Giorgio Marchesi firma un innovativo Fu Mattia Pascal
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Giorgio Marchesi firma un innovativo Fu Mattia Pascal

Un Mattia Pascal che non si prende troppo sul serio. Così Pirandello diventa uno spettacolo ironico e swing al Teatro Ghione di Roma

Giorgio Marchesi - Il fu Mattia Pascal
Giorgio Marchesi - Il fu Mattia Pascal - ph Tiziano Ionta
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15 Febbraio 2024 - 01.56


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di Alessia de Antoniis

Ha uno spirito swing il Fu Mattia Pascal di Giorgio Marchesi, al teatro Ghione di Roma fino al 18 febbraio con la regia dello stesso Marchesi, che firma anche l’adattamento, e Simonetta Solder.

Opportunista, sfacciato, a tratti cinico. Affatto vittima del peso di quelle famose maschere di cui si narra sui banchi di scuola. Uno che vive alla giornata, che sa volgere a proprio favore anche i venti avversi. Uno che la vita se la gode, non la subisce. Se la gioca alla pari. L’uomo che sfugge al suo destino indossando un’altra maschera, per ritrovarsi incastrato in quest’ultima come lo era stato nella precedente, viene raccontato da Giorgio Marchesi in chiave diversa.

Un “monologo a due” dove Marchesi scambia battute, frizzi e lazzi con il contrabasso di Raffaele Toninelli (che firma anche le musiche). Ironico, beffardo, canzonatorio, sicuramente divertente: così va in scena quel matto di Mattia, che “fu” già in vita.

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Il merito di Marchesi è di aver tolto polvere e ragnatele al geniale testo di un Nobel per la letteratura, che forse mai avrebbe voluto vedersi ingessato in rappresentazioni stantie, impostate, che ne tradiscono, troppo spesso, lo spirito rivoluzionario (“per il coraggio e l’ingegnosa ripresentazione dell’arte scenica” fu la motivazione dell’Accademia di Svezia).

Marchesi dà vita e vitalità a un romanzo che ha ben centoventi anni, ma l’anima e lo spirito di un giovane. Addirittura da rapper Marchesi veste il suo Adriano Meis. Uno spettacolo giovane e giovanile, per il quale lo stesso Pirandello, molto probabilmente, ringrazierebbe, perché avvicina i giovani (troppo spesso allontanati da recitazioni morte) a un drammaturgo che il mondo ci invidia. Il merito del Fu Mattia Pascal di Marchesi è far sì che ad essere “fu” non sia l’opera di uno dei padri del teatro italiano moderno. Un’operazione ben riuscita che dimostra che non serve essere un premio Ubu per riempire i teatri con spettacoli di qualità. Anzi. E lo dimostra il teatro Ghione pieno, soprattutto di gente giovane, mentre imperversava Sanremo.

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Un flash back dopo l’altro, la storia evolve tra racconti esilaranti e caricature dei personaggi storici del romanzo: l’amata Romilda, Batta Malagna, la vedova Pescatore, la zia Scolastica, Oliva e Adriana, lo stesso Mattia Pascal “in arte” Adriano Meis. Una felice commistione tra avanspettacolo, cabaret e stand up comedy.

Uno spettacolo che resterà negli annali come La tempesta diretta da Strehler? No. Ma Marchesi firma un adattamento del testo ritmato e brioso che lo vede in scena per 80 minuti senza fermarsi, senza perdere tono. Con una sorta di frac bianco indossato con anfibi neri, canta, balla, scherza con gli spettatori in sala. Un attore conosciuto dal grande pubblico per la sua partecipazione a fiction di successo e film, che torna dove è nato e che, in maniera abilmente leggera, attinge alla sua vera formazione: il teatro.

Nelle note di regia Marchesi scrive: “Pascal sembra chiedere quindi non solo un’altra possibilità, come spesso sogniamo tutti, magari di ricominciare da capo o di correggere gli errori del passato. Vuole proprio abitare un’altra persona, nuova, diversa, sconosciuta. Da questi due spunti è nata l’idea di raccontare la storia di Mattia Pascal e Adriano Meis con libertà e ironia, non prendendolo troppo sul serio, o meglio, permettendoci di giocare con lui, pur lasciando intatto lo stile e il linguaggio originali. Perché un testo, anche se un classico, rimane un pretesto per comunicare col pubblico. E visto il periodo… meglio farlo con leggerezza.” Dagli applausi in sala e dall’afflusso, nonostante sia una ripresa (e nonostante Sanremo), sembra esserci riuscito.

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