Migranti: l'Europa-Erode e la premier che fa il gioco dell'autocrate Saied
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Migranti: l'Europa-Erode e la premier che fa il gioco dell'autocrate Saied

Fermare la strage degli innocenti, no ad una Europa che sempre più si incammina sulla strada di Erode. Monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Commissione Cei che si occupa di migranti preoccupato dai dati Unicef

Migranti: l'Europa-Erode e la premier che fa il gioco dell'autocrate Saied
Migranti in Tunisia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Luglio 2023 - 13.17


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L’Europa-Erode e la presidente del Consiglio che fa il gioco dell’autocrate Saied.

L’Europa-Erode

Fermare la strage degli innocenti, no ad una Europa che sempre più si incammina sulla strada di Erode. Monsignor Gian Carlo Perego, presidente della Commissione Cei che si occupa di migranti nonché presidente della fondazione Migrantes, guarda con preoccupazione ai dati diffusi dall’Unicef che denunciano la morte di 289 bambini nel Mediterraneo in soli sei mesi e, in una intervista all’Adnkronos, parla anche della missione che domani porterà la premier Meloni a Tunisi con la presidente della Commissione europea e il premier olandese per parlare col presidente Saied: “Spero che gli interessi economici non siano superiori all’attenzione per i volti e le storie di migranti che stanno attraversando il Mediterraneo”. 

L’esponente della Cei parte dai dati Unicef che parlano di 289 bimbi morti nel Mediterraneo in 6 mesi: “Questo dato ha due valenze: chi si mette in cammino ha anche il volto del minore, di chi viene accompagnato dalle madri verso una realtà che possa dare un futuro oltre che salvezza. Dall’altra, questa strage degli innocenti , dimostra come ci sia una indifferenza di fronte a questo volto migratorio che è il volto del minore che dovrebbe essere più tutelato e invece viene rifiutato anche nelle nostre democrazie. Tutto questo ci deve fare riflettere se sia giusto proseguire con la politica del muro e del respingimento”. 

Un’Europa che si comporta come Erode? “Il parallelo ci può stare. Come Erode aveva paura che un bambino potesse turbare il suo potere e la sua sicurezza, anche l’Europa – dice mons. Perego – rischia di avere lo stesso atteggiamento e che questi bambini in cammino siano sentiti come un pericolo per la loro ricchezza, per i loro traguardi, per la loro sicurezza. I dati poi ci ripetono che nell’ultimo anno sono più che raddoppiati anche i minori non accompagnati sulle nostre coste e questo ci dice che anche la migrazione dei minori deve fare riflettere su quali percorsi di tutela costruire nel nostro contesto e in quello europeo”. 

Domani che attendersi dalla missione a Tunisi nella quale si cercherà l’accordo sul tema dei migranti? “Spero – l’auspicio del presidente della Commissione Cei per i migranti mons. Perego – che non sia un terzo accordo come quello della Turchia e della Libia, che non riconosca i diritti di chi fugge e arriva in Tunisia per andare verso l’Europa e che ha bisogno di protezione internazionale. Spero che gli interessi economici non siano superiori all’attenzione per i volti e le storie di migranti che stanno attraversando il Mediterraneo. Spero che la solidarietà e la giustizia siano più importanti del profitto e del guadagno”. 

Mons. Gian Carlo Perego è reduce da un viaggio a Lampedusa nel decennale della visita del Papa: “Porto con me l’immagine della celebrazione della messa richiesta dai 1.400 ragazzi presenti nel campo profughi: l’immagine del futuro dell’Europa che non può ignorare questi volti, i loro segni di tortura, anche sulle gambe per le sigarette spente, le loro ferite al volto, la voglia e il desiderio di costruire il futuro in un contesto diverso. Uno spaccato di giovani che contraddice lo spaccato di un’Europa vecchia che non si accorge che la sua rigenerazione passa attraverso l’accoglienza, non il rifiuto”.

L’inferno “Punto Zero”

Ne scrive Paolo Lambruschi su Avvenire: “Nel deserto al confine con la Libia, dopo Ben Gardane, nell’inferno chiamato “Punto Zero” ci sono ancora 70 migranti subsahariani espulsi da Sfax dalle autorità tunisine dopo gli scontri etnici del 3 luglio. Dove la temperatura di giorno sfiora i 50 gradi sono senza acqua, cibo o riparo e secondo Al Jazeera, tre giorni fa è morto di stenti un giovane, abbandonato insepolto nella sabbia. Nel gruppo ci sono una donna incinta e due bambini le cui condizioni di salute sono definite serie. La Mezzaluna rossa tunisina non può raggiungerli perché si trovano in una terra di nessuno ubicata già in territorio libico e ogni ora che passa rischiano di morire. A meno che Tunisi, dopo averli deportati, non cambi ancora idea. Lo ha già fatto lunedì scorso con un gruppo più numeroso di espulsi, tutti rigorosamente con la pelle scura. E probabilmente ce ne sono altri 100 nelle sabbie infernali.[…]A Ben Gardane, il sindacato scolastico ha diramato un documento finito sui social in cui dichiara che non vuole gli stranieri salvati nel deserto. Anche al montagnoso confine algerino si nascondono dalle pattuglie della polizia almeno 200 persone, tra cui donne e bambini, provenienti da Camerun e Mali. Tutti in transito e intenzionati a raggiungere Sfax, la capitale economica e industriale tunisina che offre opportunità di lavoro anche in nero per pagarsi un viaggio in barca illegale per Lampedusa. La situazione in città è tesa. Alcune centinaia di migranti sono stati pestati e buttati fuori casa nei pogrom seguiti all’omicidio di un tunisino lo scorso 2 luglio nei quartieri poveri di Sakiet Eddaier e El Amra e dormono nei giardini pubblici. La situazione è precipitata per l’ondata anomala di arrivi negli ultimi tre mesi dalla Libia, spiegano i responsabili delle Ong. Sono soprattutto giovani ciadiani e maliani in transito, intenzionati a partire in barca verso l’Italia e molto più aggressivi degli ivoriani e camerunensi che volevano restare nel paese per lavorare e studiare. 

Quali sono le cause di questi arrivi che lo stato tunisino non quantifica? L’agenzia Ue Frontex incolpa gli “sconti” sulle partenze praticati dai trafficanti tunisini dopo le mareggiate di maggio ai migranti subsahariani che preferiscono partire dal paese maghrebino, meno pericoloso della vicina Libia. Difficile non vederci il gioco al rialzo di Saied che sul modello del turco Erdogan vuole più soldi dall’Ue nonostante abbia dichiarato che non farà la guardia di frontiera per Bruxelles.

«Spero invece – auspica l’arcivescovo di Ferrara Giancarlo Perego, presidente della Migrantes – che non sia un terzo accordo come quello con Turchia e Libia, che non riconosca i diritti di chi fugge e arriva in Tunisia per andare verso l’Europa e che ha bisogno di protezione internazionale. Spero che gli interessi economici non siano superiori all’attenzione per i volti e le storie di migranti che attraversano il Mediterraneo. Spero che solidarietà e giustizia siano più importanti di profitto e guadagno».

«La Tunisia – sostiene Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas italiana – rischia la tempesta perfetta. Se non ottiene 1,9 miliardi di prestito dal Fondo monetario e gli aiuti economici europei rischia di fallire. E a quel punto si rischia un esodo di massa anche dei tunisini. Ue e Italia pretendano in cambio il rispetto dei diritti umani dei migranti».

Invece Saied continua a gettare benzina sul fuoco. Venerdì ha tuonato contro l’inumanità dell’immigrazione irregolare, affermando che dai paesi africani sarebbero arrivati via posta e money transfer tre miliardi di dinari (un miliardo di euro) agli irregolari. Segno, secondo l’autocrate, che il paese è attaccato dai network criminali. Eppure, stando a una vecchia inchiesta della testata online tunisina Inkyfada, il paese avrebbe ricevuto dalla Ue più di 55 milioni per fermare i migranti. In realtà dal deserto al mare il presidente sta giocando sulla pelle dei migranti la sua partita decisiva”.

La denuncia delle Ong

Un gruppo di Ong tunisine ha lanciato un grido d’allarme per la situazione «catastrofica» dei migranti dell’Africa subsahariana espulsi da Sfax, città principale punto di partenza verso l’Italia, chiedendo per loro un «alloggio di emergenza» nei centri di accoglienza che assicuri assistenza sociale, umanitaria e sanitaria. L’appello è stato lanciato dal presidente della Lega tunisina per i diritti dell’uomo, Bassetti Trifi, in una conferenza stampa a Tunisi come riportato dall’agenzia Tap.

Un centinaio di manifestanti sono scesi in piazza venerdì sempre a Tunisi raccogliendo l’invito di un movimento «antifascista» per esprimere la loro «solidarietà ai migranti irregolari», riferisce inoltre il sito del Forum tunisino per i diritti economico sociali. In seguito agli scontri che hanno causato la morte di un tunisino il 3 luglio scorso, centinaia di migranti africani sono stati cacciati da Sfax, in seguito portati dalle autorità, secondo Human Rights Watch, in «zone inospitali vicino alla Libia a est e all’Algeria a ovest». Senza acqua, cibo o riparo a temperature superiori ai 40 gradi, molti sono morti, ha denunciato di recente Hrw, mentre le autorità hanno dichiarato di aver trasferito in centri sicuri, con l’aiuto della Mezzaluna Rossa, tutti i migranti bloccati nelle zone di frontiera.

Secondo il portavoce del Forum Romdane Ben Amor, tra i 100 e i 150 migranti, tra cui donne e bambini, si troverebbero ancora in una zona militarizzata al confine libico, senza alcun aiuto. Ben Amor ha procisato che «circa 165 migranti, abbandonati vicino al confine algerino, sono stati invece prelevati e portati in un luogo sconosciuto». «I migranti vengono trasferiti da un luogo all’altro, e altri gruppi, in condizioni catastrofiche, si nascondono per paura di avere la stessa sorte di quelli bloccati alle frontiere», ha denunciato Ben Amor.

“Il governo tunisino dovrebbe interrompere le espulsioni collettive e portare aiuti umanitari ai migranti africani e ai richiedenti asilo già espulsi in un’area pericolosa al confine tra Tunisia e Libia. Sono senza cibo e senza assistenza medica”, ha affermato Lauren Seibert, ricercatrice di Human rights watch. “Non solo è inconcepibile abusare delle persone e abbandonarle nel deserto, ma le espulsioni collettive violano il diritto internazionale”.

Human rights watch ha intervistato telefonicamente cinque persone che erano state espulse, tra cui un richiedente asilo ivoriano e quattro migranti (due uomini ivoriani, un uomo camerunese e una ragazza camerunese di 16 anni). “Non sono stati in grado di fornire un numero esatto, ma hanno detto che dal 2 luglio le autorità tunisine hanno espulso tra le 500 e le 700 persone nella zona di confine, a circa 35 chilometri da Ben Gardane”, denuncia il comunicato di Human rights watch. 

“Le persone espulse erano di diverse nazionalità africane e tra di loro c’erano almeno 29 bambini e tre donne incinte, hanno detto gli intervistati. Almeno sei persone espulse erano richiedenti asilo registrati presso l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), mentre almeno due adulti avevano tessere consolari che li identificavano come studenti”, continua il rapporto. Altri migranti sono stati portati al confine con l’Algeria.

 “Migranti, Meloni fa il gioco dell’autocrate Saied”

E’ il titolo dell’editoriale di ieri di Karima Moual su La Stampa:

“Tenere il più possibile lontani dai nostri occhi i migranti, le loro disgrazie, le loro ferite, i loro corpi, i loro volti e le loro storie di miseria, povertà e ingiustizia, costi quel che costi. 

Come può essere commentato se non in questo modo, l’avvio verso un nuovo memorandum d’intesa tra Tunisia e Europa con la madrina Giorgia Meloni, silenziando e girando le spalle alla violenza, il razzismo, l’abuso di potere ai danni dei migranti subsahariani, testimoniato in questi mesi da rapporti e infine dalle ultime immagini di Sfax, dove la caccia al nero è ormai istituzionalizzata da quello stesso discorso del presidente Kais Saied del 22 febbraio 2022. È il giorno in cui dicendo di trattare in un Consiglio dei ministri la gestione dell’immigrazione nel Paese, ha parlato di sostituzione etnica, di orde di immigrati africani da fermare perché fonte di crimini, e se non bastasse, come il peggiore dei complottisti, ha dichiarato al suo popolo come la presenza africana sia un’impresa criminale ordita all’alba di questo secolo per cambiare la composizione demografica della Tunisia, al fine di trasformarla in un Paese solo africano (quindi nero, perché questa è la vecchia e sempre attuale ossessione) e offuscare le sue radici arabo islamiche. Orgoglio populista razzista arabo islamico contro tutti dunque. Una propaganda eccellente per nascondere i motivi veri del default del presidente. Ma Kais quando parla lo fa in modo deciso. E lo ha detto senza battere ciglio e senza fare un passo indietro, ben sapendo che il razzismo arabo verso i neri è vivo e vegeto e basti fare un giro sui social per tastare con mano i numerosi video e i commenti razzisti, complottisti e violenti contro i migranti subsahariani che in questi anni sono aumentati in tutto il Maghreb, con la differenza che è soprattutto dalle coste tunisine che si ambisce ad arrivare prima in Europa. Infatti la risposta a Tunisi non è tardata ad arrivare. Le violenze sono aumentate un giorno dopo l’altro, nel silenzio assordante di chi in questi mesi prova a spendersi in accordi economici e politici con Tunisi, diventata una meta calda per arrivi sulle nostre coste, perché appunto, i migranti bisogna tenerli lontani, costi quel che costi. L’ipocrisia europea sta tutta concentrata in questo modus operandi, dove si è molto bravi a impartire lezioni di democrazia e diritti dall’alto, ma anche molto lesti a girare le spalle sugli stessi, quando ci sono interessi che in quel momento sembrano più importanti. Impotenti e miopi, politicamente parlando, verso la gestione di un tema epocale come quello delle migrazioni, quando ancora una volta sembra che ci sia solo la bussola europea, che in questo caso è nelle mani di Giorgia Meloni, perché la nostra premier si sta intestando il nuovo accordo con il presidente tunisino, l’uomo che si sta distinguendo in questi pochi anni di potere come il nuovo autocrate di Tunisi. Un gelido populista che non solo sdogana il razzismo arabo verso i subsahariani, come neri e africani da tenere alla larga perché inferiori, ma a Tunisi ha messo in soffitta la parola “democrazia” incarcerando oppositori politici e limitando la stampa. 

Eppure, nonostante tutto questo e nonostante il Paese sia quasi sull’orlo del baratro, per una crisi economica senza precedenti – anche per scelte economiche e politiche sbagliate – a Kais Saied, Giorgia Meloni ha deciso di riservargli un posto d’onore con la cornice europea. La nostra premier, insieme alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, tornerà domenica in Tunisia con il primo ministro dei Paesi Bassi per firmare i dettagli di un accordo da un miliardo di euro, volto a combattere il traffico di esseri umani e sostenere l’economia al collasso del paese, dicono. Eppure non c’è una parola su come accompagneranno questa ennesima somma di denaro, che serve a esternalizzare le frontiere europee in Africa, al rispetto dei diritti umani, dei migranti subsahariani ma anche degli stessi tunisini, che bisogna ricordarlo, continuano a vedere i loro diritti mutilati senza che nessuna batta un colpo. Nelle stesse ore in cui molti migranti subsahariani dopo i fatti di Sfax vengono deportati senza acqua né cibo nel deserto con la frontiera libica, e anche qui le immagini sono dolorose e raccapriccianti, le manifestazioni per la liberazione degli oppositori politici sono imponenti davanti alla Corte di appello di Tunisi. 

Ecco, ma siamo sicuri che è nostro interesse come Italia valorizzare e dare credibilità a un autocrate come Kais Saied, che oltre a schiacciare i subsahariani lontano da noi, sta facendo a pezzi anche quei fragili pilastri sui quali si era retta la rivoluzione dei gelsomini nel 2011, con al centro la parola democrazia? Siamo proprio sicuri di fare una bella figura con la storia oltre che con gli stessi tunisini? E ancora, siamo sicuri che non stiamo diventando complici del crollo della democrazia tunisina che sta divorando questo presidente. Non sarebbe stato più dignitoso e giusto verso la nostra storia di civiltà europea provare a unire a questo memorandum condizioni chiare sul rispetto dei diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto? Perché altrimenti – conclude Moual –  sarà vera quella storia, che racconta di una certa Europa più sensibile agli interessi che ai diritti, ma dovremmo avere imparato come tale politica abbia solo indebolito il nostro vicinato a Sud del Mediterraneo”.

Per quel poco che può contare, chi scrive condivide ogni parola di quanto scritto, argomentato, denunciato da Karima Moual. 

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