Ucraina: la variabile religiosa del conflitto
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Ucraina: la variabile religiosa del conflitto

Quella in Ucraina è stata definita come una guerra anche religiosa. Con Marco Ventura - giurista, docente di diritto ecclesiastico ed esperto in ricerca e didattica interdisciplinare sul fenomeno religioso - abbiamo cercato di chiarirne gli aspetti.

Ucraina: la variabile religiosa del conflitto
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5 Maggio 2022 - 13.29 Culture


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di Marialaura Baldino

Nemmeno la ricorrenza della Pasqua ortodossa ha frenato gli attacchi. Il 24 aprile scorso la città di Odessa ha subito un pesante bombardamento da parte delle forze russe, con sei morti e un cospicuo numero di feriti. Uno dei razzi lanciati contro l’edificio ucraino riportava la scritta: “Cristo è risorto”. Nel mentre, a Mosca, nella cattedrale di Cristo Salvatore, Il presidente russo ha presenziato alle celebrazioni pasquali celebrate dal Patriarca Kirill.

Lo scorso febbraio, in quel lungo elenco di ragioni date da Putin per giustificare l’inizio dell’invasione fa la sua comparsa anche la difesa dei valori cristiano-ortodossi, necessari per la sopravvivenza del << Mondo Russo>>.

Questa guerra porta con sé delle unicità e quella religiosa ci è parsa essere una di queste. La guerra in Ucraina è anche una guerra tra cristiani; e per far luce sulla questione abbiamo chiesto spiegazioni a Marco Ventura, giurista, docente presso l’Università di Siena di Diritto ecclesiastico, Religious diplomacy e Global law, politics and religion.

Ventura inizia la conversazione chiarendo che la realtà risulta essere contraddittoria. Spiega che vi sono indicatori di una rilevanza del fattore religioso, ma anche, per altri aspetti, indicatori di una sua irrilevanza. Il religioso, comunque, è sempre mescolato alle varie dimensioni della vita e così è anche in questo conflitto. Tutto ha un unico fulcro: il processo di indipendenza religiosa fortemente voluta dall’Ucraina, parte di un più ampio processo di indipendenza politica, economica e sociale dalla Russia, che risale già ai tempi del crollo dell’Unione Sovietica, in una terra per cui passa il confine tra il mondo cattolico e quello ortodosso.

Nel lungo processo di identificazione dell’Ucraina come stato sovrano, iniziato nell’agosto del 1991, la Chiesa ortodossa ha vissuto molteplici trasformazioni in conflitto con quella che a Mosca è vista come la Madre Patria.

Il 2018 rappresenta la pietra miliare del processo di indipendenza della Chiesa ortodossa ucraina dal patriarcato di Mosca, in quanto essa viene riconosciuta indipendente, tecnicamente autocefala, dal patriarca ecumenico di Constantinopoli Bartolomeo. Come scrive Ventura su l’inserto La Lettura del Corriere della Sera il 10 aprile scorso, si è trattato quindi del riconoscimento di una Chiesa “indipendente da ogni altra autorità ecclesiastica, e in particolare dal patriarcato di Mosca”.

Come nota il giurista, nella contrapposizione tra Russia e Ucraina non è difficile vedere la contrapposizione tra due Chiese, due mondi, agli antipodi. Se questa divisione risulta così netta è perché in gioco vi sono paesi con comunità e componenti religiose anche molto differenti.

Da un lato la Russia, dove è presente una maggiore uniformità tra cristiani del patriarcato di Mosca, mentre invece dall’altro lato il paesaggio religioso è ben differente. In Ucraina, infatti, vi è una importante presenza cattolica, a sua volta divisa in latina e greca in comunione con Roma. La Chiesa ortodossa vede invece distinti coloro che si riconoscono nella Chiesa autocefala e coloro che invece si riconoscono ancora nel patriarcato di Mosca, nonostante siano schierati contro l’invasione insieme a tutte le altre chiese cristiane ucraine.

La guerra in corso ha quindi il sapore di una guerra fratricida sacralizzata. L’ortodossia è divenuta parte del conflitto nel momento in cui è stata resa motivo di scontro, anche alla luce dell’autoreferenzialità del patriarcato di Mosca e del suo sostegno incondizionato alle manovre di Putin che rischiano di frustrare ogni tentativo di dialogo interreligioso.

Se infatti da una parte troviamo la volontà di coltivare l’ecumenismo e i valori di tolleranza e di rispetto reciproco, dall’altra, scrive sempre Ventura, vi sono “canali tenuti aperti solo per dire e non per ascoltare”.

Come Ventura ha raccontato nel suo ultimo libro Nelle mani Dio. La super-religione del mondo che verrà (Il Mulino, 2021), se il nostro tempo, per certi aspetti, ha fino ad ora spinto le religioni verso un dialogo ecumenico volto al lavoro unitario sui problemi globali, ha però anche creato un movimento di forza contraria, e ha spinto alcune comunità verso una logica individualista, nazionale e in alcuni casi persino imperialista.

Non siamo quindi più così sicuri che la battaglia religiosa sia estranea dagli altri aspetti del conflitto, o conti meno di quella politica e militare. Quello di cui siamo certi è che questa guerra, come ha dichiarato il metropolita di Kiev “non ha giustificazioni né per Dio, né per l’uomo”.

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