Si contano almeno dieci morti sulla spiaggia di Bondi, a Sydney, dopo una sparatoria avvenuta domenica sera mentre era in corso una celebrazione pubblica di Hanukkah, la festività ebraica delle luci. Un luogo simbolo della convivialità australiana si è trasformato in pochi minuti in uno scenario di terrore, con famiglie in fuga, spari, sirene e corpi a terra.
L’attacco è avvenuto nel tardo pomeriggio, poco prima delle 19, nei pressi di un’area frequentata da bambini e famiglie, dove la comunità ebraica locale aveva organizzato un evento aperto. I servizi di emergenza hanno trasportato almeno 13 feriti in diversi ospedali di Sydney. Due persone sono state fermate dalla polizia, mentre l’area è rimasta a lungo sotto assedio.
Le autorità australiane, per ora, evitano di parlare ufficialmente di terrorismo o di movente ideologico. Ma il contesto in cui la sparatoria è avvenuta rende difficile ignorare l’ipotesi di un attacco antisemita. Colpire una celebrazione ebraica, in uno spazio pubblico e affollato, nel clima globale segnato da una recrudescenza dell’odio contro gli ebrei, non è un dettaglio secondario.
Bondi Beach non è solo una spiaggia: è anche uno dei quartieri con la più alta presenza ebraica di Sydney. Nelle ultime settimane, come in molte altre città occidentali, si sono moltiplicati episodi di intimidazione, graffiti e minacce antisemite. Inserire la strage in questo quadro non significa anticipare conclusioni giudiziarie, ma riconoscere una realtà politica e sociale.
Il primo ministro Anthony Albanese ha parlato di scene “scioccanti e angoscianti”, evitando però riferimenti espliciti al contesto dell’evento. Un silenzio che pesa, perché quando le vittime appartengono a una minoranza religiosa, la reticenza nel nominare l’odio rischia di diventare una forma di rimozione.
Anche sul piano internazionale l’attacco ha provocato reazioni immediate. La ministra dell’Interno britannica Shabana Mahmood ha annunciato contatti con le autorità australiane, mentre esponenti della comunità ebraica hanno chiesto chiarezza e protezione, denunciando una normalizzazione dell’antisemitismo che attraversa confini e continenti.
Se le indagini stabiliranno o meno un movente ideologico, lo diranno i magistrati. Ma politicamente e culturalmente il segnale è già chiaro: anche l’Australia non è immune dalla spirale di violenza che colpisce luoghi di culto, feste religiose, comunità identificate come bersagli.
Bondi Beach, ieri sera, non è stata solo il teatro di una strage. È diventata l’ennesima prova che l’odio, quando viene tollerato o minimizzato, prima o poi trova il modo di armarsi.