Migranti, Libia-Tunisia: la divisione dei disperati
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Migranti, Libia-Tunisia: la divisione dei disperati

Nel nord Africa, come racconta da mesi “Avvenire”, la situazione è sempre più tesa. La Tunisia, dopo la Libia, è diventata un altro porto di partenza individuato da migranti e trafficanti per poter partire alla volta dell’Europa

Migranti, Libia-Tunisia: la divisione dei disperati
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

11 Agosto 2023 - 15.20


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Tunisia-Libia, la spartizione dei disperati.

Un grido disperato

Da un report di Avvenire: ““Aiutateci a tornare in Tunisia”. Lo chiedono diversi gruppi di migranti spediti in Libia dalle autorità di Tunisi, dopo settimane di operazioni di polizia volute dal governo Saied, che hanno di fatto spostato migliaia di richiedenti asilo verso il deserto subsahariano e non solo. Le immagini mostrate nel video raccontano di una protesta avvenuta sulla frontiera di mare tra i due Paesi, con ragazzi che ripetono lo slogan “Black lives matter”, “Le vite delle persone di colore contano”, che riecheggiano quelle lanciate negli anni scorsi in America nei giorni delle proteste contro la polizia per l’uccisione di cittadini afroamericani.

Nel nord Africa, come racconta da mesi “Avvenire”, la situazione è sempre più tesa. La Tunisia, dopo la Libia, è diventata un altro porto di partenza individuato da migranti e trafficanti per poter partire alla volta dell’Europa e a nulla sono valsi gli accordi presi di recente tra le autorità locali e l’Europa, su impulso del nostro governo, nel tentativo di frenare l’esodo. 

Tragedie come quella di ieri, con 41 profughi morti dopo essere salpati da Sfax, sono purtroppo cronaca ordinaria. In queste ore, peraltro, i governi di Tunisi e Libia hanno annunciato un accordo per risolvere il nodo dei migranti africani bloccati alla frontiera fra i due Paesi. 

“Abbiamo concordato di condividere la gestione dei migranti al confine”, ha spiegato un portavoce del ministero dell’Interno di Tunisi dopo un incontro tra i ministri dei rispettivi Paesi. A detta del ministero, ora nella zona di frontiera con la Tunisia non ci sono più “migranti irregolari” e questo è potuto succedere grazie al nuovo accordo con la Tunisia per condividere la responsabilità dei rifugiati bloccati alla frontiera. Ora, ha aggiunto il ministero “si stanno organizzando pattuglie” coordinate dei due Paesi per “rendere sicuro il confine”.

Tripoli avverte

“Sostenere gli sforzi di sicurezza per proteggere i nostri confini terrestri è in cima alle nostre priorità ed è una delle nostre missioni più importanti.

Pertanto, sosteniamo con forza gli sforzi compiuti dai funzionari del ministero dell’Interno del nostro governo con le loro controparti in Tunisia per proteggere i nostri confini comuni, sgomberarli dai migranti illegali e facilitare l’ingresso e l’uscita dei cittadini dei due Paesi regolarmente”: lo ha scritto su Facebook il primo ministro libico, Abdel Hamid Al Dbeibah, dopo il raggiungimento dell’accordo con la Tunisia sull’evacuazione dei migranti bloccati ai confini.

“Ancora una volta, affermo che non permetteremo l’insediamento di migranti in Libia”, ha aggiunto. “Le leggi del nostro Paese sono in grado di organizzare tutto ciò che riguarda l’ingresso degli stranieri”. E poi: “Desideriamo fornire aiuti umanitari ai migranti e facilitare il loro ritorno nei Paesi da cui provengono. Continueremo a prendere di mira i covi del traffico di migranti ovunque”, ha proseguito Dbeibah. “L’Unione europea e i Paesi vicini devono cooperare con noi e sostenere i nostri sforzi. Preservare la sicurezza nazionale libica è una linea rossa, non permetteremo che venga oltrepassata in nessun caso, al fine di preservare il nostro Paese e la sua mappa demografica”, ha concluso Dbeibah. 

Verità scomode

Le declina, per meltingpo.org, Ludovica Gualandi di Mem.Med: “I fittizi “successi” diplomatici dichiarati nell’accordo di partenariato multidimensionale intercorso a seguito della visita congiunta a Tunisi tra il Primo ministro italiano, Giorgia Meloni, il premier olandese, Mark Rutte e la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen sono stati, infatti, la mossa più audace per legittimare e deresponsabilizzare quanto, invece, della violenza xenofoba dilaga in Tunisia da ormai troppo tempo.

Il paradigma non sembra cambiare. L’accordo, esattamente come quelli tacitamente rinnovati dal 2016 con la Turchia e dal 2017 con la Libia per fornire le risorse finanziarie in cambio di un maggiore impegno nel controllo repressivo e securitario nella gestione dei movimenti migratori verso l’Europa, ha infatti il subdolo ma diretto proposito di intensificare le relazioni politiche con il governo del Presidente Saïed sulla cooperazione fra le due parti relativamente ad una serie di questioni che non perde di mira quello del controllo migratorio.
Deliberatamente tralasciata tra gli ultimi punti, la principale attenzione europea risiede ancora una volta nel vano tentativo di bloccare gli arrivi irregolari dalla Tunisia in Italia, la cui rotta pare abbia invertito la dinamica che ha visto per anni la Libia come il principale punto di partenza nel Mediterraneo Centrale.

La Tunisia si è convertita nella principale valvola a pressione del Mediterraneo, luogo da dove le persone fuggono e affrontano il mare per non morire in terra.
Gli oltre 300 chilometri di costa tra Sfax o Mahdia e Zarzis, in cui si concentra il maggior numero di partenze delle imbarcazioni, sono diventate ormai un punto di morte per chi attende di partire per salvarsi la vita.

Tra i mesi di gennaio e giugno di quest’anno, sono stati migliaia i casi registrati tra morti e dispersi a seguito degli innumerevoli e continui naufragi nelle acque tunisine. Solo da inizio luglio si sono verificati numerosi naufragi a largo di Sfax e nella rotta dalla cittadina di Zarzis a Lampedusa. E’ estremamente difficile ricostruire i fatti senza poter incrociare i dati recuperati dall’altro lato del Mediterraneo ma la presa in carico da parte di un avvocato si rivela estremamente palliativa per la ricerca di verità e giustizia delle famiglie.

L’equipe di Me.Med ha potuto incontrare il padre di Ahmed, un ragazzo libico che risulta disperso a seguito di un naufragio verificatosi il 5 luglio 2023 e di cui ha raccolto la richiesta di conferimento d’incarico per segnalarne la scomparsa in territorio italiano. Secondo quanto riferito precedentemente dal fratello e confermato poi dall’assistito, il giovane sarebbe partito insieme ad altre 20 persone dalle coste della città di Zarzis a bordo di un’imbarcazione, naufragata a poche decine di chilometri dalle isole Kerkennah. Le autorità tunisine avrebbero però soccorso e riportato a Sfax solo 12 persone sopravvissute, tra cui il corpo di un ragazzo minorenne, identificato e sepolto all’indomani. Le altre 7 persone, tra cui il giovane Ahmed, risulterebbero disperse.

Dal racconto di alcuni sopravvissuti e familiari pare siano stati recuperati e portati a Chebba altri 4 corpi ma si tratta di informazioni non verificabili per cui non è accertato che possa trattarsi dello stesso naufragio. Alla difficoltà delle parziali ricostruzioni vi è la totale assenza istituzionale e delle autorità competenti sulla ricerca e l’identificazione di persone non tunisine.

In questa direzione, riguardo la popolazione migrante residente o in transito in Tunisia che tenta la traversata, entrambe le parti hanno convenuto nel memorandum di sostenere i rimpatri dei migranti irregolari verso il Paese di origine, per cui il presidente Saïed ha ribadito di non occuparsi dei cittadini stranieri e di gestire autonomamente le proprie frontiere, non per conto dell’Europa, depotenziando dunque le concessioni all’Italia dell’accordo europeo dell’8 giugno in materia di rimpatri 2, con cui il governo avrebbe voluto favorire il trasferimento anche di cittadini di Stati terzi verso paesi di transito come la Tunisia. Meno esplicito, anzi nessuna allusione al piano B pensato invece per la popolazione non tunisina che sarà oggetto di espulsione, probabilmente perché, come spesso accade, tale vaghezza costituirà l’elemento di forza dell’intero dossier migratorio.

Per l’estrema vaporosità degli accordi non è possibile stabilire con esattezza gli effetti e l’impatto di certe intese sulla mobilità dalla Tunisia, ma gli accadimenti che da circa un mese costringono la popolazione subsahariana a condizioni di estrema violenza al confine libico e algerino, preannunciano il peggio.
La volontà di lasciare in grigio e tra le righe le operazioni di sorveglianza, identificazione e respingimento della popolazione migrante indesiderata in Europa mette a dura prova il monitoraggio su quello che è di fatto un vero e proprio sicariato contro la popolazione migrante.

Dal 28 giugno al 10 luglio 2023, per legittimazione del governo tunisino, nella città di Sfax almeno 1.200 persone sub sahariane sono state depredate ed arrestate con l’accusa di costituire una minaccia nazionale, a seguito di scontri tra tunisini e neri subsahariani in cui ha perso la vita un giovane tunisino 3

A partire dal fatidico 21 febbraio scorso, quando il presidente Saïed ha pronunciato il suo discorso xenofobo, descrivendo la presenza di decine di migliaia di africani neri come una “minaccia demografica all’identità araba della Tunisia”, sembra essersi nettamente creato un prima e un dopo rispetto a questo evento. Nei discorsi pubblici e negli atti fisici divampa l’incitamento all’odio e la violenza verso i migranti. Con la firma del Memorandum Meloni-UE-Saied il peggio deve ancora venire

Migliaia di esseri umani stanno lottando disperatamente per sfuggire all’inferno della Tunisia, ritornando nel proprio paese d’origine o rischiando di morire in mare, prima che accada a Sfax, dove si muore se sei nero.

Provano a camminare come ombre ma sono esposti ad ogni tipo di attacco. La maggioranza ha già tentato di fuggire in barca da quella città portuale che è diventata una prigione a cielo aperto, intrappolati senza poter restare né partire per l’ Europa. Lo scorso 13 luglio centinaia di persone nere sono state caricate con la forza su dei furgoni ed abbandonate dalle autorità locali nel deserto a sud della Tunisia al confine libico e algerino senza alcuna assistenza né riparo.

Le segnalazioni e richieste di soccorso da parte di alcuni familiari e da chi aveva tentato di fuggire verso il lato libico della frontiera non hanno impedito che il preannunciato massacro accadesse: 

“Quanto tempo ci vorrà prima che portino le persone in un posto sicuro? “O vogliono aspettare finché non iniziano a morire?” 

ci scriveva un familiare da Sfax segnalando la grave situazione che centinaia di persone stanno tuttora patendo nel deserto ai due lati del confine, abbandonate da settimane alla frontiera sud del paese e lasciate morire arse dal caldo.

La società civile tunisina si è subito mobilitata prendendo una posizione netta rispetto ai fatti gravissimi che hanno colpito tutta la comunità subsahariana e non solo: solidali, organizzazioni e attivisti si sono uniti il 20 luglio a Tunisi, contro il parallelo Congresso internazionale sulle migrazioni a Roma, in un “incontro dei popoli contro le politiche migratorie e per la solidarietà alle persone migranti” 5. Infatti è bene ricordare che una parte della società civile tunisina non è rimasta inerte rispetto alla carneficina in corso, mobilitando azioni di advocacy, sensibilizzazione e supporto socio-legale. 

Anche Mem.Med ha cercato di seguire i casi e denunciare le gravissime violazioni ancora in atto fornendo un supporto socio-legale ma la maggior parte delle persone abbandonate nel deserto ha perso i telefoni e la lucidità per registrare e denunciare quanto subisce, mentre assistiamo a scene
dal calibro umanitario in cui le forze militari tunisine e libiche forniscono dell’acqua con il contagocce. Chi è riuscito a sfuggire alle autorità, ha raggiunto a piedi e con le ultime energie la Libia, ma anche da lì è giunta l’ultima e drammatica testimonianza: il 25 luglio il ministro dell’interno libico dichiarava di aver rinvenuto i cadaveri di altre cinque persone a ridosso del confine con la Tunisia, che avevano tentato di fuggire sul cammino opposto.

Il 16 luglio venivano trovate morte anche Matyla e la sua piccola Marie di 6 anni, dopo essersi separate dal compagno Pato, per sfuggire alla ferocia delle persecuzioni libiche e tunisine. La famiglia era fuggita dalla Libia pochi giorni prima, dopo aver tentato invano il viaggio in mare numerose volte, esser stati detenuti nei lager libici, credendo di poter cercare in Tunisia un luogo più sicuro.

Non erano ignari dei pericoli che una persona nera è ben consapevole di incorrere ma non immaginavano che la Tunisia si convertisse in qualcosa di più mostruoso di quanto già vissuto. Attraversata la frontiera e raggiunta Sfax con la persecuzione addosso da parte della polizia tunisina, le cose non si sono messe meglio. Insieme ad un centinaio di persone sono state trasportate nel deserto e abbandonate senza acqua né cibo, con temperature vicine ai 50 gradi.

Non è difficile immaginare il peggio in situazioni come quelle descritte negli appelli che ci sono giunti.

Il gruppo ha tentato di salvarsi tornando in Libia ma da quella separazione con Pato, che ferito le aveva costrette a proseguire senza di lui, Matyla e Marie sono state ritrovate morte una accanto all’altra pochi giorni più tardi.

Qui in confine non è solo un concetto, diviene un termometro, un’unità di misurazione e demarcazione concreta tra chi vive e chi muore. Il termometro non misura solo le alte temperature che asfissiano i migranti e disidratano i loro corpi al suolo. Esso segna chiaramente uno stato di salute politico altamente malato. Una vertigine, un momento di shock e tutto diviene visibilmente e legittimamente opprimente, repressivo, mortifero, che sia nell’ombra di accordi taciti così come nella manifesta volontà di violenza.

Il 27 luglio passato il Ministero dell’Interno tunisino ha diffuso un comunicato stampa in rete 6 in cui rigetta le accuse e smentisce le presunte notizie false in quanto “danneggiano l’immagine della Tunisia e dei tunisini (…) per scopi sospetti e politici”. Si precisa, inoltre, che le autorità di Tunisi prestano “soccorso a tutti coloro che sono in pericolo nelle acque territoriali tunisine”, ribadendo infine che è un dovere del ministero “proteggere le frontiere del Paese”, e di “non essere responsabile dei migranti al di fuori dei confini” tunisini. In nessun modo le dichiarazioni considerano, invece, che suddette notizie vengono a sua volta smentite da un impianto probatorio di fatti ampiamente denunciati e pubblicamente condivisi attraverso materiale foto e video dei morti rinvenuti nel deserto. In questo senso, se tuttavia è ancora impresa ardua riuscire a imputare chi ne risponde in quanto a persona fisica o giuridica, è già accertato che la violenza che quel potere assume è totale e letale.

Due accadimenti hanno aperto in particolare la riflessione che vagamente prova ad accompagnarla nel suo procedere, ma gli stessi non potranno certamente terminare così, anzi, il perpetrare di procedure come queste si fa sempre più esplicito ma impunito. È allarmante notare come la firma dell’accordo sia avvenuta proprio nei giorni in cui sono state documentate ripetute violazioni dei diritti umani e il respingimento collettivo di carattere razziale. L’accordo cita il rispetto dei diritti umani, ma pare più che altro una concessione alla forma: è molto chiaro come la priorità europea sia concentrata sul contenimento della mobilità nel Mediterraneo e non sui diritti delle persone migranti. Anzi, la legittimazione politica che il Presidente Saied trae dalla firma di un accordo di questo genere potrebbe addirittura rassicurarlo sulla possibilità di proseguire con questa condotta.

Le conseguenze concrete in termini di condanne delle scelte fatte dall’UE probabilmente saranno minime, innanzitutto perché per ottenere la condanna dalla Corte di Strasburgo bisognerebbe incardinare un contenzioso. Ma le vittime di questo sicariato, che, in termini di violazione del divieto di respingimento saranno molto numerose, hanno la sopravvivenza sulle spalle.
Senza considerare che il procedimento azionabile dinanzi la Cedu in caso di respingimento di fronte, non avrebbe un impatto reale sulla vita delle persone, perché avverrebbe a fatto compiuto. Si tratta di un percorso giudiziario arduo da eseguire e con una minima effettività rispetto al crimine in atto.

“In questa storia, Kaïs Saïed è sicuramente il vincitore” , afferma Gianfranco Schiavone di Asgi in un intervista 7. “Egli ha preso pochissimi impegni, sostanzialmente quelli che già aveva prima, ossia cercare di riprendersi i tunisini che l’Italia vuole rimandare indietro“, per respingere la vita dei non tunisini altrove grazie al sostegno europeo, complice delle (in)evitabili sofferenze che ne deriveranno. Una complicità che il presidente Meloni ha definito un “modello”, applicabile a tutti i paesi del nord-Africa. Si, un modello di guerra e di morte per le persone migranti, e per tutti noi”.

Più chiaro di così…

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