Morto Jean-Luc Nancy: addio al filosofo della democrazia
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Morto Jean-Luc Nancy: addio al filosofo della democrazia

La sua tesi è che al centro del pensiero politico occidentale ci sia il desiderio di una ‘comunità originale’ armoniosa la cui positività è venuta meno nel corso della storia, lasciando spazio a individui egoisti e senza coscienza comunitaria

Jean-Luc Nancy, filosofo
Jean-Luc Nancy, filosofo
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25 Agosto 2021 - 10.42


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Jean-Luc Nancy uno dei pensatori più significativi e importanti della filosofia contemporanea è morto ieri sera a Strasburgo, come confermato oggi dal suo editore al quotidiano le Monde.
Era diventato anche una delle figure più popolari del Festivalfilosofia di Modena, dove era una presenza fissa e seguita da moltissimi anni.
Nato a Bordeaux il 26 luglio 1940, aveva 81 anni ed era professore emerito di filosofia all’Università di Strasburgo, città in cui è vissuto sino a ieri, da quando ebbe l’incarico di assistente nel 1968 e poi la cattedra.
Ha insegnato anche nelle università di Berkeley, Berlino, Irvine e San Diego. Era membro del Collegio Internazionale di Filosofia.

I suoi inizi avvengono sotto la guida di Deridda, con cui si laurea a Parigi nel 1962 e pubblica lavori su Marx e Nietzsche.
Nel 1973, con un lavoro su Kant e la supervisione di Paul Ricoeur, ottiene un dottorato di ricerca e poco dopo diventa maître de conférences a Strasburgo.
Nel 1987 viene eletto docteur d’état (dottore di stato) a Tolosa con una tesi sull’opera di Kant, Schelling e Heidegger, pubblicata col titolo “L’esperienza della libertà” (il suo supervisore era Gérard Granel e in giuria erano Jacques Derrida e Jean-François Lyotard).

Il suo lavoro, cominciato nell’ambito del decostruzionismo sulle orme del maestro e amico Derrida, negli anni percorre e affronta tutte le contraddizioni e la complessità delle riflessioni della seconda metà del Novecento, elaborando un interesse sociale ed estetico che indaga politicamente il nostro essere pensante e corporeo quale individuo e membro di una società.
Un discorso che percorre molte delle sue numerosissime pubblicazioni, ma che ha forse i suoi capisaldi in “La comunità inoperativa” del 1991 e poi “Essere singolare plurale” del 1996.
La tesi di Nancy è che al centro del pensiero politico occidentale ci sia il desiderio di una ‘comunità originale’ armoniosa la cui positività è venuta meno nel corso della storia, trasformandosi in una società tecnocratica di individui egoisti senza più valori e coscienza comunitaria, in cui è facile prevalga la violenza. Secondo il filosofo l’unica soluzione per combattere la disintegrazione è lottare per una futura comunità in cui i precedenti legami siano ripristinati, con la coscienza che siamo esseri pluralmente singolari ovvero singolarmente plurali, perché l’esistere non è scindibile dal coesistere.

Tutto era iniziato con la sua organizzazione assieme a Lacoue-Labarthe di un famoso convegno su nel 1980 su Deridda e la politica, “I fini dell’uomo”, da cui nacque il ‘Centro di ricerca filosofica del politico’ per l’esigenza di andare oltre la retorica del valore della nostra attuale democrazia, chiuso nel 1984 perché i suoi incontri non erano più a momenti di ricerca e domande.

Nancy non affronta solo questioni meramente filosofiche, come quando si confronta con Heidegger, ma nei suoi lavori discute spesso anche di temi come la giustizia, la sovranità e la libertà, e come essi possano applicarsi nel nostro mondo sempre più globale (in “Il senso del mondo” indaga cosa intendiamo quando diciamo che il senso del mondo non è più situato al di sopra, ma all’interno del mondo). Così il suo essere un pensatore non viene mai disgiunto dal sentirsi persona fisica e quindi corpo, tanto che quando nel 1992 è sottoposto a un trapianto di cuore, scrive libri di grande interesse e successo intitolati “Corpus” e “L’intruso”, in riferimento al suo nuovo organo.
La sua ultima opera è “Un virus troppo umano” che vede la pandemia come qualcosa che ha esaltato il senso di incertezza e crisi che questa società viveva da tempo per il succedersi di fenomeni imprevisti, a cominciare dalla caduta del Muro che ha rotto tutti gli equilibri preesistenti senza crearne di nuovi.
“Siamo vissuti avendo fiducia nel progresso, per scoprire che non sempre si cambia in meglio – aveva detto in occasione dei sui 80 anni – e a provarcelo, tra l’altro, c’è la nascita di una coscienza dei gravi problemi ecologici del nostro pianeta: io vedo nel virus il rivelarsi di qualcosa che stava già accadendo e che ci ha dimostrato inoltre come nessuno di noi, pur chiuso nella sua solitudine, sia un essere isolato”.

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