Itala-Libia: chi è Trabelsi, ministro e trafficante
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Itala-Libia: chi è Trabelsi, ministro e trafficante

Emad Trabelsi capo delle milizie di Zintan, nominato dal Primo Ministro Abdel Hamid Dabaiba nel novembre 2022, ministro dell’Interno nel suo governo di Unità Nazionale

Itala-Libia: chi è Trabelsi, ministro e trafficante
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

14 Marzo 2023 - 18.21


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Chi è Emad Trabelsi, e perché continuiamo a scrivere di lui. 

Da specialelibia.it:Emad Trabelsi capo delle milizie di Zintan, nominato dal Primo Ministro Abdel Hamid Dabaiba nel novembre 2022, ministro dell’Interno nel suo governo di Unità Nazionale, ha annunciato il varo di un piano di sicurezza per mettere in sicurezza i confini, i porti e il deserto per combattere il contrabbando e preservare le capacità della Nazione.

Lo ha reso noto lo stesso Trabelsi nel corso dell’incontro, domenica, con il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito libico, Generale Mohammed Al-Haddad, il Capo di Stato Maggiore delle Forze di Terra, Al-Fitouri Gharibeel, e il Capo del Servizio di Sicurezza Interna, Lotfi Al-Harari. Trabelsi ha sottolineato che il Ministero degli Interni di Tripoli sta lavorando secondo visioni strategiche che garantiscono la sicurezza e combattono la criminalità di ogni tipo.

Fonti locali hanno riferito, lunedì, di tensioni tra Trabelsi e Mohamed Al-Khoja, direttore della Direzione per il contrasto all’immigrazione clandestina, Department for Combating Illegal Migration -DCIM, organismo affiliato al Ministero dell’interno libico, e responsabile della supervisione dei circa quindici centri di detenzione per migranti in Libia.

Alla base della disputa ci sarebbero la perdita di benefici economici per Al-Khoja, il cui ruolo sarebbe stato ridimensionato. Ogni anno, grazie anche all’aiuto dei finanziamenti dell’Unione europea, le autorità libiche utilizzano le strutture di detenzione per decine di migliaia di migranti, molti dei quali vengono intercettati e arrestati mentre stanno cercando di compiere il pericolo viaggio attraverso il Mediterraneo.

Le prigioni sono, di fatto, il risultato dei tentativi dell’Unione europea di arginare il flusso di migranti verso le proprie coste in arrivo da Africa e Medio Oriente. Per anni la stessa Ue ha inviato milioni di euro alla Libia per l’addestramento e l’equipaggiamento della Guardia costiera libica, che di fatto viene usata anche per respingimenti per procura dalla stessa Ue.

Vale la pena ricordare che Mohammed Al-Khoja faceva parte della delegazione di funzionari libici inviata a Roma per una visita istituzionale nel 2017. Al tour aveva partecipato anche l’ex comandante della Guardia costiera di Zawiya e oggi responsabile dell’Accademia navale, Abdel Rahman al-Milad detto al-Bija, finito nel 2019 nell’elenco delle sanzioni Onu per il suo presunto ruolo nel traffico di esseri umani”.

Ecco perché continuiamo a scrivere di lui. Perché questo capobastone di una milizia in combutta con i trafficanti di esseri umani è stato omaggiato a più riprese dal governo italiano come un partner sicuro e affidabile per la stabilizzazione della Libia e il contrasto al traffico di esseri umani.

Scrive Nello Scavo su Avvenire del 12 gennaio: “Ogni barcone è un messaggio. Anzi un ricatto. I destinatari sono i soliti: Italia e Ue. I mittenti anche. Le richieste sono sempre uguali: legittimazione politica, flussi di cassa, potere personale dei boss con ambizioni politiche. Di questi ultimi, però, non c’è traccia nel dibattito pubblico. Fantasmi, come le vittime delle violazioni dei diritti umani.

L’ultimo a cercare di accreditarsi presso Italia e Bruxelles si chiama Emad Trabelsi. Il 29 dicembre ha incontrato una nostra delegazione, che si è mossa con molta cautela. A Roma non se ne parla. A Tripoli è su tutti i media.

Nelle foto fatte uscire sulle testate libiche si vedono il prefetto Lamberto Giannini, capo della Polizia di Stato, e il Direttore dell’Aise, il generale Giovanni Caravelli, dialogare a debita distanza con lo staff di Trabelsi. Poi le foto di rito, ma nessuna pubblica stretta di mano. Entrambi gli emissari italiani, a giudicare dai numerosi scatti, se ne guardano bene.

Il curriculum di Trabelsi è noto agli addetti ai lavori. Con la sua storia, è uno di quei personaggi che può decidere quando aprire e quando socchiudere le rotte dei barconi e quelle di altri traffici illeciti. Ama farsi ritrarre con i Ray Ban scuri fin da quando era un giovanissimo mammasantissima dell’estremo ovest, al confine con la Tunisia. Il premier Dbeibah lo ha designato ministro dell’Interno, dopo avergli preparato il terreno arruolandolo da sottosegretario.

Il suo è il dicastero chiave per il controllo delle milizie e degli affari che tengono insieme i traffici di petrolio, migranti, armi, controllo del territorio e rapporti con i salotti europei. Il ministero inoltre dispone di una sua “guardia costiera” e di milizie affiliate, travestite da polizia territoriale, che a loro volta controllano i campi di prigionia dei migranti e decidono quando chiudere un occhio davanti alle coste e quando ostacolare i trafficanti concorrenti.

Già nel 2018 il dipartimento di Stato Usa (presidenza Trump) nel rapporto annuale sulle violazioni dei diritti umani nel mondo confermava una ricostruzione del gruppo di esperti Onu sulla Libia. Tra i nomi c’era quello dell’ambizioso Trabelsi, indicato come «comandante della Forza per le operazioni speciali di Zintan, nel frattempo nominato a capo della Direzione generale della sicurezza». Secondo le accuse, Trabelsi è stato «beneficiario di fondi ottenuti illegalmente».

Gli esperti Onu spiegavano che il capo milizia aveva imposto un tariffario per i transiti sul suo territorio: «5.000 dinari libici (3.600 dollari) per ogni autocisterna contenente prodotti petroliferi contrabbandati attraverso i posti di blocco sotto il suo controllo nel nord-ovest della Libia». Dopo aver pagato il “pedaggio” in contanti agli uomini di Trabelsi, ha rivelato Sergio Scandura per Radio Radicale pochi giorni fa, gli idrocarburi potevano entrare illegalmente in Tunisia. Un giro d’affari da decine e decine di milioni di euro all’anno.

Quando Emad Trabelsi ebbe il suo primo incarico di governo, passando da sceriffo di confine a sottosegretario agli Interni, il capo della Commissione nazionale per i diritti umani in Libia (Nchrl), Ahmed Hamza, protestò con il premier Dbeibah affermando che l’uomo dei clan di Zintan «è uno dei peggiori violatori dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale in Libia».

L’intelligence italiana queste cose le sa. E dovendo barcamenarsi con i continui cambi di governo e ministri (in Italia come a Tripoli), si trova spesso a dover rifare i conti. A Tripoli, inutile dirlo, la stabilità in politica è una chimera. A decidere sono milizie, fazioni, clan, capibastone. Uno Stato-mafia che non si accontenta più di venire a patti con i boss, ma oramai li arruola fino ai ranghi più elevati. Abdurhaman al-Milad (il comandante Bija) è ora un pluridecorato maggiore della Marina, per il quale il governo ha chiesto invano il ritiro delle sanzioni Onu. Trabelsi si aspetta d’essere confermato ministro e altri capiclan attendono d’essere cooptati nei posti di comando….”.

Un caso di scuola

Lo porta alla luce Amnesty International in un report datato 4 maggio 2022: “Una milizia creata dal governo della Libia nel gennaio 2021 e che percepisce fondi statali è responsabile di uccisioni illegali, detenzioni arbitrarie di cittadini libici, intercettamenti e successive detenzioni arbitrarie di migranti e rifugiati, torture, lavori forzati e altri gravissimi crimini di diritto internazionale.

Si tratta dell’Autorità per il sostegno alla stabilità (Ass), guidata – come ha denunciato oggi Amnesty International – da uno dei più potenti capi delle milizie di Tripoli: Abdel Ghani al-Kikli, conosciuto come “Gheniwa”, nominato a quell’incarico nonostante le sue ben documentate responsabilità in crimini di diritto internazionale e altre gravi violazioni dei diritti umani.

Per oltre un decennio le milizie sotto il comando di “Gheniwa” hanno terrorizzato la popolazione del quartiere tripolino di Abu Salim mediante sparizioni forzate, torture, uccisioni illegali e altri crimini di diritto internazionale.

Ufficialmente, l’Ass è incaricata di garantire la sicurezza delle sedi e delle autorità di governo. Inoltre, partecipa ai combattimenti, arresta persone sospettate di reati contro la sicurezza nazionale e collabora con altri organismi di sicurezza.

Il Governo di unità nazionale ha assegnato all’Ass per l’anno 2021 40 milioni di dinari (otto milioni di euro), cinque milioni (un milione di euro) dei quali per pagare gli stipendi. Sono stati erogati ulteriori finanziamenti ad hoc: nel febbraio 2022 il primo ministro Abdelhamid Debibah ha autorizzato un versamento di 132 milioni di dinari (quasi 28 milioni di euro).

Dalla sua fondazione, l’Ass ha rapidamente espanso la sua influenza oltre Tripoli, ad al-Zawiya e in altre città della Libia occidentale.

Il 19 aprile 2022 Amnesty International ha scritto alle autorità libiche chiedendo la destituzione di “Gheniwa” e del suo ex viceLofti al-Harari da ogni posizione nella quale potrebbero commettere ulteriori violazioni dei diritti umani, interferire in eventuali indagini – sollecitate dall’organizzazione per i diritti umani – o garantirsi l’impunità. “Gheniwa” ha diretto il Consiglio militare Abu Salim, poi Forza di sicurezza centrale-Abu Salim, mentre al-Harari ora dirige l’Agenzia per la sicurezza interna di Tripoli, implicata in gravi violazioni dei diritti umani.

A oggi, non è stata ricevuta alcuna risposta.

Sono peraltro le stesse autorità libiche ad ammettere il ruolo dell’Ass nelle violazioni dei diritti umani: rappresentanti del ministero dell’Interno di Tripoli hanno confermato ad Amnesty International che l’Ass intercetta migranti e rifugiati in mare e li 

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