Migranti, l'Europa non solo non li aiuta, li affoga: il "modello greco"
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Migranti, l'Europa non solo non li aiuta, li affoga: il "modello greco"

Consiglio d’Europa, di salvare i migranti non gliene frega niente a nessuno. Così Globalist ha titolato l’esito del vertice di Bruxelles. Ora c’è un’aggiunta da fare. In Europa c’è chi s’impegna nell’affogarli.

Migranti, l'Europa non solo non li aiuta, li affoga: il "modello greco"
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Luglio 2023 - 14.31


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Consiglio d’Europa, di salvare i migranti non gliene frega niente a nessuno. Così Globalist ha titolato l’esito del vertice di Bruxelles. Ora c’è un’aggiunta da fare. In Europa c’è chi s’impegna nell’affogarli.

A raccontarlo è il Post: “Quattro migranti sopravvissuti al gravissimo naufragio nel nel Peloponneso dello scorso 14 giugno hanno raccontato a Bbc News  alcuni momenti sia del naufragio che dei giorni successivi: se confermate, le loro testimonianze corroborerebbero l’ipotesi non solo di un ruolo nella Guardia costiera greca nel naufragio, ma anche di successivi tentativi di nascondere le proprie responsabilità.

I quattro migranti sono stati contattati da Bbc News, che non ne ha diffuso i nomi per proteggerli ma che ha verificato le loro identità: alcuni di loro si trovano tuttora nel centro per migranti di Malakasa, a nord di Atene, altri lo erano fino a poco tempo fa. Parlando della Guardia costiera greca, uno di loro in particolare ha detto: «Pensavamo che ci avrebbero soccorso, invece hanno fatto affondare la barca».

I quattro migranti si riferiscono alla rischiosa operazione che la Guardia costiera greca avrebbe fatto per soccorrere la barca, trainandola con una corda dopo l’avaria al motore dell’imbarcazione, alcune ore prima del naufragio.

Confermando la versione data nelle scorse settimane da altri sopravvissuti, uno di loro ha detto che la Guardia costiera greca avrebbe lanciato una corda ad un lato del peschereccio carico di persone e avrebbe poi iniziato a trainarlo verso la terraferma andando molto veloce: la barca avrebbe iniziato a vacillare, a sbandare e a inclinarsi a destra e a sinistra, per poi capovolgersi e affondare, provocando la morte della maggior parte delle persone a bordo.

Lanciare una corda e iniziare a trainare un peschereccio carico di migranti in mezzo al mare è un’operazione estremamente rischiosa:: normalmente chi soccorre le imbarcazioni si ferma a distanza, per non provocare onde che possano compromettere l’equilibrio dell’imbarcazione – sono spesso imbarcazioni molto precarie, con sopra molte più persone del carico previsto – e si avvicina poi con barche più piccole, su cui vengono fatte salire le persone soccorse.

A fronte dei racconti dei sopravvissuti sul lancio della corda e sul traino verso la terraferma, la Guardia costiera greca aveva inizialmente smentito questa versione, sostenendo che la nave intervenuta si fosse mantenuta a una «discreta distanza» dall’ex peschereccio. Successivamente le autorità portuali greche avevano dato una versione ancora diversa, dicendo che effettivamente una corda era stata legata all’ex peschereccio, per verificarne le condizioni e tentare un rimorchio, ma le persone a bordo l’avrebbero slegata perché non volevano essere portate in Grecia e volevano continuare il viaggio verso l’Italia.

Oltre a confermare la versione della corda e del traino, i quattro sopravvissuti ascoltati da Bbc News hanno sostenuto che le autorità greche avrebbero poi chiesto loro di non parlare con i media delle modalità con cui la Guardia costiera avrebbe cercato di soccorrere la barca, e di «non incolpare la Guardia costiera greca» nel caso in cui avessero comunque parlato con dei giornalisti.

Uno dei sopravvissuti ha aggiunto di aver ricevuto pressioni da alcuni non meglio identificati «funzionari greci» affinché cambiasse la sua versione dei fatti, in cambio di un aiuto finanziario e di un’accelerazione nelle pratiche per l’ottenimento dello status di richiedente asilo, una forma di protezione internazionale prevista per alcuni tipi di migranti.

Altri due sopravvissuti hanno poi detto che le autorità greche avrebbero chiesto loro, attraverso alcuni interpreti e alla presenza di alcuni legali, di testimoniare contro nove persone egiziane che erano sul peschereccio e che sono attualmente accusate di traffico di esseri umani. I migranti ascoltati da Bbc News hanno detto che le nove persone in questione – come molte altre che una volta giunte a destinazione vengono poi accusate di traffico di esseri umani – in realtà erano passeggeri come loro e non avevano avuto alcun ruolo nell’organizzazione del viaggio.

Il naufragio nel Peloponneso è stato uno dei più gravi nella storia recente del Mediterraneo: si stima che a bordo del peschereccio ci fossero circa 750 persone, per lo più provenienti da Pakistan, Siria ed Egitto. Per ora sono stati recuperati 82 corpi e ci sono 104 sopravvissuti, con tutta probabilità quindi il bilancio dei morti è molto più alto.

Bbc News ha contattato le autorità greche per avere un commento sulle testimonianze dei quattro migranti intervistati, ma le autorità hanno risposto di non poter commentare perché tutte le informazioni in loro possesso sono al momento riservate perché parte delle indagini in corso”.

Quel Patto è la morte del diritto di asilo

Di grande interesse in proposito è l’articolo- intervista di Marco Billeci per fanpage.it: “Dal 19 al 22 giugno scorsi, una rappresentanza di deputati della Commissione Libertà Civili del Parlamento europeo si è recata in missione a Lampedusa, per verificare le condizioni all’interno dell’hotspot che ospita i migranti sbarcati sull’isola e confrontarsi con le realtà pubbliche e private che operano nel campo dell’immigrazione e del soccorso in mare. Della delegazione, faceva parte anche la parlamentare tedesca di The Left Cornelia Ernst, a cui abbiamo chiesto di raccontare quello che ha visto e quali sono stati i risultati della missione.

Durante la sua missione a Lampedusa, ha avuto l’opportunità di visitare l’hotspot dell’isola che in quei giorni ospitava oltre 800 persone. Quali sono le condizioni di vita dei migranti all’interno della struttura?

Non ci è stato permesso di entrare in tutti gli edifici, le autorità hanno detto che era complicato a causa del gran numero di persone ospitate. Non è stata la mia prima volta nell’hotspot, sono stata lì altre volte e devo dire che rispetto alle precedenti, la situazione che ho potuto vedere mi è sembrata molto migliore. Inoltre, ci è stato detto che c’è un grande ricambio e che le persone rimangono lì circa 48 ore. Ricordo che nel 2014 le persone si trovavano in condizioni terribili, vivevano in strutture di cartone e dormivano su materassi all’aperto, anche  per 3 settimane.

Quali sono i bisogni e le richieste dei migranti che ha incontrato nell’hotspot?

Le persone che abbiamo incontrato erano state salvate in mare, nei tre giorni precedenti alla nostra visita. Quindi, avevano molte domande sul loro futuro, su dove sarebbero state trasferite. I minori ci hanno detto che avrebbero dovuto rimanere più a lungo, a causa della mancanza di sistemazioni per i giovani. Molti di loro hanno bisogno di supporto psicosociale: le organizzazioni nell’hotspot – che siano la Croce Rossa, Save the Children o l’Unhcr – cercano di fornirlo ai nuovi arrivati, ma i numeri sono elevati, quindi è complicato e il supporto dopo il loro trasferimento è incerto. La maggior parte delle donne poi è stata vittima di violenza di genere, molte sono state violentate durante il viaggio e arrivano incinte. Una delle necessità allora è che a queste giovani donne venga fornita informazione sulla possibilità di interrompere la gravidanza. Questo è essenziale e al momento non viene fatto: ogni donna che arriva incinta dovrebbe ricevere l’informazione e la possibilità di scelta.

A Lampedusa, ha anche avuto un incontro con rappresentanti delle Organizzazioni Non Governative che operano nel Mar Mediterraneo. Alcuni mesi fa, il governo italiano ha approvato nuove regole più restrittive per le missioni di ricerca e soccorso delle Ong. Ne avete discusso? 

Abbiamo sentito direttamente dalle Ong come il recente decreto abbia influenzato il loro lavoro, cruciale per salvare vite umane. Durante il nostro soggiorno, la nave Open Arms ha dovuto navigare per quattro giorni verso Nord, per far sbarcare 117 persone, mettendo così a rischio la vita dei soggetti vulnerabili. L’obiettivo di attaccare le Ong è chiaro, perché invece le imbarcazioni della Guardia Costiera o della Guardia di Finanza hanno il diritto di sbarcare nel porto più vicino. Durante la nostra permanenza, abbiamo potuto vedere gli sbarchi ogni notte. Navigare per quattro giorni per Open Arms comporta una spesa di 40.000 euro e impedisce alla nave di restare in mare, per salvare più vite. Durante questa settimana si sono verificati molti naufragi lungo la rotta verso Lampedusa, è vergognoso che non vengano utilizzate appieno tutte le risorse disponibili, a causa di questo decreto. Ho potuto visitare la nave Aurora di Sea Watch che è attualmente trattenuta nel porto di Lampedusa, solo perché l’equipaggio ha valutato di non poter navigare per altre 32 ore, con persone molto vulnerabili, a bordo di una piccola imbarcazione. Queste disposizioni mettono a rischio la vita delle persone.

Cosa può dirci del faccia a faccia con gli ufficiali di Frontex? Quali sono state le sue impressioni? .

Avevo molte domande per gli ufficiali di Frontex, alla luce di tutti i rapporti che ho letto. Una di queste riguardava i debriefing delle persone appena arrivate. Abbiamo avuto segnalazioni da altri luoghi, sul fatto che questi debriefing non siano volontari, ma che le persone siano costrette ad accettarli e che vengano acquisiti dati personali. Loro mi hanno assicurato che nell’hotspot di Lampedusa è tutto volontario e completamente anonimo. Tuttavia, sono rimasta perplessa dal fatto che chiedano a chi arriva se è un migrante economico e questo viene utilizzato nell’analisi del rischio. Parliamo di persone vulnerabili, appena salvate. Ho anche posto molte domande sulle informazioni che Frontex trasmette ai cosiddetti guardacoste libici. Ho chiesto se inviano messaggi Whatsapp, come riportato dai media. Mi hanno detto che ciò sarebbe illegale, ma so che lo fanno, quindi molte questioni sono rimaste senza risposta. Trasmettere informazioni alle milizie libiche è chiaramente un crimine per me, considerando i delitti contro l’umanità commessi in Libia. Non è solo disumano, ma è anche un crimine.

A Lampedusa, ha osservato il lavoro di tutti gli attori coinvolti nella prima linea delle rotte migratorie verso l’Europa, non solo associazioni o organizzazioni private, ma anche autorità pubbliche come la Guardia Costiera. Pensa che siano adeguatamente supportate dal governo italiano e dalle istituzioni europee?

I finanziamenti dell’UE per l’immigrazione seguono un’agenda securitaria, piuttosto che umanitaria. Il supporto operativo viene da Frontex, che è complice dei respingimenti da anni. Questa è una scelta politica. Esiste un’assistenza, ma viene utilizzata per fortificare le frontiere, invece che aiutare le organizzazioni e le autorità coinvolte nel soccorso e ricerca. Mentre ero a Lampedusa, sono salita sulla nave di soccorso Dattilo della Guardia Costiera italiana e ho assistito a una dimostrazione di soccorso in mare. Questo è giusto, la guardia costiera ha un’unica missione: salvare vite. Ma il problema sono gli ordini. Ci sono molte domande che sorgono, sulle istruzioni impartite dal Ministero dell’Interno. Ad esempio, perché la nave Dattilo per mesi non è stata a Lampedusa a condurre operazioni di soccorso in mare, ma è stata spostata a Mar Ionio? In passato, ogni volta che ho incontrato la Guardia Costiera italiana, mi hanno sempre detto che ogni singola imbarcazione che lasciava la Libia era 

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