Ridicolizzato in Israele, fa infuriare Tripoli e Bengasi: il disastro diplomatico di Tajani
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Ridicolizzato in Israele, fa infuriare Tripoli e Bengasi: il disastro diplomatico di Tajani

Un incontro che doveva restare segreto e che invece diventa di dominio pubblico (internazionale) perché uno dei partecipanti lo “spara” addirittura in un post sul sito ufficiale del ministero degli Esteri

Ridicolizzato in Israele, fa infuriare Tripoli e Bengasi: il disastro diplomatico di Tajani
Antonio Tajani
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

28 Agosto 2023 - 13.12


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Un “capolavoro” di dilettantismo diplomatico. Un incontro che doveva restare segreto e che invece diventa di dominio pubblico (internazionale) perché uno dei partecipanti lo “spara” addirittura in un post sul sito ufficiale del ministero degli Esteri, salvo poi, avendo compreso il danno fatto agli altri due protagonisti, lo ritira. Troppo tardi. Il risultato è una ministra sconfessata e costretta a fuggire dal suo paese. E  il “facilitatore”  italiano sputtanato in Libia, a Tripoli e a Bengasi, e che ha fatto irritare la totalità delle capitali arabe.

Dilettanti allo sbaraglio

Antonio Tajani, una ne fa, cento ne sbaglia (copyright Dagospia).

La ricostruzione ben documentata da il Post: “Nella notte tra domenica e lunedì a Tripoli, la capitale della Libia, ci sono state proteste per un incontro avvenuto la scorsa settimana a Roma tra la ministra degli Esteri del governo libico, Najla al Mangoush, e la sua controparte israeliana, Eli Cohen, mediato e favorito dal ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. La notizia dell’incontro, che pare non fosse stato autorizzato dal governo libico guidato dal primo ministro Abdul Hamid Dbeibah, è stata data da Israele e ha provocato enormi proteste in Libia. I due paesi infatti non hanno relazioni diplomatiche dal 1965, la Libia non riconosce ufficialmente Israele ed è sostenitrice della causa palestinese.

Dbeibah ha annunciato la sospensione di Mangoush dal suo incarico e ha detto che la ministra sarebbe stata soggetta a una «indagine amministrativa» di una commissione legata al ministero della Giustizia.

Durante l’incontro, ha detto Israele, i due ministri degli Esteri hanno parlato di aiuti umanitari, agricoltura, gestione delle risorse idriche e salvaguardia di monumenti ebraici in Libia. Cohen ha definito l’incontro «un primo passo» in un possibile processo di normalizzazione dei rapporti bilaterali, versione smentita decisamente dal governo libico, che ha parlato di incontro «casuale» a Roma all’interno di colloqui della ministra con funzionari italiani. In una dichiarazione ufficiale il ministero libico ha ribadito «il suo completo e assoluto rifiuto di una normalizzazione dei rapporti».

Dal 2020 Israele ha cominciato una politica di avvicinamento verso alcuni stati arabi con cui i rapporti in precedenza erano stati di aperta ostilità, nel tentativo di vedere riconosciuta la propria sovranità e di stabilire rapporti diplomatici.

Il processo è stato aperto dai cosiddetti ‘Accordi di Abramo’, con cui nel 2020 Israele aveva normalizzato le proprie relazioni diplomatiche con Emirati Arabi Uniti e Bahrein: da allora sono stati ristabiliti rapporti anche con Sudan e Marocco. Nelle intenzioni del governo israeliano di Benjamin Netanyahu l’avvicinamento alla Libia andrebbe in questa direzione.

Un’operazione simile però rischia di essere politicamente complessa per la Libia, la cui opinione pubblica resta fortemente ostile al governo israeliano. La solidità del primo ministro Abdul Hamid Dbeibah è inoltre relativa: il suo è ufficialmente un governo a interim, e nell’est del paese ne è presente un altro, non riconosciuto dalla comunità internazionale. Il maresciallo libico Khalifa Haftar ormai da anni, e grazie al controllo di milizie armate, governa di fatto un’ampia regione nell’est della Libia, la cosiddetta Cirenaica, con un governo che ha sede nella città di Tobruk.

Domenica il Consiglio presidenziale libico, che svolge il ruolo di un capo di stato (nell’impossibilità di svolgere elezioni presidenziali), ha chiesto al primo ministro di riferire sul «sorprendente incontro» e di indicarne tutti i responsabili.

Le proteste si sono svolte prevalentemente a Tripoli, ma hanno interessato anche altri centri libici, pur restando di dimensioni ridotte: alcune strade sono state bloccate e i manifestanti hanno urlato slogan contro Israele, in alcuni casi bruciandone delle bandiere. Nella notte alcuni gruppi isolati di manifestanti avrebbero anche provato ad assaltare edifici pubblici e governativi”.

Spiega Daniele Raineri i su Repubblica: “Nel mondo arabo molti considerano questo processo di normalizzazione un tradimento spettacolare della causa palestinese, che è il motivo delle rottura – ormai da decenni – delle relazioni fra le capitali arabe e Israele. Ci sono Paesi, come gli Emirati Arabi Uniti oppure il Marocco, che hanno ricucito le relazioni e riescono a tenere a bada le reazioni interne. Ci sono altri Paesi, come la Libia, che non si possono permettere lo stesso livello di controllo. Una settimana fa, per un litigio tra fazioni armate a Tripoli ci sono stati due giorni di guerriglia urbana e cinquanta morti.

A Roma Mangoush e Cohen hanno parlato di aiuti umanitari da parte degli israeliani, di progetti per l’agricoltura e la gestione dell’acqua e di una possibile cooperazione per salvare i siti legati alla presenza ebraica in Libia. Parlare di una possibile normalizzazione con Israele è molto prematuro: il Paese è ancora spaccato in due metà e prima di normalizzare i rapporti con l’esterno e persino con Israele dovrebbe riconciliarsi con se stesso. In questi anni c’erano già stati altri abboccamenti tra libici e israeliani – che però sono rimasti nel campo del non confermato e del non detto. Nel 2021 il generale Saddam Haftar, figlio dell’uomo forte di Bengasi Khalifa Haftar, figlio dell’uomo forte di Bengasi Khalifa Haftar e rivale del governo di Tripoli, volò con un piccolo jet Falcon dagli Emirati Arabi Uniti all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv per parlare faccia a faccia con alcuni funzionari israeliani, prima di fare rotta di nuovo verso la Libia. Secondo alcuni rumor, il padre voleva sondare la possibilità di un appoggio di Israele in cambio di un accordo di normalizzazione. Esistono anche voci su un incontro tra Abdul Hamed Dbeibah e il capo del Mossad, David Barnea, sempre in quell’anno ma organizzato con discrezione durante una visita del libico in Giordania. Ma la notizia data dalla stampa araba fu subito smentita dallo staff del premier di Tripoli”.

Visto da Israele

L’analisi di Eretz, tradotta e pubblicata in Italia da Moked, il portale dell’ebraismo italiano.

“Un vertice che sembrava rappresentare un punto di svolta storico nei rapporti tra Israele e Libia. Almeno con una parte della Libia, quella guidata dal Primo ministro Abdul Hamid Dbeibeh. Il ministro degli Esteri del suo governo, Najla Mangoush, in questo fine agosto ha infatti incontrato il collega israeliano Eli Cohen. “Un primo passo nelle relazioni tra Israele e Libia. Le dimensioni e la posizione della Libia conferiscono a questa relazione un enorme significato e un enorme potenziale per lo Stato di Israele”, il commento di Cohen nella nota che ha confermato ufficialmente la riunione con Mangoush. Un’occasione possibile, ha aggiunto poi Cohen, grazie alla mediazione del ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani. Sul tavolo, possibili cooperazioni e aiuti israeliani al governo di unità nazionale libico in ambito umanitario, agricolo e di gestione delle acque. “Ho parlato con il ministro degli Esteri (Mangoush) del grande potenziale per i nostri Paesi rispetto a questi legami, così come dell’importanza di preservare il patrimonio dell’ebraismo libico, compresa la ristrutturazione delle sinagoghe e dei cimiteri ebraici nel Paese”, ha aggiunto ancora Cohen. Una novità di grande rilevanza per un paese che negli anni Cinquanta ha costretto, tra pogrom e violenze, decine di migliaia di ebrei all’esodo forzato. Ma a distanza di ventiquattro ore tutto è cambiato. La svolta diplomatica si è trasformata in una crisi. Dopo la diffusione della notizia su tutti i media internazionali, il governo di Tripoli ha fatto una completa marcia indietro. Il Premier Dbeibeh ha annunciato di aver sospeso la propria ministra degli Esteri e di aver aperto un’indagine contro di lei legata all’incontro romano con Cohen. Un provvedimento deciso dopo lo scoppio di proteste spontanee in diverse parti della Libia. Proteste in cui sono state bruciate bandiere israeliane. L’ormai ex ministra Mangoush ha lasciato il paese, riportano le agenzie, e ha trovato riparo in Turchia. Nel frattempo dal ministero degli Esteri libico è arrivata una nota con una versione molto diversa del vertice con Cohen. Sarebbe stato “un incontro casuale e non preparato durante una riunione presso il ministero degli Esteri italiano”. Nella nota si legge poi che non vi sarebbe stata nessuna “discussione, accordo o consultazione” tra le parti. E si specifica che il governo libico “rinnova il suo completo e assoluto rifiuto della normalizzazione” dei rapporti con Israele. Cohen, riportano i media locali, non ha commentato questa evoluzione in negativo della situazione…”.

A Tripoli però si definisce “casuale e non preparato” l’incontro a Roma al quale ha partecipato il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani. Anzi, secondo un’ipotesi che circola, la riunione sarebbe stata frutto di un “blitz” pensato e realizzato proprio da Tajani, desideroso di “accelerare” la normalizzazione dei rapporti degli alleati israeliani con i Paesi arabi. La Libia in un comunicato spiega che si è trattato di un incontro nel quale non ci sarebbero state “discussioni, accordi o consultazioni”. E Manghoush, da parte sua, avrebbe rifiutato la possibilità di una normalizzazione “con l’entità sionista (Israele)” ribadendo il sostegno della Libia alla causa palestinese e a “Gerusalemme come capitale eterna della Palestina”.

La notizia dell’incontro in Italia ha suscitato immediate proteste a Tripoli dove, ieri sera, alcuni manifestanti hanno assaltato il ministero degli Esteri. E questa mattina, prima dell’alba, centinaia di manifestanti hanno dato fuoco o tentato di farlo, non è ancora ben chiaro, alla residenza del premier Abdulhamid Dabaiba. Oggi l’altro parlamento libico, quello di Tobruk, nell’est della Libia, si riunirà d’emergenza per discutere di ciò che definisce “un crimine contro il popolo libico”.

Di fronte alle proteste, la ministra Mangoush sarebbe partita qualche ora fa su di un jet privato per dirigersi in Turchia, dopo essere stata sospesa dal primo ministro il quale ha anche formato una commissione d’inchiesta che dovrà riferire sull’incontro a Roma. L’incarico ad interim di ministro degli Esteri è stato assegnato a Fattehalla Elzini.

È difficile, tuttavia, credere che Mangoush abbia accettato di parlare a Cohen senza chiedere l’autorizzazione del suo governo. Non pochi credono che l’incontro a Roma dovesse restare segreto e che sarebbe stato il governo Netanyahu a far trapelare la notizia, non resistendo alla tentazione di “far sapere” che Israele ha avviato contatti con un altro Paese arabo, oltre a quelli che ha in corso con l’Arabia saudita per una possibile normalizzazione dei rapporti. La stampa israeliana riferisce che Cohen ha definito l’incontro “storico” e un “primo passo” verso l’apertura di relazioni tra i paesi. Cohen, aggiungono i giornali israeliani, avrebbe discusso con l’omologa libica di tutela dei siti ebraici in Libia, di progetti nell’agricoltura e per le riserve idriche e dell’invio di aiuti umanitari israeliani.

Al di là delle rivelazioni della stampa, in passato si è parlato in diverse occasioni di contatti tra il figlio di Gheddafi, Saif al Islam, e funzionari israeliani. Nel gennaio del 2022, sarebbe avvenuto un incontro all’aeroporto di Tel Aviv tra funzionari del governo libico non riconosciuto che fa capo al generale Khalifa Haftar. E sono girate voci di un meeting segreto in Giordania tra il premier Abdulhamid Dabaiba e rappresentanti israeliani.

L’accaduto potrebbe interrompere la carriera politica di Najla Mangoush, la prima donna a ricoprire il ruolo di ministro degli Esteri della Libia. Originaria di Bengasi, Mangoush è una avvocata e docente universitaria e ha ottenuto riconoscimenti accademici internazionali. Vanta inoltre un dottorato in gestione dei conflitti e della pace presso la George Mason University”. 

Da Eretz ad Haaretz. Scrive Amir Tibon: “L’annuncio ufficiale dell’incontro tra Cohen e Mangoush è stato diffuso domenica pomeriggio e poco dopo sugli account ufficiali in lingua araba e inglese del Ministero degli Esteri. Il primo segnale che l’annuncio era problematico per il governo libico è arrivato un’ora dopo, quando il Ministero degli Esteri israeliano ha dovuto cancellare la dichiarazione in arabo a seguito di una richiesta urgente da parte libica.

Il post, tuttavia, è stato rimosso troppo tardi. Su sollecitazione di Cohen, il ministero aveva già distribuito il messaggio ai media israeliani e poco dopo è stato ampiamente citato dai media arabi.

In risposta alle notizie sulla partenza di Mangoush dalla Siria, il deputato dell’opposizione israeliana Benny Gantz ha criticato il governo di Benjamin Netanyahu su Twitter, affermando che “quando si fa tutto per le pubbliche relazioni e per i titoli dei giornali, con zero responsabilità e lungimiranza, questo è ciò che accade”.

“Le relazioni estere di Israele sono una questione seria e delicata, soprattutto quando si tratta di paesi arabi… con i quali non abbiamo relazioni [diplomatiche] ufficiali”, ha aggiunto.

Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha dichiarato che “questo è ciò che accade quando si nomina ministro degli Esteri Eli Cohen, un uomo senza alcun background nel settore”. Ha definito l’incidente “dilettantesco, irresponsabile e un grave errore di valutazione”.

“Questa è una mattinata di disgrazia nazionale e di messa in pericolo di vite umane per un titolo di giornale”, ha aggiunto.

“Ho parlato con il ministro degli Esteri del grande potenziale che le relazioni tra i due Paesi possono offrire”, ha dichiarato il ministro israeliano Cohen in un comunicato.

L’incontro è stato facilitato dal ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, ha dichiarato il ministero degli Esteri israeliano, aggiungendo che i due hanno discusso di possibili cooperazioni e aiuti israeliani in ambito umanitario, agricolo e di gestione delle risorse idriche.

Cohen ha detto di aver parlato con Mangoush dell’importanza di preservare il patrimonio ebraico in Libia.

La politica estera libica è complicata dagli anni di conflitto e dalle aspre divisioni interne sul controllo del governo e sulla legittimità di qualsiasi iniziativa dell’amministrazione di Tripoli.

Il governo di unità nazionale è stato insediato all’inizio del 2021 grazie a un processo di pace sostenuto dalle Nazioni Unite, ma la sua legittimità è stata messa in discussione dall’inizio del 2022 dal parlamento orientale dopo un tentativo fallito di tenere le elezioni.

Le precedenti mosse di politica estera del GNU, compresi gli accordi raggiunti con la Turchia, sono state respinte dal parlamento e sottoposte a contestazioni legali.

Il Consiglio di Presidenza, che funge da capo di stato, ha rilasciato una dichiarazione domenica chiedendo al Primo Ministro del GNU Abdulhamid al-Dbeibah di chiarire cosa fosse successo.

L’Alto Consiglio di Stato, che ha un ruolo consultivo nella politica libica, ha espresso la sua “sorpresa” per i resoconti dell’incontro e ha affermato che i responsabili “dovrebbero essere chiamati a rispondere”.

Così Tibon.

“Dilettantesco, irresponsabile e un grave errore di valutazione”. Il giudizio dell’ex premier israeliano (Lapid),  si riferiscono a Cohen. 

Potremmo usare le stesse parole per Antonio Tajani. Già l’Italia aveva mille problemi in Libia. Ora li ha moltiplicati. 

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