Si può attivare un intervento di “helicopter money” in Italia? Una proposta per realizzarlo
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Si può attivare un intervento di “helicopter money” in Italia? Una proposta per realizzarlo

L'helicopter money è una immissione a pioggia di denaro nel sistema economico in forma diretta verso privati ed imprese. Una idea alternativa per usarlo da noi di fronte alla crisi

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Giuseppe M. Pignataro Modifica articolo

3 Maggio 2020 - 09.30


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Uno dei problemi più critici che affliggerà la nostra economia dopo la fine progressiva del lockdown e fino all’utilizzo su vasta scala di un vaccino, sarà la debolezza sia della domanda estera che interna; una combinazione negativa quanto mai deleteria dopo il crollo verticale del pil già subita durante la fase del lockdown.
Sul versante delle esportazioni abbiamo poche leve per poter agire fino al ritorno di una piena normalità e comunque stenteranno a riprendersi per motivi legati anche alle situazioni asimmetriche con cui l’epidemia del corona virus si sta sviluppando nei vari paesi del mondo.
Sul versante interno i consumi e gli investimenti saranno inizialmente molto deboli e la domanda rischia di rimanere fiacca a lungo per varie ragioni:
la riduzione drastica dei redditi disponibili delle famiglie;
la limitata capacità di movimento delle persone;
il limitato spazio d’azione dal lato dell’offerta commerciale;
la scarsa propensione a fare nuovi investimenti da parte delle imprese per le forti incertezze che gravano sul futuro;
la scarsa fiducia di famiglie ed imprese sulle prospettive del nostro paese.
In un contesto così depressivo e per molti versi unico nella storia economica del nostro paese, considerato l’altissimo livello di indebitamento raggiunto dallo stato, molti evocano il ricorso a soluzioni estreme come quella del cosiddetto “helicopter money” per dare una scossa forte all’economia del nostro paese.
In che cosa consiste questo intervento?
Si tratta in buona sostanza della immissione a pioggia di denaro nel sistema economico in forma diretta verso privati ed imprese.
Questo intervento così definito da Milton Friedman nel 1969 per descrivere un aumento della massa monetaria attraverso un elicottero che fa piovere denaro dal cielo, per contrastare quella che viene definita “la trappola ella liquidità”, può essere realizzato in due modi.
Il primo è quello con cui la Banca Centrale fa arrivare il denaro direttamente ai cittadini e alle imprese accreditandolo nei loro conti bancari, il secondo si realizza attraverso acquisti di nuovo debito pubblico degli stati sempre da parte della Banca Centrale ed in seguito i governi fanno affluire le risorse come meglio credono nella disponibilità di cittadini ed imprese.
Anche se sembra in apparenza una iniziativa dirompente gli esperti non sono d’accordo tra di loro sulla piena utilità di questa iniziativa.
I fautori sostengono che in situazioni di crisi acuta della domanda costituisce il modo più efficace per dare una spinta decisa ai consumi e agli investimenti privati producendo effetti complessivamente virtuosi sull’economia. I detrattori sostengono invece che non è scontato che il denaro venga utilizzato per essere speso ed in ogni caso ci sarebbero grandi rischi di una esplosione dell’inflazione e di una svalutazione della moneta che neutralizzerebbero gli effetti positivi iniziali.
A prescindere dalla validità delle ragioni dell’uno o dell’altro fronte, la discussione per il nostro paese risulta sostanzialmente sterile in quanto questa soluzione nell’area euro di fatto non può essere realizzata per alcuni motivi di fondo.
La BCE è una istituzione giuridica indipendente il cui capitale è detenuto dalle banche centrali dei paesi dell’area euro per un totale di circa il 70% (l’altro 30% è posseduto dagli altri otto stati della UE) con quote proporzionali al pil. Queste banche (solo le banche centrali appartenenti ai paesi dell’euro) che conferiscono anche riserve alla BCE con gli stessi criteri della ripartizione del capitale, hanno il diritto di partecipare alla distribuzione degli utili e l’obbligo di concorrere alla copertura delle perdite.
La BCE, come tutte le realtà economiche, ha anch’essa delle regole di bilancio da rispettare; di conseguenza deve mantenere un equilibrio tra totale dell’attivo e totale del passivo e se produce delle perdite che erodono il capitale, deve essere ricapitalizzata dai partner, proporzionalmente alle loro quote di partecipazione al capitale e alle riserve.
Emettere moneta per una banca centrale significa aumentare il proprio passivo e se la moneta viene immessa nel circuito economico direttamente tramite i privati, in forma di trasferimenti puri e non attraverso prestiti o l’acquisto di attività finanziarie non si produrrebbe alcun controbilanciamento nel suo attivo patrimoniale; aumenterebbe così vertiginosamente il passivo e di conseguenza si determinerebbe una perdita che in qualche modo deve essere coperta dai paesi dell’euro. La stessa cosa può succedere se la BCE emette moneta per comprare titoli di stato in grande quantità per finanziare direttamente gli stati dei paesi europei che poi non sono in grado di rimborsare i propri debiti.
Tenuto conto pertanto che i problemi correlati all’adozione di un intervento monetario così strutturato andrebbero principalmente a ricadere sugli stati con quote di partecipazione più elevate e più solidi, questi non sono affatto favorevoli a perseguire una tale politica di intervento.
Inoltre la BCE, deve rispettare dei precisi regolamenti sottoscritti da tutti gli stati membri all’atto della sua costituzione che vietano sostanzialmente la monetizzazione dei debiti pubblici, ossia l’acquisto diretto in sede di emissione dei titoli di debito degli stati nel momento in cui questi si finanziano sul mercato.
E’ peraltro anche vietato il finanziamento di deficit statali e cioè la possibilità per gli stati di farsi finanziare lo sbilancio tra entrate uscite dalla BCE.
In poche parole l’helicopter money per i paesi europei, con buona pace di coloro che invocano a gran voce questo intervento da parte della BCE, tra cui alcuni autorevoli esponenti politici italiani, allo stato attuale non è realizzabile in alcun modo.
Tuttavia, nella situazione in cui ci troviamo non si può assistere inermi allo sconquasso che sta avvenendo nel nostro sistema economico, accettando quanto sta accadendo come un fatto ineluttabile. Occorre per contro escogitare, come in una guerra, ogni azione possibile, anche la più ardita per vincere e per non precipitare nel baratro della sconfitta, anche quando tutto sembra volgere contro.
Muovendoci sulla base di questo assunto proviamo quindi a presentare una nostra proposta finalizzata a dare un poderoso impulso ai consumi e agli investimenti.
L’obiettivo è quello di ottenere lo stesso risultato di una immissione di denaro a pioggia nel sistema attraverso un intervento alternativo che abbiamo chiamato “helicopter tax certificates” o “HTC” e che potrebbe funzionare in questo modo:
lo stato decide di emettere dei “certificati fiscali” che danno diritto a riscuotere crediti di imposta sulla semplice base del loro possesso, aventi la caratteristica della negoziabilità e della trasferibilità al portatore, per una cifra adeguatamente consistente (pari al valore previsto della perdita del pil o della domanda interna nel 2020) al fine di dare un contraccolpo imponente ed immediato alla caduta della produzione di ricchezza;
tali titoli che potremo chiamare “exepense tax certificates” o “ETC” (certificati fiscali di spesa) dovrebbero essere distribuiti direttamente dallo stato a determinate categorie di famiglie, comprendendo un’area più vasta possibile, e a tutte le imprese più duramente colpite dalla crisi epidemiologica, sulla base di un criterio di necessità emergenziale;
i certificati potranno essere utilizzati per acquisti di qualunque tipo di beni e servizi da tutte le aziende che decideranno di accettarli in pagamento delle loro forniture;
le imprese che li ricevono in pagamento delle loro merci o dei loro servizi venduti, potranno a loro volta utilizzarli come: risparmi d’imposta a partire dal 2022, dilazionando il loro impiego su un arco di tempo di tre anni; per pagamenti di acquisti di merci e servizi da altre imprese; oppure cederli alle banche o a società di factoring per monetizzarli;
i certificati non potranno essere trasformati in denaro nelle transazioni tra i privati, affinchè esplichino pienamente la loro funzione di dare impulso alla crescita della domanda interna, ed avranno una scadenza per il loro primo utilizzo molto ravvicinata (60giorni); nel loro primo impiego non potranno neanche essere ceduti alle banche per essere monetizzati;
saranno inoltre distribuiti ai beneficiari individuati, gradualmente e su base mensile, per compensare la perdita di reddito o di fatturato subita nel corso della crisi.
In questo modo tutti i soggetti che ricevono questo “regalo” dallo stato avranno interesse a spenderlo il più presto possibile, compenseranno in buona parte la perdita di reddito o di fatturato subita senza accrescere l’indebitamento e la spinta alla crescita della domanda interna sarebbe certa.
Lo stato dal canto suo non avrà un incremento di debito immediato ma subirà una contrazione delle sue entrate negli anni in cui i certificati fiscali saranno estinti dai detentori finali; tuttavia in questi anni il minor gettito fiscale sarà auspicabilmente compensato dalle entrate prodotte dalla crescita del pil che nel frattempo si sarà realizzato.
Inoltre per effetto della diluizione su un arco di tre anni della estinzione dei certificati, a partire dal 2022, lo stato avrebbe un aumento di entrate immediato dovuto all’incremento dei consumi, degli investimenti e della produzione e quindi del pil, già a partire dal 2020 e una riduzione di entrate differite e diluite nel tempo per effetto della estinzione progressiva dei certificati.
Il risultato netto potrebbe essere comunque molto positivo in quanto l’effetto tonificante immediato sull’economia attiverebbe un volano che svilupperebbe un ritorno a livelli di pil ante crisi molto più rapido di quello che si potrebbe avere in assenza di un tale strumento, salvando molte imprese da probabili default e salvaguardando quindi il potenziale di sviluppo della ricchezza del paese nel tempo.
Come sempre avviene per le soluzioni innovative non mancheranno le obiezioni da parte di alcuni esperti quali ad esempio:
gli “ETC” sarebbero una simil- moneta e lo stato italiano non può emettere moneta; sarebbero percepiti comunque come una via per creare un’alternativa all’euro generando molte turbolenze sui mercati;
avrebbero una efficacia limitata perché molte aziende sono molto scettiche verso lo stato e nella sua capacità di mantenere gli impegni assunti;
sarebbe molto complicato distribuirli con equità, stabilendo criteri ineccepibili di distribuzione dei sussidi;

sarebbe molto complicato gestire i tagli dei valori dei certificati per renderli effettivamente spendibili per le singole fattispecie, senza trasformarli in moneta corrente;
molte imprese non li accetterebbero in pagamento tenuto conto che per acquisire i benefici finanziari dei risparmi d’imposta si dovrebbe attendere troppo tempo e la trasformazione in moneta attraverso le banche non sarebbe certa e avrebbe un costo;
chi li accetta in pagamento potrebbe vendere le merci ad un prezzo superiore rispetto al pagamento in denaro perché gli ETC avrebbero un grado di fungibilità più limitato;
ci sarebbe un’alterazione della concorrenza tra imprese beneficiarie e non;
L’effetto di lungo termine potrebbe essere non positivo o neutro perché si anticiperebbero consumi ed investimenti che verrebbero a mancare quando si interromperà il loro utilizzo;
la commissione europea potrebbe inibirli perché sarebbero un deficit differito sui conti dello stato il cui effetto potrebbe non essere assorbibile allorchè si manifesterà;
potrebbe essere considerato un precedente pericoloso per aggirare i vincoli di bilancio fissati in sede comunitaria.
Tutte queste obiezioni sono a nostro avviso infondate e comunque in situazioni di emergenza vanno individuate ed accettate soluzioni di emergenza, anche in presenza di qualche controindicazione.
A riguardo per non appesantire la disamina di questo articolo precisiamo soltanto che i crediti d’imposta sono largamente utilizzati in tutti i paesi del mondo per stimolare gli investimenti e per accrescere i redditi disponibili delle famiglie. Essi sono quasi sempre correlati all’effettuazione di spese d’investimento.
Gli ETS invece avrebbero una funzione molto più ampia e sarebbero finalizzati in prima istanza a ripristinare un reddito o un fatturato che per motivi eccezionali si è improvvisamente interrotto o ridotto drasticamente; verrebbero concessi in via preventiva alle transazioni che normalmente generano i crediti d’imposta restando comunque risparmi d’imposta nella loro sostanza, e soprattutto verrebbero utilizzati su larga scala e resi negoziabili e trasferibili. Di conseguenza così come tutti i crediti d’imposta non generebbero nuovo debito per lo stato. Essi possono risultare molto utili anche per chi li riceve in pagamento perché servirebbero ad accrescere sensibilmente la propria capacità di vendita e quindi in momenti di forte carenza della domanda a preservare la propria capacità produttiva fino al momento del ritorno alla normalità; di conseguenza il loro grado di accettazione potrebbe essere molto vasto.
Non sono affatto una moneta perché non sono un bene fungibile come la moneta che può essere utilizzata sia per il consumo che per il risparmio secondo la propensione di chi la possiede, conservando sempre il suo valore nel tempo; la loro funzione sarebbe solo quella di essere destinati alla spesa ed avrebbero una scadenza di validità ben definita.

Per contro i vantaggi associati a questo strumento potrebbero essere importanti:
i certificati fiscali di spesa andrebbero a dare immediati benefici a tutti coloro (privati cittadini ed imprese) che hanno problemi di liquidità e di carenza di fatturato, sarebbero assimilabili a dei trasferimenti in denaro a fondo perduto, creerebbero un evidente effetto benefico sui bilanci delle imprese che li ricevono in prima istanza e dovendo essere spesi in un tempo definito genererebbero di fatto un effetto surrogatorio della immissione della liquidità nel sistema;
non generebbero alcun debito immediato per lo stato ma minori entrate future, in anni in cui sono attese situazioni di sviluppo economico più confortanti, e creerebbero in tal modo un clima di maggior fiducia sugli investitori in titoli di stato;
potrebbero essere emessi per essere destinati a rilanciare settori economici specifici in forma selettiva: per acquisti di beni di prima necessità; per beni durevoli; per specifici settori industriali o commerciali; per servizi turistici; ecc….; in modo tale da indirizzare flussi di domanda ben definiti verso settori economici più bisognosi di rilancio;
potrebbero essere gestiti in modo snello attraverso delle autocertificazioni (di semplice compilazione) verificabili a posteriori;
il volume emesso potrebbe essere consistente ed idoneo quindi a rilanciare adeguatamente la ripresa economica;
avrebbero un effetto più incisivo dell’helicopter money sul rilancio dei consumi in quanto con questo intervento il denaro potrebbe anche essere destinato in toto o in parte al risparmio, così come avvenuto in alcuni casi di ricorso ad iniziative di questo genere in passato, vanificando lo scopo del loro ricorso.
Come per tutte le nuove idee in campo economico ci saranno quindi detrattori e sostenitori; ad ogni buon conto crediamo che solo le soluzioni innovative potranno farci uscire da questo brutto tunnel che abbiamo improvvisamente imboccato.
Confidando che per il bene comune oltre alle nostre proposte ce ne siano altre e migliori e che il governo si decida a fare qualcosa di davvero straordinario e di davvero salvifico per evitare lo scenario terribile che si va prefigurando.
Purtroppo, come abbiamo già detto e ripetuto, (vedi nostri articoli pubblicati su questo giornale dal 3.3 ad oggi) né le iniziative che si stanno pianificando in sede europea, né quelle già introdotte sul versante interno hanno la forza di evitare al paese un grave impoverimento strutturale.

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