Il "Teatro patologico", per gestire le emozioni degli allievi speciali
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Il "Teatro patologico", per gestire le emozioni degli allievi speciali

Le attività sono svolte in collaborazione con l’Università di Tor Vergata.

Teatro patologico
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26 Aprile 2017 - 12.22


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Roma, via Cassia 472. Sul cancello d’ingresso una scritta: Teatro Patologico. Sotto, un cartello: corso di formazione sperimentale “Teatro integrato dell’emozione” in collaborazione con l’Università di Tor Vergata.
Il Teatro Patologico è un’associazione onlus fondata da Dario D’Ambrosi, attore, regista, autore. Dal 2009 è diventato Teatro Stabile con sede nei locali della Città Metropolitana di Roma sulla via Cassia, appunto. Qui si tiene il Corso per disabili “La Magia del Teatro”. Dal gennaio 2016 ha preso l’avvio il primo corso universitario di formazione teatrale per ragazzi con disagi psichici e/o fisici. Permette di accedere a una preparazione completa attraverso lo studio di materie e tecniche teatrali. Dalla recitazione alla drammaturgia, dalla scenografia ai costumi, dalle luci all’organizzazione e allestimento. Quindici docenti sono affiancati da un comitato scientifico di psicologi e psichiatri. Lo scopo è formare artisti e maestranze che si potranno inserire nel mondo del lavoro.  

Percorriamo un vialetto fino a un edificio lungo e basso. Ci riceve Valeria Gaveglia, coordinatrice del Teatro Patologico. Sta organizzando una serata di beneficenza. I protagonisti saranno i ragazzi che qui frequentano i corsi. Tra loro c’è Cristiana, 50 anni, capelli biondi raccolti in un codino, che ci invita a entrare nell’accogliente sala del teatro. Ci sediamo su scaloni di legno chiaro e lucido di fronte al palcoscenico. Da 4 anni Cristiana frequenta il teatro. Parla con un equilibrato uso della voce, delle parole e delle pause. Soffre di un disturbo bipolare. “L’emotività mi porta al pianto, alla felicità, alla tristezza senza ragione. Frequentare i corsi del teatro Patologico mi ha aiutata ad avere più stabilità, ad accettarmi per quella che sono e a superare i problemi relazionali”. Sara, 40 anni, annuisce. “Nonostante avessi già fatto altri laboratori e spettacoli, quando ho iniziato a frequentare il teatro ero molto chiusa, avevo paura degli altri. Un giorno in cui stavo particolarmente male gli altri allievi sono venuti a prendersi cura di me e così ogni volta che stavo male. Adesso ho con loro un rapporto migliore che in famiglia perché non mi sento giudicata e mi esprimo senza paura”. Ha il diploma di scuola materna. Le piacerebbe insegnare. La madre, che l’ha accompagnata, dice che Sara ha superato una profonda depressione.

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Intanto è arrivata Stefania Umana, una delle insegnanti del corso. Si inizia. Esercizi di respirazione. Tutti in cerchio, si prendono per mano. Poi si muovono sul palcoscenico a una velocità che di volta in volta stabilisce l’insegnante, da 1 a 10, secondo le possibilità fisiche di ciascuno. Ci spiega: “Questo esercizio abitua a dosare la velocità del movimento in modo da memorizzare e riprodurre i diversi livelli di velocità in base al contesto”. Giuliana esegue l’esercizio sulla sedia a rotelle. Ha una malattia degenerativa che le riduce la mobilità. L’insegnante la sprona a eseguire l’esercizio senza farsi spingere. Una donna conduce un ragazzo non vedente. È Marina, capelli corti, 57 anni. Affetta da disturbo bipolare e schizo-affettivo, che causa la perdita di contatto con la realtà e problemi di umore. Da quando frequenta il Teatro Patologico ha diminuito le medicine e da tre anni non ha più ricadute. Ora è in grado di prendersi cura dei suoi genitori e di occuparsi della casa. Si sente utile. Prende sottobraccio e guida Alessio, 23 anni, non vedente dalla nascita. Dopo il diploma si è iscritto al corso universitario del Teatro Patologico. Ama il teatro.
Improvvisazione: gli allievi sono divisi in gruppi. Ciascun gruppo dovrà creare in 20 minuti una scena con imprevisto finale. Durante la preparazione interagiscono fra loro. Chi ha difficoltà viene aiutato dagli altri. C’è fermento. Qualcuno propone idee, c’è chi suggerisce varianti, chi si estranea, chi inizia a coordinare. Il risultato è sorprendente. I ragazzi realizzano scene molto articolate e piene di fantasia.
Scena: imprevisto al funerale. Davanti alla mamma morta si discute dell’eredità. Si scopre che era stato il badante ad avvelenarla per impadronirsene. Ma ha sbagliato il dosaggio del farmaco e la mamma dopo il malore si risveglia. Uno dei protagonisti è Paolo, 38 anni, con un ritardo mentale. Veterano del Teatro Patologico ha recitato in Don Chisciotte alteatro  Quirino di Roma, Pinocchio e Medea in tournée a Londra. Lavora in un supermercato. Marco, cerebroleso, è il pignolo del gruppo. Nella sua scena usa l’inglese. Specifica che l’ordine delle parole che ha usato non è corretto. Puntualizza: “più che gioia la mia era allegria”, per specificare l’emozione usata in scena. Stefania, l’insegnante, sottolinea: “In questo teatro gli allievi si sentono liberi di sperimentare. Scoprono le emozioni, imparano a riconoscerle e a usarle sul palcoscenico e nella vita di tutti i giorni” (Rosangela Pagana) 

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