Esplosivi e lanciarazzi contro i migranti: è il "modello saudita"
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Esplosivi e lanciarazzi contro i migranti: è il "modello saudita"

Usano esplosivi e lanciarazzi contro civili inermi, molti dei quali donne e bambini. Ne hanno uccisi a centinaia, forse migliaia, ma nessuno sta facendo nulla per fermare la mano del principe ereditario saudita. 

Esplosivi e lanciarazzi contro i migranti: è il "modello saudita"
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

22 Agosto 2023 - 18.55


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Usano esplosivi e lanciarazzi contro civili inermi, molti dei quali donne e bambini. Ne hanno uccisi a centinaia, forse migliaia, ma nessuno sta facendo nulla per fermare la mano del principe ereditario saudita. 

L’Onu si sveglia

Il rapporto diffuso ieri dall’organizzazione Human Rights Watch (Hrw), secondo cui gli agenti della Guardia di frontiera saudita hanno ucciso centinaia di migranti e richiedenti asilo che, partiti dall’Etiopia, hanno cercato di passare il confine tra lo Yemen e l’Arabia Saudita tra marzo 2022 e giugno 2023, è stato definito “molto preoccupante” da Stéphane Dujarric, portavoce del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Il rapporto documenta violenze compiute dalla guardia di frontiera saudita utilizzando anche razzi e mortai, oltre a pietre e spranghe che hanno causato danni permanenti o amputazioni ai migranti, nel tentativo di tenerli lontani dai propri confini.

Il dossier solleva, ha affermato Dujarric, “accuse molto gravi” ed è “intollerabile cercare di fermare le migrazioni utilizzando la canna di una pistola”. Secondo Hrw, sarebbero state uccise persone anche a distanza ravvicinata, inclusi dei bambini. Nel periodo considerato si calcola che i migranti uccisi sarebbero centinaia, ma il bilancio complessivo potrebbe raggiungere le migliaia, secondo Human Rights Watch. In totale 3.442 persone avrebbero attraversato il confine, e ci sarebbero stati centinaia di morti per ogni attraversamento. Secondo alcuni racconti riportati nel rapporto, in diversi casi le violenze sono proseguite anche dopo l’attraversamento del confine, quando i migranti sono stati fermati dalle guardie di frontiera saudite e portate nei centri di detenzione.

“So che il nostro ufficio per i diritti umani era a conoscenza della situazione, ha avuto alcuni contatti, ma è stato molto difficile per loro verificare la situazione al confine”, ha aggiunto il portavoce dell’Onu. “Penso sia necessario ricordarlo perché abbiamo visto in molti casi nel mondo, casi di violenza contro i migranti, contro chi cerca rifugio, e gli esseri umani, che siano migranti, rifugiati o richiedenti asilo, vanno tutti trattati con dignità e devono vedere rispettati tutti i loro diritti in base al diritto internazionale – ha detto ancora – Credo sia intollerabile cercare di fermare le migrazioni con il fucile puntato”. 

La ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock ha chiesto che le autorità dell’Arabia Saudita forniscano spiegazioni sul rapporto dell’organizzazione per i diritti umani. “Una risposta del governo di Riad sarebbe molto importante per la cooperazione tra Arabia Saudita e Germania”, ha affermato Baerbock, secondo cui tali “accuse sono molto pesanti e devono essere chiarite”.

Gli Stati Uniti sono un partner da molto tempo dell’Arabia Saudita ma sul rispetto dei diritti umani c’è sempre stata tensione. Secondo l’organizzazione americana, gli etiopi che fuggono dalla guerra, dalla fame e dalla persecuzione, rappresentano il novanta per cento dei migranti diretti verso l’Arabia Saudita lungo la cosiddetta “rotta dell’est”, un percorso molto pericoloso, che comincia nel Corno d’Africa, attraversa il golfo di Aden e, attraverso lo Yemen, sbocca nella provincia saudita di Jizan. Attualmente in Arabia Saudita vivono circa 750 mila etiopi, grande parte dei quali è arrivata senza “intenzioni illegali”, secondo quanto dichiarato dall’Oim (l’Organizzazione mondiale delle migrazioni), l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, che fa parte del sistema delle Nazioni Unite.

La vicenda lascia ancora molti lati oscuri, ma anche una certezza: è finito sulle sabbie infuocate del deserto sotto i colpi d’arma da fuoco delle guardie di frontiera saudite il viaggio della speranza di centinaia, forse migliaia, di migranti per lo più etiopici che hanno arrancato per mesi lungo una delle rotte più pericolose del mondo. Una sorta di sadico tiro al piccione dei militari di Riad, racconta il  rapporto di Hrw, che lasciano marcire i cadaveri sotto il sole o, nel migliore dei casi, sparano alle gambe da distanza ravvicinata non prima di aver chiesto agente stanca, affamata e indifesa su quale arto vuole essere colpita. L’odissea inizia dalle aree remote del Corno d’Africa, si snoda fino a Gibuti e poi su barche di fortuna attraverso lo stretto di Bab el-Mandeb (nome che in italiano suona sinistramente come ‘Luogo del lamento funebre’) tra il Mar Rosso e il Golfo di Aden, attraverso lo Yemen sconvolto dalla guerra per finire nei lager gestiti da trafficanti che fanno capo ai ribelli Houthi e poi tentare la sorte. Sono oltre 200mila ogni anno i migranti su questa rotta, secondo L’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim).

“Ho visto persone uccise in un modo che non avrei mai immaginato”, ha raccontato ai ricercatori di Human Rights Watch Hamdiya, una ragazza di 14 anni che è riuscita ad attraversare il confine a febbraio, “ho visto 30 persone uccise sul posto”. C’è chi riesce a passare la frontiera, viene arrestato e poi rispedito indietro. Ma anche in questo caso non è detto che riesca a uscirne vivo. “Ci hanno caricato su un minibus, quando ci hanno rilasciato ci hanno urlato di scendere e andarcene”, ha detto Munira, 20 anni, spiegando che “quando eravamo a un km di distanza, le guardie di frontiera potevano vederci. Ci stavamo riposando insieme dopo aver corso molto… ed è stato allora che hanno sparato colpi di mortaio sul nostro gruppo. Eravamo in 20 e solo 10 sono sopravvissuti”.

«Mai visto qualcosa di simile»

“Non mi sono mai imbattuta in qualcosa di simile, l’uso di esplosivi anche contro donne e bambini”, ha denunciato Nadia Hardman, capo ricercatrice di Hrw per il rapporto i cui ricercatori hanno intervistato 42 sopravvissuti e amici e parenti di chi ha tentato di entrare nel regno, analizzato 350 video e foto diffusi sui social o raccolti da altre fonti e girati tra il 12 maggio 2021 e il 18 luglio 2023. Tra le immagini, morti, brandelli di corpi e feriti sparsi lungo le zone di confine. Ma gli orrori non finiscono qui. E’ stato documentato almeno un caso in cui le guardie di frontiera hanno costretto un giovane sopravvissuto a stuprarne un altro minacciandolo di morte. Non si conosce il numero esatto delle vittime. Secondo Hardman, “un minimo di 655, ma è probabile che siano migliaia”. In giugno, un altro rapporto dell’Oim parlava di almeno 795 vittime “per lo più etiopi”, come riporta il quotidiano britannico riporta Guardian. Una campagna mirata contro i migranti che, a giudizio di Hrw, potrebbe costituire un crimine contro l’umanità. Già in ottobre esperti dell’Onu avevano denunciato i massacri in una lettera al governo di Riad. Ma i sauditi hanno risposto che “le autorità non hanno scoperto alcuna informazione o prova per confermare o comprovare le accuse”.

“Abbiamo sollevato le nostre preoccupazioni su queste accuse con il governo saudita”, ha detto un portavoce del Dipartimento di Stato Usa dopo la pubblicazione del rapporto. 

Ho visto un ragazzo chiedere aiuto, aveva perso entrambe le gambe – racconta una testimone nel video realizzato dalla Ong e condiviso sui social – Non abbiamo potuto aiutarlo perché stavamo correndo per le nostre vite”. “Era notte – racconta un altro migrante – stavamo attraversando il confine saudita. Abbiamo visto le guardie di confine che ci hanno detto di fermarci. Mentre venivano verso di noi hanno aperto il fuoco e hanno sparato. Un proiettile ha colpito una roccia e poi la mia gamba”. Nei racconti anche episodi di violenza: “Nel nostro gruppo c’erano sette persone, cinque uomini e due ragazze – racconta ancora un altro testimone – Le guardie ci hanno fatto togliere i vestiti, ci hanno detto di violentare le ragazze che avevano 15 anni. Uno si è rifiutato e lo hanno ucciso. Io ho partecipato alla violenza, per sopravvivere”.

Una ragazza racconta invece di essersi salvata da un massacro: “Abbiamo camminato per le montagne per cinque giorni in gruppi, minimo 300 persone, soprattutto donne. Poi le guardie di frontiera hanno sparato. Sparavano con grandi lanciarazzi ed è stata come una bomba, su 300 persone ne sono morte 150“.

Il video-rapporto della Ong sottolinea che il numero di morti non è stato confermato, ma che le indagini dell’organizzazione hanno portato a scoprire otto siti per bruciare cadaveri vicino al campo per migranti al confine e di aver contato almeno 287 tombe dalle immagini satellitari di giugno 2023.

Circa 750 mila etiopi vivono in Arabia Saudita, e spesso ci arrivano da una delle rotte più pericolose del mondo, che dall’Etiopia passa per il  Gibuti, dove poi gruppi di trafficanti portano i migranti in Yemen passando per il golfo di Aden. I sopravvissuti intervistati da Hrw hanno affermato di aver attraversato il Golfo su “navi non idonee”, per poi essere trasferiti dai contrabbandieri yemeniti nel governatorato di Saada, al confine con l’Arabia Saudita, attualmente sotto il controllo degli Houthi, gruppo armato sciita che dal 2014 combatte una guerra contro il governo dello Yemen. Secondo le testimonianze, le forze Houthi lavorerebbero a braccetto con i contrabbandieri. Imprigionati in centri di detenzione, i migranti subivano abusi fino a quando non potevano pagare una “tassa d’uscita”.

Nonostante la stessa Human Rights Watch avesse già documentato le uccisioni di persone migranti al confine tra lo Yemen e l’Arabia Saudita dal 2014, quest’ultimo rapporto si concentra soprattutto “sull’escalation deliberata” di violenze perpetrate dalla guardia di frontiera saudita. Un Paese indicato dalla comunità internazionale come figura chiave per una pacificazione della regione del Corno d’Africa. “Abbiamo preso nota con preoccupazione del report, solleveremo la questione con le autorità dell’Arabia Saudita e anche con il regime Houthi di fatto al potere nel nord dello Yemen”, ha dichiarato Peter Stano, portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae).

“Il nostro ruolo è sollevare il problema con i partner e vedere con loro quali fatti possono condividere e quali misure possono prendere per risolverlo”, ha proseguito Stano. Che ha salutato con favore “la rapidità” dei governi etiope e saudita di istituire un’indagine congiunta sulla vicenda. Secondo Human Rights Watch l’indagine dovrebbe essere “istituita e sostenuta dalle Nazioni Unite”, anche perché né la monarchia saudita né Addis Abeba, che contro i migranti etiopi del Tigray ha condotto una feroce guerra civile, avranno verosimilmente intenzione di trovare colpevoli. Colpevoli di crimini contro l’umanità, stando all’agghiacciante rapporto di Hrw.

Il prezzo dell’impunità

Intanto il presidente americano Joe Biden sta valutando la possibilità di incontrare a margine del G20 di settembre in India il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, ritenuto dall’intelligence Usa il mandante dell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Kashoggi. Mentre Downing Street, scrive il Guardian, ha confermato che il premier britannico Rishi Sunak intende accogliere a Londra bin Salman “il più presto possibile”.

Ma MbS può dormire sonni tranquilli. Con i suoi petrodollari si è comprato l’impunità internazionale. 

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