Con "Il Compleanno" Peter Stein torna da Pinter al Sala Umberto di Roma
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Con "Il Compleanno" Peter Stein torna da Pinter al Sala Umberto di Roma

Al Sala Umberto fino al 12 febbraio. Ma perché Il Compleanno di Pinter ci minaccia ancora dopo sessant'anni?

Il Compleanno di Pinter regia di Peter Stein al teatro Sala Umberto di Roma - recensione di Alessia de Antoniis
Il Compleanno di Pinter regia di Peter Stein al teatro Sala Umberto di Roma
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8 Febbraio 2023 - 17.34


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Alessia de Antoniis

Con ll Compleanno in scena al Sala Umberto di Roma fino al 12 febbraio, Peter Stein riprende, dopo la sua fortunata edizione di Ritorno a casa, il suo viaggio nella drammaturgia pinteriana. Lo fa con un testo giovanile di Harold Pinter e con una cosiddetta “commedia della minaccia”, ovvero una commedia dall’inizio apparentemente normale che evolve in situazioni assurde, ostili o minacciose. In scena alcuni dei suoi attori più̀ “fedeli” come Maddalena Crippa (Meg), Alessandro Averone (Stanley) e Gianluigi Fogacci (Goldberg).

Intatto. Come fosse stato appena scritto. Il Compleanno di Pinter reso dal regista tedesco Peter Stein è fermo nel tempo: nel testo e nella recitazione. Datato come quella vecchia pensione che sa di stantio.
Un testo che, se letto, entusiasmerebbe solo pochi accaniti estimatori. Ma che prende vita sul palcoscenico, accogliendoci in un quadro di monotona vita quotidiana, lasciandoci in attesa della battuta che non arriva, mentre una strana sensazione di inquietudine si insinua.

Scrive Peter Stein nelle note di regia: “I 63 anni che sono passati dalla creazione del Compleanno di Harold Pinter non hanno tolto niente del suo effetto enigmatico ed inquietante. Un tipo perdente con un passato non molto chiaro è raggiunto da questo passato, messo sotto terrore e con forza cambiato in un uomo che segue rigorosamente le regole ferree della vita quotidiana. L’atmosfera di una minaccia continua non smette mai – come nella vita di tutti noi – di dominare qualsiasi azione. La domanda: chi siamo noi? Alla quale non possiamo mai rispondere, perché́ una falsa o oscura memoria si mischia con la nostra voglia di metterci in scena, sta al centro di questo compleanno d’orrore”.

Su una cosa il maestro ha ragione: dopo sessantatré anni, il testo di Pinter conserva il suo effetto enigmatico e inquietante.
Ma se il maccartismo degli anni nei quali l’opera è stata scritta (è il 1957) per molti non è neanche un vago ricordo, se il giudizio della morale giudaico-cristiana non fa più paura a nessuno, se il cappio dolcemente appoggiato sul nostro collo di uno stigma sociale di qualsiasi tipo è oggi sbattuto sui media e sui social, chi sono Goldberg e McCann? E perché ci instillano ancora, se non terrore, almeno ansia? Quali corde toccano?

Il Compleanno, a un moderno spettatore, ricorderebbe forse una sit com anni ’70. Girata in un soggiorno, con un paio di porte per far entrare e uscire gli attori. Al centro della scena il tavolo da pranzo invece che il divano di turno. Ma, a differenza di quelle, già dalle prime battute il dialogo è ripetitivo, straniato, senza utilità. Meg (Maddalena Crippa) ripete le stesse frasi e chiede al marito Petey (Fernando Maraghini) di raccontarle il mondo là fuori nelle notizie del quotidiano locale. L’incipit è la noia in un mondo isolato.

Il Compleanno non ha una connotazione temporale, non fornisce alcun dato certo sulla storia dei personaggi. La maggior parte delle informazioni viene successivamente contraddetta. Addirittura i nomi vengono cambiati tra una battuta e l’altra e i primi ad essere disorientati sono i personaggi stessi. L’unica certezza che lo spettatore ha, è che non ci sono punti fermi. Più cerchi di capire e di dare un senso logico ai fatti, più il testo ti butta fuori. L’unica costante è l’ambiguità e dopo tutti questi anni resta una commedia sfuggente.
La mente non è la porta per entrare e prendere parte alla festa di non compleanno organizzata da Meg. Già, perché anche la data del fatidico compleanno di Stanley è dallo stesso negata.

Interrogatori ambigui, illogici, che sembrano avere come unico fine quello di attribuire crimini efferati; dialoghi che hanno come comune denominatore l’incapacità di comunicare. Paura e senso di colpa. Questi gli ingredienti di una commedia della minaccia tinta di humor nero.
Uno degli aspetti principali del Compleanno, sembra essere quello di esplorare se una persona è sana di mente o meno.

La descrizione che Meg dà di se stessa è in una sua risposta a Stanley “Non troverai molte mogli migliori di me. Ho una casa molto bella e la tengo pulita”; eppure dall’esterno arriva il messaggio che sia non sana di mente. Stanley, durante la festa del suo compleanno, diventa delirante e cerca di attaccare Meg e violentare Lulu (Emilia Scatigno). McCann sottolinea come quella casa non sia una pensione, mentre Meg ripete ossessivamente fin dalla prima scena che “è sulla guida”, come se il riconoscimento esterno fosse necessario alla conferma della sua esistenza. Meg appare come una donna senza figli, che accudisce con attenzione materna il suo unico inquilino Stanley, alludendo al contempo, timidamente, a un interesse sessuale per lui, comportamento perverso in quanto incestuoso.

Tutto è metodico: la colazione con il rito dei cereali, Petey che legge il giornale, Stanley, col pigiama sporco e l’aspetto trasandato, che scende in ritardo. I discorsi vuoti. Ma è metodico a modo proprio. Una routine che segue regole sue e che viene sovvertita da due sconosciuti. Che viene distrutta come McCann (Alessandro Sanpaoli) che strappa il giornale in strisce tutte uguali, come se qualcuno, senza rispetto alcuno, arrivasse a rompere regole non conformi ad altre di ordine superiore. Un ordine che ne invade un altro per cambiarlo portandolo al punto di rottura.

Il regalo di compleanno per Stanley è un tamburo: ritmo, marcia, abitudine, regole, disciplina. Proprio quello che Stanley, con il suo stile di vita sciatto, rifiuta. E dal quale, in fondo, fugge Meg con la sua stranezza. Stanley lo suona in modo isterico, quasi sciamanico, ribellandosi alle regole che costringono a una vita dominata da sovrastrutture.
Ma durante la festa, Stanley, bendato per giocare a moscacieca, calpesta il tamburo rompendolo: rompe l’ordine precostituito. Non pago, McCann gli rompe gli occhiali rendendolo cieco. Stanley, privato dei suoi riferimenti, tenta di strangolare Meg e di violentare Lulu. Rotte le sue sovrastrutture, raggiunge il suo stato libero ma bestiale. E se durante l’interrogatorio surreale era innocente, ora non lo è più: portato al punto di rottura e avendo commesso atti violenti, la sua deportazione non sarà più un rapimento, ma aprirà il dubbio alla possibilità che sia per il suo bene. Che sia giusto. Indipendentemente da chi siano i due uomini venuti dal nulla e dove lo porteranno. Lo hanno vestito come loro per portarlo dove è giusto che vada. E gli compreranno nuovi occhiali.

La scena finale è come la prima. Tutto il trascorso è dimenticato, l’ordine viene ricostituito, nessuna minaccia aleggia più nella stanza.
Ma se vedo nel Compleanno di Pinter il “teatro della minaccia”, qual è la minaccia? E, soprattutto, perché il pubblico sembra accettare che le luci si spengano all’improvviso, come si erano accese, su una normale scena di interno, senza nessuna risposta? Perché per Meg e Petey la scomparsa di una persona “di famiglia” non desta preoccupazione? Come fa Meg a non ricordare la brutalità della notte appena trascorsa? E perché Goldberg, che ha abusato di Lulu tutta la notte, rappresenta la giustezza del potere e ha il diritto di giudicare Stanley?
Con Il Compleanno, Peter Stein resta in una zona di comfort, con un cast che suona come un’orchestra famosa diretta da un maestro di livello internazionale.

Allora perché invece che con in bocca un odore di vecchio, Pinter Stein ci manda a casa con una strana ansia?
Da vedere, per gustare l’armonia tra testo, regia e recitazione. Per assistere alla magia di un teatro che non ha bisogno di chirurgia estetica per essere giovane: stesso testo, stessa carta da parati che puzza di chiuso, stessi personaggi, con una domanda attuale: chi sono oggi Goldberg e McCann? Forse non vengono più in nome di vecchi poteri, ma se non ci sentissimo minacciati da qualcosa, Il Compleanno sarebbe solo una commedia con un po’ di black humor. Invece…

Quali paure ci fanno togliere il pigiama e mettere giacca e cravatta? Scegliamo liberamente, nonostante la mole di informazioni che abbiamo, o siamo manipolati da un terrore, o un senso di colpa, indotto? Le informazioni che abbiamo sono così diverse da quelle astruse del testo pinteriano? Siamo annichiliti come Stanley o con la mente annebbiata come Meg? Viviamo nascosti in una pensione illudendoci di essere liberi facendoci leggere da Petey “solo le notizie buone”? Davvero se rompessimo quel tamburo saremmo bestiali? Dal maccartismo dei tempi di Pinter forse è cambiata solo la forma della paura, non la sua sostanza. E, forse, è per questo che continuiamo a non fare troppe domande su un testo monco. Monco lui, ciechi noi.

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