Saverio Tutino, hombre de vuelta
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Saverio Tutino, hombre de vuelta

Fidel Castro, Ernesto Che Guevara, Salvador Allende, Amilcar Cabral, Regis Debray, Roque Dalton, Jorge Semprún, Herbert de Souza, sono tra le grandi figure del Novecento che Tutino ha incrociato nei suoi percorsi latinoamericani. 

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Saverio Tutino
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14 Settembre 2023 - 00.51


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di Andrea Mulas

«Esta es tu casa», così Fidel Castro salutò Saverio Tutino quando lasciò l’isola nel 1968. Tutino (partigiano, classe 1923) è stata una delle penne che hanno raccontato dalle viscere l’America Latina degli anni Sessanta e Settanta, quel continente dalle “vene aperte” (per dirla con Eduardo Galeano), ritenuta la “regione più esplosiva del mondo”, e come tanti intellettuali si impegnò per dare voce ai popoli sudamericani attraverso reportage, articoli, contributi su riviste. 

Uomo controcorrente, inquieto, eclettico, forse è stato l’unico giornalista europeo che con le sue corrispondenze e pubblicazioni abbia scandagliato dall’interno le specificità e i limiti sia della rivoluzione castrista sia delle guerriglie latinoamericane. Fidel Castro, Ernesto Che Guevara, Salvador Allende, Amilcar Cabral, Regis Debray, Roque Dalton, Jorge Semprún, Herbert de Souza, sono tra le grandi figure del Novecento che Tutino ha incrociato nei suoi percorsi latinoamericani. 

Il primo “contatto” con l’America Latina risale al 1962, quando viene inviato dal quotidiano “l’Unità” a Cuba all’epoca della crisi dei missili, unico giornalista dell’Europa occidentale: «Nel 1962, il mondo non aveva ancora veramente scoperto l’America Latina», così iniziava il suo lavoro (ancora insuperato) sulla crisi dei missili, L’ottobre cubano. Lineamenti di una storia della rivoluzione castrista (Einaudi, Torino 1968). Sono gli anni in cui la Rivoluzione cubana pone il problema della conquista del potere per la costruzione del socialismo come compito irrinunciabile delle sinistre latinoamericane, ma sono anche gli anni della rivoluzione al potere. «Narratore raffinato di un giornalismo in via di estinzione» (così lo ha definito Maurizio Chierici, altra penna prestigiosa latinoamericanista), come nessun altro italiano Tutino ha saputo raccontare la Cuba castrista con pagine esaurienti e interessanti; ha documentato le contraddizioni e le ambiguità di una rivoluzione che rappresentava una eccezione, e come tale non poteva essere un modello esportabile nel resto dei paesi latinoamericani. 

Considerato uno degli europei più integrati tanto negli anni della Cuba della rivoluzione trionfante quanto in quelli successivi, cercò di intercettare le dinamiche dei movimenti guerriglieri che gravitavano nell’isola negli anni Sessanta. Diventò amico dei fratelli Luben e Teodoro Petkoff, comunisti di spicco delle Fuerzas armadas de liberación nacional (Faln) venezuelane, e di Ricardo Ramirez, leader dell’Ejercito revolucionario del pueblo (Erp) guatemalteco. Di questa stagione e dei movimenti rivoluzionari, che verranno progressivamente soffocati nel corso degli anni, scriverà: «Nei dieci anni di insurrezione armata in America Latina, che hanno costituito il corollario della rivoluzione cubana, sono stati commessi molti errori. È facile constatarlo, dopo il fallimento di tante iniziative generose sul terreno della lotta armata rivoluzionaria. Ma sarebbe più difficile sostenere che senza queste insurrezioni si sarebbe andati più avanti, sulla strada del riscatto di milioni di contadini emarginati, di operai sfruttati ed esclusi, di studenti e intellettuali dagli orizzonti soffocati, di nazioni intere assoggettate» (Premessa a L’esperienza rivoluzionaria latino-americana, a cura di Vania Bambirra, Mazzotta editore, Milano 1973).

Non c’è avventurismo nei peripli latinoamericani di Tutino, ma la ricerca costante di una via per costruire un mondo migliore e, al contempo, per acquietare l’inquietudine del proprio animo. La soluzione Saverio l’aveva identificata, con riserva, nel “castrismo rivoluzionario”, e in Ernesto “Che” Guevara; ma non nel comandante della guerriglia, nel teorico dei focos, quanto nel suo spirito insofferente, sempre alla ricerca di nuove sfide. Il quarantenne Tutino è affascinato da Guevara, ma non lo mitizza. Di lui scriverà: «L’idea che guida Guevara è che ogni cosa va riferita all’uomo come individuo. Ha gli occhi fissi sul riscatto della dignità della persona oltre che di quella dei popoli oppressi» (Scritti politici e privati di Che Guevara, introduzione e cura di Roberto Massari, con un intervento di Ernesto Sábato, prefazione di Saverio Tutino, Editori Riuniti, Roma 1988). L’utopismo di “giornalista militante”, che era quello di un’intera generazione che credeva nel socialismo, lo portò a scrivere, il 1° novembre 1966: «Così va concepita la lotta per la coesistenza pacifica: i piccoli paesi come Cuba, la Corea e soprattutto il Vietnam avranno dato al mondo delle grandi potenze – necessariamente conservatore – il ricordo di come solo con la giustizia si possano affermare le grandi idee. Solo con la giustizia, l’idea della pace mondiale».   

La sua attività di inviato de “l’Unità” venne bruscamente interrotta all’inizio del 1969, quando il direttore, Maurizio Ferrara, «ordinava con secche parole di fare i bagagli. Le mie corrispondenze erano troppo guevariane», e per esplicitargli l’errore in cui incorreva, il direttore del quotidiano comunista aggiunse che tanto «di Guevara fra qualche anno nessuno ricorderà neppure il nome» (S. Tutino, L’occhio del barracuda. Autobiografia di un comunista, Feltrinelli, Milano 1995). Eppure qualche mese prima l’amico Régis Debray gli aveva fatto notare, con tono critico, che era «troppo timido con la rivoluzione cubana». In realtà, Tutino aveva vissuto quell’esperienza guardando «all’aspetto enigmatico della rivoluzione al potere», a lui interessava «il presente e in esso il futuribile del socialismo» (S. Tutino, Il mare visto dall’isola, Gamberetti Editrice, Roma 1998).

Dopo la morte del comandante Guevara, Tutino si legò «ad un altro sconfitto», Salvador Allende, col quale aveva stretto amicizia a L’Avana nel 1967 prima che diventasse presidente del Cile. Nel 1970, all’indomani della sorprendente vittoria di Allende, tornò a Santiago del Cile per intervistarlo. E ancora dopo il golpe dell’11 settembre 1973, che soffocò nel sangue il governo costituzionale del presidente Allende, Tutino atterrò in una Santiago deserta e ammutolita con il primo volo civile che toccò la capitale, per raccogliere le voci di denuncia dei crimini commessi dalla giunta militare, degli arresti, delle torture, delle sparizioni forzate, degli omicidi. Si recò al palazzo presidenziale de La Moneda, che era stato oggetto dei bombardamenti dei caccia militari e nel quale si era tolto la vita il compañero Presidente, e così descrisse quella costruzione spettrale: «La sede del governo adesso è come un molare cariato, nerastro, tutto scavato dalle bombe, le finestre sbrecciate, l’ingresso ingombro di macerie affumicate e carte disperse».

Con la nascita di “la Repubblica” il direttore Eugenio Scalfari lo chiamò per continuare ad occuparsi di America Latina. Ed è grazie ai suoi articoli di denuncia che aumentò l’attenzione verso i crimini commessi dalla dittatura in Argentina; poi in Nicaragua, in Colombia, nel Salvador. Di nuovo a Buenos Aires per seguire la Guerra delle Malvine (o Falklands War), e da lì in Uruguay e poi in Brasile dove conobbe Luiz Inácio Lula da Silva.    

Saverio Tutino si fermò con i viaggi nel 1984, quando decise di fondare l’“Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano” (http://archiviodiari.org/), in provincia di Arezzo, un archivio che iniziò a raccogliere diari, memorie, epistolari di persone sconosciute. 

Hanno scritto recentemente Camillo Brezzi e Patrizia Gabrielli che «questa importante esperienza culturale è un tutt’uno con i vari momenti della sua esistenza, forse il completamento di quel suo essere un hombre de vuelta […], usando una espressione argentina: un uomo capace di credere e dubitare al tempo stesso, di impegnarsi con l’istinto ma anche ricredersi, insomma un uomo che non si accontenta di sapere né vuole insegnare» (C. Brezzi, P. Gabrielli, La forza delle memorie. L’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano, il Mulino, Bologna 2022).

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