Palestina martoriata: la testimonianza di una mamma a Gerusalemme Est e la Cisgiordania violata dai coloni
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Palestina martoriata: la testimonianza di una mamma a Gerusalemme Est e la Cisgiordania violata dai coloni

Il dolore per le madri di Gaza che scrivono i nomi dei loro figli sulle mani, in modo che, se venissero uccisi, possano essere identificati prima di essere sepolti in una fossa comune

Palestina martoriata: la testimonianza di una mamma a Gerusalemme Est e la Cisgiordania violata dai coloni
Militari israeliana in Cisgiodania
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Novembre 2023 - 14.52


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Cosa significa essere mettere al mondo un bimbo in Palestina. La gioia che si trasforma in senso di colpa.

Grazie a Save the Children, di seguito la testimonianza di Lana, una neomamma. 

“Solo due settimane fa ho dato alla luce il mio primo figlio a Gerusalemme Est .Mio figlio è sano e io e mio marito siamo innamoratissimi di lui. Ma accanto all’immutata beatitudine della maternità, c’è il dolore e il senso di colpa.  

Il dolore per le madri di Gaza che scrivono i nomi dei loro figli sulle mani, in modo che, se venissero uccisi, possano essere identificati prima di essere sepolti in una fossa comune. Dolore per le madri che partoriscono tra le macerie invece che in una stanza d’ospedale, o che subiscono cesarei senza anestesia. Dolore per le madri i cui figli sono tra i mille che si dice siano irreperibili, intrappolati sotto le macerie. Senso di colpa per ogni momento di felicità che provo con il mio neonato sapendo che le madri di Gaza sopportano la paura costante per la vita del loro bambino o il dolore inimmaginabile della sua morte. 

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Secondo il Ministero della Sanità di Gaza, in tre settimane sono stati uccisi 3.300 bambini a Gaza. Come palestinese, non sono nuova a vivere il conflitto, avendo trascorso tutta la mia vita sotto l’occupazione militare israeliana. Il mondo generalmente descrive gli episodi di violenza in Cisgiordania e a Gaza come “scontri” o “escalation”. Io li ricordo come amici uccisi. O mio fratello detenuto. O come soldati che assaltano la mia casa. O una casa di famiglia demolita. O come la necessità di partorire da sola, senza la mia famiglia, a causa di chiusure e posti di blocco.  
Ma questo è diverso. La portata e la ferocia delle ostilità a Gaza mi terrorizzano. 

A volte sembra che il mondo pensi che le vite dei palestinesi non siano importanti, come se la vita di un bambino di Gaza fosse meno importante di quella degli altri bambini di questo mondo. Un comitato dell’Onu ha lanciato un monito contro i discorsi d’odio, dopo che i palestinesi sono stati definiti “animali”. Questo linguaggio ci disumanizza e suggerisce che la morte e la sofferenza dei nostri figli siano in qualche modo accettabili. Sebbene queste parole non possano sminuire la nostra dignità, non bisogna sbagliare: sono parole pericolose.

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Sono stata incollata al mio telefono, mentre arrivavano messaggi sempre più strazianti da parte di amici e familiari a Gaza. Aspettando ogni mattina lo stesso messaggio: “Sono vivo”. Fino a venerdì sera, quando le linee telefoniche e l’accesso a Internet sono stati interrotti. Quando le linee di comunicazione vengono interrotte, le persone a Gaza sono tagliate fuori dal mondo, tagliate fuori l’una dall’altra, oltre ad essere tagliate fuori dall’accesso al cibo, all’acqua pulita e alle cure mediche.   

Non è esagerato dire che, se non si permette agli aiuti di entrare a Gaza nella misura richiesta, molti bambini semplicemente non sopravvivranno. Se le bombe non li uccidono, lo faranno la disidratazione o le malattie. Se passerà altro tempo senza un cessate il fuoco, senza un accesso umanitario senza ostacoli, gli aiuti in attesa su quei camion dovranno essere sostituiti da bare. Ma con solo una dozzina di camion che passano ogni giorno da un singolo valico, non posso fare a meno di chiedermi: quanti camion saranno necessari per trasportare 3.300 bare a misura di bambino? Di quanti altri avremo bisogno?”.

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