Italia-Libia: Piantedosi sapeva d'incontrare un "capo bastone" dei trafficanti di Zintan?
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Italia-Libia: Piantedosi sapeva d'incontrare un "capo bastone" dei trafficanti di Zintan?

In Libia il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi si è incontrato con il discusso e discutibile Emad Trabelsi.

Italia-Libia: Piantedosi sapeva d'incontrare un "capo bastone" dei trafficanti di Zintan?
Il ministro dell'interno libico Emad Trabelsi.
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

5 Marzo 2023 - 17.46


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Gli “strani incontri” tripolini del capo della Polizia e di Piantedosi. 

Così Globalist ha titolato l’articolo in cui si dava conto degli incontri avvenuti nella capitale libica, con tanto di photo opportunity, tra il capo della Polizia Lamberto Gianni, e successivamente del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, con il discusso e discutibile Emad Trabelsi.

Due conferme

Nello Scavo e Fausto Biloslavo hanno idee differenti e scrivono su giornali che sul tema migranti, e non solo, sono agli antipodi: Avvenire e il Giornale. Ma Scavo e Biroslavo sono uniti da essere giornalisti di razza, quelli che le guerre le hanno raccontate dal fronte e che scavano nei fatti. Come nel caso in questione.

Scrive Scavo su Avvenire del 12 gennaio: “Ogni barcone è un messaggio. Anzi un ricatto. I destinatari sono i soliti: Italia e Ue. I mittenti anche. Le richieste sono sempre uguali: legittimazione politica, flussi di cassa, potere personale dei boss con ambizioni politiche. Di questi ultimi, però, non c’è traccia nel dibattito pubblico. Fantasmi, come le vittime delle violazioni dei diritti umani.

L’ultimo a cercare di accreditarsi presso Italia e Bruxelles si chiama Emad Trabelsi. Il 29 dicembre ha incontrato una nostra delegazione, che si è mossa con molta cautela. A Roma non se ne parla. A Tripoli è su tutti i media.

Nelle foto fatte uscire sulle testate libiche si vedono il prefetto Lamberto Giannini, capo della Polizia di Stato, e il Direttore dell’Aise, il generale Giovanni Caravelli, dialogare a debita distanza con lo staff di Trabelsi. Poi le foto di rito, ma nessuna pubblica stretta di mano. Entrambi gli emissari italiani, a giudicare dai numerosi scatti, se ne guardano bene.

Il curriculum di Trabelsi è noto agli addetti ai lavori. Con la sua storia, è uno di quei personaggi che può decidere quando aprire e quando socchiudere le rotte dei barconi e quelle di altri traffici illeciti. Ama farsi ritrarre con i Ray Ban scuri fin da quando era un giovanissimo mammasantissima dell’estremo ovest, al confine con la Tunisia. Il premier Dbeibah lo ha designato ministro dell’Interno, dopo avergli preparato il terreno arruolandolo da sottosegretario.

Il suo è il dicastero chiave per il controllo delle milizie e degli affari che tengono insieme i traffici di petrolio, migranti, armi, controllo del territorio e rapporti con i salotti europei. Il ministero inoltre dispone di una sua “guardia costiera” e di milizie affiliate, travestite da polizia territoriale, che a loro volta controllano i campi di prigionia dei migranti e decidono quando chiudere un occhio davanti alle coste e quando ostacolare i trafficanti concorrenti.

Già nel 2018 il dipartimento di Stato Usa (presidenza Trump) nel rapporto annuale sulle violazioni dei diritti umani nel mondo confermava una ricostruzione del gruppo di esperti Onu sulla Libia. Tra i nomi c’era quello dell’ambizioso Trabelsi, indicato come «comandante della Forza per le operazioni speciali di Zintan, nel frattempo nominato a capo della Direzione generale della sicurezza». Secondo le accuse, Trabelsi è stato «beneficiario di fondi ottenuti illegalmente».

Gli esperti Onu spiegavano che il capo milizia aveva imposto un tariffario per i transiti sul suo territorio: «5.000 dinari libici (3.600 dollari) per ogni autocisterna contenente prodotti petroliferi contrabbandati attraverso i posti di blocco sotto il suo controllo nel nord-ovest della Libia». Dopo aver pagato il “pedaggio” in contanti agli uomini di Trabelsi, ha rivelato Sergio Scandura per Radio Radicale pochi giorni fa, gli idrocarburi potevano entrare illegalmente in Tunisia. Un giro d’affari da decine e decine di milioni di euro all’anno.

Quando Emad Trabelsi ebbe il suo primo incarico di governo, passando da sceriffo di confine a sottosegretario agli Interni, il capo della Commissione nazionale per i diritti umani in Libia (Nchrl), Ahmed Hamza, protestò con il premier Dbeibah affermando che l’uomo dei clan di Zintan «è uno dei peggiori violatori dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale in Libia».

L’intelligence italiana queste cose le sa. E dovendo barcamenarsi con i continui cambi di governo e ministri (in Italia come a Tripoli), si trova spesso a dover rifare i conti. A Tripoli, inutile dirlo, la stabilità in politica è una chimera. A decidere sono milizie, fazioni, clan, capibastone. Uno Stato-mafia che non si accontenta più di venire a patti con i boss, ma oramai li arruola fino ai ranghi più elevati. Abdurhaman al-Milad (il comandante Bija) è ora un pluridecorato maggiore della Marina, per il quale il governo ha chiesto invano il ritiro delle sanzioni Onu. Trabelsi si aspetta d’essere confermato ministro e altri capiclan attendono d’essere cooptati nei posti di comando.

Fonti investigative internazionali sostengono che lo spostamento progressivo delle partenze di barconi dalla Libia alla Tunisia sia il frutto di accordi tra gruppi di criminali a cavallo tra i due Paesi. «Se i migranti partono dalla Tunisia – spiega la fonte da Tripoli – non si potrà più dire che é tutta colpa della Libia, spesso accusata di non volere mettere un freno al traffico di esseri umani».

La crudeltà dei trafficanti di vite «non conosce limiti: da qualche mese a Lampedusa i migranti arrivano anche a bordo di barchini in lamiera. Imbarcazioni di pochi euro, saldate malamente e pronte ad affondare alla prima onda», continua a denunciare Pietro Bartolo, per anni medico delle continue emergenze sull’isola e adesso europarlamentare. In questi giorni si è recato di persona a fotografare i natanti. Hanno l’aspetto di bare scoperchiate.

«Imbarcazioni mai viste prima – dice Bartolo – , con sottili lastre di lamiera e pochi punti di saldatura». Una modalità su cui lavora la Squadra Mobile della polizia di Agrigento e la procura della città dei Templi. Investigatori a cui si deve gran parte della ricostruzione degli organigrammi criminali sulle coste libiche. «Bisogna andare a fondo, anche perché – ricorda l’europarlamentare – con la Libia il nostro Paese ha appena rinnovato un accordo per il sostegno alla loro guardia costiera».

Da camionista a capo dei miliziani 

Così Fausto Biloslavo su il Giornale: “Prima della rivolta contro Gheddafi faceva il camionista, in realtà con un piccolo furgone. Non aveva un soldo. Poi è diventato un capo dei miliziani di Zintan e si è arricchito» spiega una fonte del Giornale a Tripoli. La sicurezza francese, dopo averlo interrogato, ha lasciato andare Trabelsi, ma sembra che il ministro dovrà giustificare davanti a un giudice il possesso e la provenienza del denaro in contanti. La cifra di mezzo milione è trapelata sulla tv satellitare Al Arabya. Il ministro era volato a Parigi dopo la riunione del Consiglio arabo dei responsabili dell’Interno, a Tunisi.

Se la notizia venisse confermata provocherà un certo imbarazzo in Italia. Il 21 febbraio Trabelsi era ospite al Viminale per la prima riunione operativa dopo il rilancio della collaborazione con la Libia, in seguito alla visita del premier Giorgia Meloni a Tripoli. A Roma, con il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, si affrontava «il tema del contrasto al traffico di migranti e un focus è stato dedicato alla cooperazione tra le forze di polizia italiane e libiche nella lotta alla criminalità organizzata».

Trabelsi è un capo bastone della roccaforte miliziana di Zintan, a ovest di Tripoli. Il capo del governo di Unità nazionale, Abdel Hamid al-Dbeibah, lo ha nominato ministro dell’Interno il 6 novembre. Un «premio» per averlo salvato da milizie avverse negli scontri a Tripoli dello scorso anno.

La carriera di Trabelsi è stata fulminante: prima comandante delle forze di Sicurezza generale a Tripoli, numero due dell’intelligence, poi sottosegretario agli Interni, e infine ministro dell’Interno. Il problema è che lo stesso Dipartimento di stato americano nel 2018 lo additava come capo milizia che faceva la cresta sul traffico illegale di petrolio verso la Tunisia. Riceveva «5.000 dinari libici (3.600 dollari) per ogni autocisterna contenente prodotti petroliferi contrabbandati attraverso i posti di blocco sotto il suo controllo nel nord-ovest della Libia» si legge nel rapporto ripreso da un panel dell’Onu. Il 23 giugno 2022 il governo gli ha consegnato assieme a un altro capo milizia, l’equivalente in dinari libici di 7 milioni di dollari. I soldi sarebbero serviti per creare una fantomatica forza di polizia del deserto per controllare i porosi confini da dove arrivano i migranti africani. Amnesty International aveva già denunciato che Trabelsi ha scalato i vertici della sicurezza «nonostante il coinvolgimento nei crimini contro i migranti e i rifugiati, comprese sparizioni forzate». Si sospetta che nel contrasto all’immigrazione illegale avrebbe favorito uno o l’altro trafficante di uomini, che mandano i barconi in Italia. E per di più gestisce i fondi europei per i migranti e la lotta al traffico. Quando è stato nominato all’Interno, Ahmed Hamza, capo della Commissione per i diritti umani in Libia, aveva protestato duramente con il premier Dbeibah: «Non attribuisce alcuna importanza ai diritti umani e alle sue vittime – ha dichiarato – Dovrebbe essere dietro le sbarre, non al ministero dell’Interno libico». Tutte notizie  – conclude Biloslavo – risapute dalla nostra intelligence”.

Ce ne sarebbe a sufficienza per chiedere lumi – una interrogazione parlamentare ci starebbe bene –  al ministro Piantedosi su questa interlocuzione con un personaggio che dire chiacchierato è usare un eufemismo. Il ministro Piantedosi fa parte di un Governo che si fa vanto di voler usare il pugno di ferro contro i trafficanti di esseri umani (al momento il pugno di ferro è stato esercitato contro le Ong). Ministro Piantedosi, presidente Meloni, eravate a conoscenza dei trascorsi del “ministro” Trabelsi. Sapevate dei suoi legami con la milizia di Zentan, legata a filo doppio ai trafficanti di esseri umani? E se sì, come la mettete con i vostri declamati intenti? O c’è da pensare che pur di respingere i migranti, nei lager libici o in fondo al mare, tutto fa brodo, anche elevare con un personaggio che ha scalato i vertici della sicurezza “nonostante il coinvolgimento nei crimini contro i migranti e i rifugiati, comprese sparizioni forzate”? 

C’è qualche parlamentare della sinistra che trova il tempo per chiederlo al ministro Piantedosi?

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