono pienamente impegnato con il popolo di Israele e intendo mantenere la mia parola”. Matteo Salvini, intervistato dal quotidiano israeliano Israel HaYom vicino alla destra ultranazionalista israeliana. risponde così al giornalista che gli chiede se onorerà, in caso di vittoria elettorale, la sua promessa di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e di spostare l’ambasciata italiana a Gerusalemme.

Il centrodestra, ha sostenuto Salvini a Israel Hayom, come “squadra” è “maggioranza nel Paese” ma “non nelle redazioni dei grandi giornali e nel mainstream di certa intellighenzia di sinistra che ha tendenzialmente una visione intollerante e poco democratica, concepisce chi non condivide i suoi valori come un nemico da abbattere non come un avversario con cui confrontarsi”. Quindi l’affondo sul Pd, ricordando il caso di Raffaele La Regina, candidato in Basilicata: “All’estero debbano guardare con preoccupazione al fatto che il Pd aveva candidato, addirittura come capilista, personaggi che hanno scritto insulti vergognosi contro Israele e il suo diritto a esistere e a difendersi. Come ha dichiarato un intellettuale come Paolo Mieli, in una recente intervista al quotidiano italiano ‘Libero’ non si tratta di casi isolati, ma di un atteggiamento molto diffuso all’interno del Pd in cui, cito Mieli, ‘comanda ancora un nucleo che ha le proprie radici culturali nella storia e negli ideali della rivoluzione d’ottobre’”. E il leader della Lega ha quindi ricordato che “un’altra intellettuale e giornalista, Fiamma Nirenstein, su il Giornale ha denunciato ‘l’uso dell’antisemitismo antisraeliano come arma di consenso’ della sinistra e ha ricordato che l’esponente del Pd Boldrini, ex presidente della Camera dei Deputati, ‘ha invitato alla Camera Mohamed Ahmed al Tayyeb, l’Imam che invoca la distruzione di Israele’. Sono indignato e preoccupato”.

La risposta dem è stata affidata a Piero Fassino, presidente della Commissione Esteridella Camera: “Anziché autoinvestirsi del ruolo di difensore di Israele, Salvini dovrebbe spiegare all’opinione pubblica israeliana che il suo principale alleato e con cui vorrebbe governare l’Italia è un partito che per anni ha coltivato apertamente nostalgia del fascismo e tuttora nelle sue file sono non pochi coloro che esaltano un passato tragico che il popolo ebraico ha pagato con 6 milioni di vittime”, ha ricordato Fassino. “Così come – ha sottolineato – è penosa propaganda far credere che il Partito Democratico abbia ostilità verso Israele, quando è ampiamente documentato l’impegno del Pd contro ogni forma di antisemitismo, antisionismo e ostilità allo Stato di Israele, per i cui diritti e per la cui sicurezza il Pd si è sempre battuto senza se e senza ma”.

Così Fassino. Una risposta politicamente corretta ma pur sempre sulla difensiva. Con il centrosinistra che rincorre la destra sul terreno che quest’ultima sceglie d’imporre. In questo caso, Israele. 

Nell’intervista succitata, Salvini chiama in causa, pesantemente,  Laura Boldrini. La ex presidente della Camera non ha bisogno della difesa di chi scrive, pur avendo amicizia e stima vicendevoli fin dai tempi in cui Boldrini era portavoce in Italia dell’Unhcr (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati). 

Ben più efficace è  l’articolo pubblicato da Globalist nei giorni seguenti alla durissima, e indebita, presa di posizione dell’Ambasciata d’Israele contro la parlamentare Pd.

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Sono ex ambasciatori che nella loro carriera hanno ricoperto importanti incarichi diplomatici.  Esponenti di quella classe intellettuale che non si piega al pensiero unico che domina da tempo la politica d’Israele.

Ambasciatori in difesa

“Mi chiamo Ilan Baruch e sono un ex ambasciatore israeliano in Sudafrica e presidente del Policy Working Group, un collettivo di accademici israeliani di alto livello, ex ambasciatori e difensori dei diritti umani che sostengono e promuovono la trasformazione delle relazioni tra Israele e Palestina dall’occupazione alla convivenza basata su una soluzione a due stati. Vi scrivo per condividere con voi una lettera aperta che ho firmato insieme ad altri 13 personaggi pubblici israeliani a sostegno della deputata Laura Boldrini”. Inizia così una nota che accompagna una lettera in inglese firmata da 14 accademici e difensori dei diritti umani. “Come israeliani dediti alla pace e ai diritti umani- si legge nella missiva- esprimiamo il nostro sostegno alla deputata del Partito democratico Laura Boldrini, che attualmente sta affrontando un grave attacco da parte della destra in Italia e dall’ambasciata israeliana a Roma, a seguito dell’audizione del 20 dicembre della sottocommissione per i diritti umani al parlamento italiano, da lei stessa presieduta”. Nell’audizione, prosegue il testo, “la sottocommissione ha ospitato i direttori delle Ong palestinesi al-Haq e Admeer sul tema dell’inserimento, a ottobre scorso, di sei Ong palestinesi per i diritti umani nella lista delle organizzazioni terroristiche da parte di Israele. Da allora, la deputata Boldrini è stata accusata di sostenere il terrorismo”. Tuttavia secondo i firmatari “Israele finora non ha presentato nessuna prova concreta e credibile a sostegno di tali accuse. Così come la campagna diffamatoria contro Boldrini, anche la criminalizzazione israeliana delle sei Ong è motivata politicamente. Ha lo scopo di distruggere e togliere finanziamenti alle Ong dedite alla resistenza non violenta all’occupazione israeliana, e alla difesa dei diritti dei palestinesi che- si legge ancora- sono sistematicamente violati da Israele nei Territori palestinesi occupati

La lettera prosegue: “Per anni, il governo israeliano ha condotto campagne aggressive per ridurre lo spazio civico per quelle ong che criticano la sua violenta occupazione della Palestina e che denunciano le sue violazioni sistematiche del diritto internazionale. Il governo israeliano ha esteso questa campagna in Europa e sta cercando di ridurre lo spazio parlamentare per i diritti umani”. Da qui la decisione dei membri del Policy Working Group di lanciare un appello ai paesi erupei: “Esortiamo i parlamentari europei a seguire l’esempio della deputata Boldrini, invitando i difensori dei diritti umani palestinesi a intervenire al Parlamento europeo per parlare della situazione in Palestina”. I firmatari, oltre all’ex ambasciatore Ilan Baruch, sono: Elie Barnavi, ex ambasciatore israeliano in Francia; Michael Ben-Yair, ex procuratore generale di Israele ed ex giudice della corte suprema; Yoram Bilu, vincitore del Premio Israele (2013); Roman Bronfman, ex membro della Knesset; Avraham Burg, ex presidente della Knesset ed ex capo dell’Agenzia Ebraica; Naomi Chazan, ex membro e vicepresidente della Knesset ed ex presidente di New Israel Fund; Itzhak Galnoor, ex capo della Commissione per il servizio civile israeliano; Zehava Galon, ex membro della Knesset ed ex presidente del partito Meretz; Miki Kratsman, vincitore del Premio Emet 2011; Alex Levac, vincitore del Premio Israele 2005; Alon Liel, ex direttore generale del ministero degli Affari Esteri israeliano ed ex ambasciatore israeliano in Sudafrica e in Turchia; Kobi Metzer, ex presidente della Open University of Israel; David Shulman, vincitore del Premio Israele 2016 e vincitore del Premio Emet 2010.

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Il 21 ottobre 2021 l’ambasciata israeliana in Italia si era detta, in una nota, “scioccata” dal fatto che un terrorista condannato e due organizzazioni terroristiche come “Al-Haq” e “Addameer”, entrambe parte dell’organizzazione terroristica “Fronte popolare per la liberazione della Palestina” (“Fplp”), fossero state formalmente invitate a parlare in Parlamento.

“Questo invito – scriveva a rappresentanza israeliana in Italia – è un riconoscimento per il terrorismo e contrasta completamente con l’aspettativa dell’intera comunità internazionale di dissuadere e impedire alle organizzazioni terroristiche di operare dall’interno di strutture civili e di impedire che qualunque forma di finanziamento finisca nelle mani delle organizzazioni terroristiche”.

Quell’accusa infamante

I premi Nobel per la pace Jimmy Carter, Desmond Tutu, Mairead Maguire. Organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International, Human Rights Watch. E l’elenco potrebbe proseguire a lungo. Personalità e organizzazioni che hanno denunciato i crimini commessi a Gaza, e per questo sono stati considerati “antisemiti”.

La memoria torna a quell’estate di sangue del 2014. Ci sono anche sette premi Nobel per la Pace tra i 64 firmatari di una lettera aperta nella quale si chiede che venga applicato, nei confronti di Israele, un embargo internazionale per quanto riguarda la vendita delle armi. La lettera-appella è del 21 luglio 2014. La missiva, sul Guardian, chiede che il provvedimento venga preso per i “crimini di guerra e i possibili crimini contro l’umanità a Gaza”. “Israele – si legge nella lettera – ha ancora una volta scatenato tutta la forza del suo esercito contro la popolazione palestinese, in particolare quella della Striscia di Gaza, in un atto disumano e in una illegale aggressione militare. La capacità di Israele di lanciare questi attacchi impunemente deriva in gran parte dalla vasta cooperazione militare internazionale che intrattiene con la complicità dei governi di tutto il mondo. Chiediamo alle Nazioni Unite di attuare immediate misure di embargo militare nei confronti di Israele simili a quelle inflitte al Sudafrica durante l’apartheid”. Tra i firmatari dell’appello ci sono anche sette premi Nobel per la Pace: si tratta in particolare di Desmond Tutu, Betty Williams, Federico Mayor Zaragoza, Jody Williams, Adolfo Peres Esquivel, Mairead Maguire e Rigoberto Menchu. Ma non solo: il documento è stato sottoscritto anche da importanti accademici come Noam Chomsky e Rashid Khalidi, dai registi Mike Leigh e Ken Loach, dai musicisti Roger Waters e Brian Eno, dagli scrittori Alice Walker e Caryl Churchill e dai giornalisti John Pilger e Chris Hedges. Tra i firmatari, inoltre, ci sono anche due accademici israeliani: Ilan Pappe e Nurit Peled.

Elenco lunghissimo

Amira Hass, Gideon Levi, Zvi Bar’el, Anshell Pfeffer. E l’elenco potrebbe proseguire a lungo. E comprendere gli attivisti di B’tselem o di Peace Now. E i militari che a un certo punto hanno detto basta ad essere strumenti di occupazione. Hass, Levi, Bar’el, Pfefffer: sono alcune delle firme più prestigiose del giornalismo israeliano e di uno dei più autorevoli quotidiani d’Israele: Haaretz. Nei loro articoli hanno raccontato dei guasti dell’occupazione, della colonizzazione, dell’oppressione esercitata sul popolo palestinese. Sono per questo degli antisemiti? E lo sono scrittori o storici che non hanno mai smesso di battersi per riconoscere i diritti dell’altro da sé, senza per questo venir mai meno al loro orgoglio di essere ebrei e israeliani: penso ai compianti Abraham Yehoshua, Amos Oz e Zeev Sternhell, a David Grossman, che nell’ultima guerra in Libano ha pianto la morte di suo figlio Yoni. Chi scrive ha avuto il privilegio di conoscerli, d’intervistarli, con qualcuno di loro di diventare amico. Sono anche loro antisemiti perché hanno preso posizione contro i guasti prodotti dalla colonizzazione dei Territori palestinesi occupati? E lo sono premi Nobel per la pace, come l’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter o l’eroe della lotta all’apartheid Desmond Tutu, che hanno raccontato del regime di apartheid che vige in Cisgiordania e degli effetti devastanti che oltre un decennio di assedio a Gaza ha provocato sulla vita di quasi 2 milioni di palestinesi, il 56% dei quali minorenni? Chi scrive ha sempre pensato, comportandosi di conseguenza, che mai, mai, Israele andava criticato per quello che è (il focolaio nazionale ebraico che si fa Stato) , ma per quello che fa. Per le politiche portate avanti dai suoi governi, quando esse provocano sofferenza e umiliazione che non possono essere giustificate invocando il diritto di difesa. Tutto ciò non ha nulla a che fare con l’antisemitismo, un marchio d’infamia che non ci appartiene. Ai leoni da tastiera che imbracciano come un fucile questa spregevole parola, che affibbiano etichette infamanti, una sola cosa vorremmo chiedere: chi è un “vero amico d’Israele”? Chi avalla ogni scelta, chi chiude gli occhi di fronte a crimini documentati, o chi nel denunciare certi comportamenti, certe azioni, cerca di aiutarti a non sbagliare? A raccontare la “guerra” ai bambini palestinesi sono coraggiosi giornalisti israeliani, come Gideon Levy, a raccogliere testimonianze angoscianti sono organizzazioni come Save the Children. Tanti bambini israeliani sono morti in attacchi terroristici. Li ho nel cuore. Ma ciò non significa giustificare, o lasciar cadere una cappa di silenzio, l’infanzia violata di migliaia di bambini palestinesi. Raccontare la loro sofferenza, le loro storie. In vita e in morte. Questo vuol dire essere antisemita?

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Matteo Salvini risponderebbe di sì. 

Chiosa finale. Le uscite di Salvini come quelle iperatlantiste di Giorgia Meloni danno conto di una destra che non è genericamente “filo americana” ma “filotrumpiana”, che è ben altra cosa. E tra gli irriducibili trumpiani in America ci sono gli evangelici fondamentalisti che hanno agito, molto più delle associazioni ebraiche statunitensi, sull’amministrazione Trump, soprattutto attraverso il convertito vice presidente Mike Pence, affinché l’ambasciata Usa fosse spostata a Gerusalemme. La ragione? Perché Gerusalemme, sostennero allora, è la capitale del “Regno di Giudea e Samaria”. 

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