Come il Niger è diventato un pantano
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Come il Niger è diventato un pantano

Niger, la prova di forza esterna rischia di far deflagrare l’intero Sahel.

Come il Niger è diventato un pantano
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

21 Agosto 2023 - 20.26


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Niger, la prova di forza esterna rischia di far deflagrare l’intero Sahel.

L’uomo forte detta i tempi

Il nuovo uomo forte del Niger, il generale Abdourahamane Tiani, salito al potere con un colpo di Stato, ha assicurato che il periodo di transizione non potrà superare i tre anni, mettendo in guardia i Paesi stranieri dall’intervento militare contro il Niger.

“La nostra ambizione non è quella di prendere il potere”, ha detto Tiani durante un discorso televisivo, precisando che la durata della transizione “non può andare oltre i tre anni”.  Il generale golpista Tiani, il giorno dopo che l’Ecowas ha dichiarato di essere pronta a un intervento armato, ha avvertito: “Se un attacco dovesse essere intrapreso contro di noi, non sarebbe la passeggiata nel parco che alcune persone sembrano pensare”, aggiungendo che “l’Ecowas si sta preparando ad attaccare il Niger allestendo un esercito di occupazione in collaborazione con un esercito straniero”, senza specificare quale Paese intendesse.

Venerdì scorso il commissario per la pace e la sicurezza dell’Ecowas, Abdel-Fatau Musah, ha dichiarato che 11 dei 15 Stati membri hanno accettato di impegnare le proprie truppe in un dispiegamento militare, dicendosi “pronti a partire” non appena verrà dato l’ordine. I Paesi che non parteciperanno a un eventuale intervento armato sono ovviamente il Niger al quale si aggiungono i suoi alleati Guinea, Mali e Burkina Faso. Bamako e Ougadougou hanno inoltre sottolineato che considerano un intervento in Niger come un atto di guerra. E sembra che, secondo quanto riferito dalla TV di Stato nigerina, i due Stati avrebbero già schierato la propria flotta aerea in segno di solidarietà.

Il sostegno ai golpisti

Diverse migliaia di persone hanno manifestato domenica nella capitale del Niger, Niamey, a sostegno della giunta militare che ha preso il potere lo scorso 26 luglio destituendo il presidente Mohamed Bazoum, ora agli arresti domiciliari insieme alla sua famiglia.

Molti gli slogan contro la Francia e la Comunità degli Stati dell’Africa occidentale, Ecowas, contro le sanzioni e l’intervento militare.  Il raduno di piazza arriva dopo che sabato il generale Abdourahamane Tiani, salito al potere con il colpo di Stato, aveva tenuto un discorso televisivo con l’annuncio di un dialogo nazionale, precisando che la durata della transizione non supererà i tre anni. Poco prima Tiani aveva incontrato una delegazione dell’Ecowas, guidata dall’ex presidente nigeriano Abubakar, andata a negoziare una via d’uscita dalla crisi e per visitare il deposto presidente Bazoum. “C’è speranza e una chiave per continuare i colloqui”, aveva quindi detto Abubakar.

Le tensioni nel Sahel

Ma la fine della crisi è tutt’altro che certa, restano le pesanti sanzioni dell’Ecowas varate il 30 luglio e venerdì i capi militari dei Paesi dell’Africa occidentale, a margine di una riunione tenutasi ad Accra in Ghana, hanno annunciato di aver definito i dettagli di un intervento militare contro i golpisti del Niger e di aver fissato persino il giorno dell’intervento, che però resta ancora segreto. Il generale Tiani ha quindi avvertito che il Niger non starà a guardare in caso di intervento. “Se dovesse essere intrapresa un’aggressione contro di noi non sarebbe la passeggiata nel parco in cui alcuni credono”, ha detto, assicurando che l’Ecowas ha voluto costituire “un esercito di occupazione in collaborazione con un esercito straniero”, senza menzionare alcun Paese. Tre dei 15 Paesi dell’Ecowas – Mali, Burkina Faso e Guinea – si rifiutano di intervenire contro il Niger perché anch’essi guidati da giunte militari.

Crisi umanitaria

Infine si aggrava la situazione umanitaria a causa della crisi. L’Unicef avverte che sono oltre due milioni i bambini vulnerabili la cui situazione è ulteriormente peggiorata dopo il golpe e le sanzioni. L’Unicef chiede di sbloccare navi e container contenenti aiuti urgenti che non possono entrare nel Paese. “La crisi in corso nella Repubblica del Niger continua a rappresentare un pericolo sempre maggiore per milioni di bambini vulnerabili nel Paese – si legge in una dichiarazione di Stefano Savi, rappresentante Unicef sul posto – l’attuale situazione è molto preoccupante e aggiunge un pesante fardello a un panorama umanitario già disastroso, in cui la prevalenza della malnutrizione grave tra i bambini è estremamente elevata”.

 Testimone diretto

A scriverne, su La Stampa, è Giovanna Locatelli: “Le bandiere russe sono ovunque in città. I sentimenti antifrancesi sono cresciuti con l’inizio di questa crisi» racconta Omar Hama Saley, giornalista indipendente di base a Niamey. In molti pensano che dietro ci sia la macchina di disinformazione russa che dopo il colpo di stato militare del 26 luglio ha veicolato notizie false, soprattutto sui social: «Certamente l’informazione contribuisce a creare un sentimento anti-occidentale» spiega Omar Hama Saley.

La città di Niamey vive in una sorta di apnea. Non è ancora chiaro se ci sarà un intervento militare ad opera dell’Ecowas, ma tra la popolazione cresce la preoccupazione: «Molte persone con cui parlo tutti i giorni – continua il giornalista – temono un conflitto armato. Attualmente la città è in uno stato di calma apparente, ma solo in superficie: i mercati sono aperti, così come anche gli uffici e le banche». Oggi si è tenuto l’ennesimo summit della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas) ad Accra, in Ghana. Il dialogo con i golpisti è sempre sul tavolo, ma l’Organizzazione si è detta pronta a intervenire con un dispiegamento di forze. «Metteremo a punto la finalizzazione dei piani di dispiegamento – si legge in un post dell’Ecowas – se la via del dialogo dovesse portare su un binario morto».

Nel frattempo, i golpisti tengono in pugno un Paese intero e decidono cosa far vedere al mondo esterno: «La società è divisa, in molti sostengono i militari e si mostrano volutamente nelle manifestazioni. C’è anche una larga parte della popolazione che sostiene il presidente deposto Bazoum, ma la giunta vieta loro di manifestare. Anche il processo al deposto presidente ha diviso l’opinione pubblica: c’è chi pensa che sia troppo presto per processarlo e chi invece sostiene i putschisti, anche in questo». Una situazione potenzialmente esplosiva. Quello che preoccupa non è solo un possibile scontro armato ma, soprattutto, le sanzioni che «hanno già rallentato l’economia, alcuni beni di prima necessità sono diventati molto costosi come il riso e il petrolio. I cittadini fanno fatica. Non so per quanto tempo questa situazione sarà sostenibile».

Il blocco ha, infatti, interrotto le transizioni finanziarie e le forniture di elettricità e ha chiuso i confini con il Niger senza sbocco sul mare, bloccando così le importazioni. Oggi, l’infiltrazione jihadista nel Paese già è realtà: «Il Niger- continua Omar hama Saley – è circondato da Paesi che non controllano i propri confini, in particolare il Mali e il Burkina Faso. Le regioni più esposte al terrorismo sono di Tillaberi, Tahoua e Dosso». Ed è proprio così, almeno 17 sono i soldati nigerini rimasti uccisi – nelle ultime ore – in un’imboscata nei confini tra Niger e Mali, una zona che non è più di nessuno. Nonostante la strada sia ancora tutta in divenire, la via del dialogo rimane una speranza condivisa: “penso che la soluzione pacifica sia la migliore, in un Paese così diviso, ma molto difficile da ottenere, in questo momento». Infine una stoccata all’Ecowas: «Una cosa è certa: l’Organizzazione si sta giocando la sua credibilità. E il suo futuro»

“In Niger  – annota su il Manifesto Marinella Correggia – metà della popolazione vive in povertà estrema, i rifugiati e gli sfollati sono centinaia di migliaia, milioni di cittadini soffrono di «insicurezza alimentare acuta». In questo contesto, il Programma alimentare mondiale sottolinea che «le sanzioni e le chiusure delle frontiere colpiscono approvvigionamenti vitali».

Invece l’Alto commissario Onu per i diritti umani Volker Türk, da Ginevra, non riesce a condannare le durissime sanzioni imposte dalla Cedeao. Pur citando la paralisi degli scambi, i black-out dovuti al taglio dell’energia da parte nigeriana, l’aumento dei prezzi. Netta la sua condanna del golpe.

La Cedeao presenta il reinsediamento di Bazoum come richiesta non negoziabile. Ma tutti conoscono gli enormi rischi di un’opzione militare, respinta da diversi Stati dell’area (alcuni appoggeranno in armi il Niger) e priva dell’appoggio dell’Unione africana (quanto agli Usa, ieri è arrivata a Niamey la loro nuova ambasciatrice, pur non presentando per ora le credenziali). E i nigerini inveiscono contro la Cedeao: «Perché non sono venuti ad aiutarci contro i jihadisti?».

Il Sahel conta il 43% delle vittime globali del terrorismo, secondo il Global Terrorism Index 2023. In Niger i jihadisti approfittano della situazione. La recrudescenza degli attacchi sanguinosi richiede una soluzione rapida e pacifica alla crisi. Inquiete le popolazioni nelle aree di frontiera con il Niger.

A Kano in Nigeria gli abitanti hanno sfilato allo slogan «I nigerini sono i nostri fratelli». Proteste popolari contro il «confronto militare per procura» da parte della Cedeao si sono svolte in Benin come nella città ghanese di Takoradi.

Sempre in Ghana, il partito Ndc – che ha quasi gli stessi seggi del partito al potere – denuncia come antidemocratico il mancato passaggio parlamentare di fronte alla crisi nigerina. E si annunciano mobilitazioni se il Ghana manderà truppe”.

L’appello del Wfp

 Il Programma alimentare mondiale (Wfp) intanto chiede la libera circolazione del personale umanitario e degli aiuti per distribuire cibo e altri beni di prima necessità.

Solo nella prima settimana di agosto, le équipe del Wfp hanno consegnato cibo salvavita a 140 mila persone in tutto il Paese e cure essenziali per la malnutrizione a 74 mila bambini. “Il nostro lavoro è vitale per le persone più vulnerabili che vivono in Niger e deve continuare, soprattutto nelle circostanze attuali”, spiega Margot van der Velden, direttrice regionale ad interim del Programma alimentare mondiale per l’Africa occidentale. Il Niger sta vivendo la stagione magra del raccolto, che in genere dura fino a ottobre. E’ questo il momento dell’anno in cui le scorte di cibo iniziano a diminuire e l’insicurezza alimentare – contro cui lavora il Wfp – diventa una minaccia soprattutto per i più piccoli.

La povertà

Almeno 3,3 milioni di persone – il 13 per cento della popolazione del Niger – è minacciata dall’insicurezza alimentare, mentre ci sono 698 mila sfollati con la forza, inclusi 358 mila sfollati interni. Gli operatori del Wfp puntano a raggiungere con servizi salvavita e prodotti alimentari oltre un milione di persone nel solo mese di agosto. Tuttavia le sanzioni e la chiusura delle frontiere stanno avendo un impatto negativo sulla distribuzione degli aiuti in tutto il Paese mentre l’aumento dei prezzi rende i prodotti alimentari fuori portata per la gran parte della popolazione. Oltre alle grandi sfide legate alla sicurezza delle forniture di carburante, le recenti chiusure dello spazio aereo hanno comportato infatti il blocco temporaneo dei voli Unhas (UN Humanitarian Air Service) gestiti dal Wfp all’interno del Niger. A dare il colpo di grazia alla situazione umanitaria a Niamey, poi, è la decisione, forzata, del Wfp di tagliare la distribuzione delle razioni di cibo a livello globale a causa della mancanza di fondi, i quali invece sarebbero necessari non solo per mettere un pasto nei piatti delle persone più bisognose ma anche per salvaguardare i loro mezzi di sussistenza, dice Velden.

La crisi del Sahel

 La mancanza di fondi e dunque di aiuti non porta un peggioramento della sicurezza solo a Niamey ma anche nei Paesi vicini. Il Niger infatti è una rotta fondamentale della catena di approvvigionamento del cibo per i Paesi confinanti, anch’essi alle prese con crisi acute e bisogni umanitari senza precedenti. Con i finanziamenti attuali il Wfp prevede di raggiungere 3,6 milioni di persone nel 2023 attraverso la fornitura di servizi di base. Nel solo mese di luglio l’agenzia dell’Onu ha aiutato 1,2 milioni di persone.

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