Israele: il piano per spezzare in due la Cisgiordania e infliggere un colpo mortale a uno stato palestinese
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Israele: il piano per spezzare in due la Cisgiordania e infliggere un colpo mortale a uno stato palestinese

Le autorità israeliane devono essere chiamate a rendere conto del crimine di apartheid contro i palestinesi, denuncia Amnesty International. E Peace now rivela...

Israele: il piano per spezzare in due la Cisgiordania e infliggere un colpo mortale a uno stato palestinese
Repressione in Israele
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

25 Febbraio 2023 - 12.25


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Grazie alla preziosa opera di informazione su ciò che avviene nei territori palestinesi occupati fatta da JCall Italia, Globalist pubblica di seguito un rapporto esplosivo di Peace Now, la storica organizzazione pacifista israeliana. 

I numeri della colonizzazione

“La sottocommissione per le obiezioni del Consiglio superiore di pianificazione (HPC) dell’Amministrazione civile si riunirà il 27 marzo per discutere le obiezioni ai piani per la creazione di un insediamento di circa 3.412 unità abitative nella zona E1. L’ordine del giorno dell’udienza è stato pubblicato nei giorni scorsi, proprio mentre la sottocommissione per gli insediamenti ha completato la sua seconda e ultima riunione per l’avanzamento di oltre 7.000 unità abitative in più di 35 insediamenti e avamposti. Lo scorso settembre, il Sottocomitato per le obiezioni si sarebbe dovuto riunire per discutere le obiezioni ai piani per l’E1, ma alla fine ha deciso di rimandare l’incontro. Oggi hanno fissato una nuova data per la discussione.

Il piano E1 taglia in due la Cisgiordania, dando così un colpo mortale alla possibilità di creare un futuro Stato palestinese. L’E1 crea un corridoio di insediamenti da Gerusalemme Est all’insediamento di Ma’ale Adumim, impedendo così la continuità geografica e di sviluppo palestinese tra Ramallah, Gerusalemme Est e Betlemme. Peace Now: “L’erosione della democrazia israeliana è l’agenda principale del governo, e lo fa non solo minando il sistema giudiziario, ma anche distruggendo ogni possibilità di soluzione politica e di pace. Dopo aver approvato l’avanzamento di migliaia di unità abitative negli insediamenti e negli avamposti, oggi il governo israeliano ha deciso di far avanzare il letale piano E1, il cui unico scopo è impedire un continuum territoriale per un futuro Stato palestinese. Il governo israeliano sta anche sputando in faccia agli Stati Uniti, solo pochi giorni dopo aver annunciato di essersi impegnato con loro a non far avanzare gli insediamenti nel prossimo futuro. Questo “governo di annessione” sembra continuare ad agire secondo un piano sistematico che ci trascina in una realtà di apartheid. Chiunque abbia a cuore il futuro di Israele deve lottare non solo per evitare che Israele diventi una dittatura, ma anche per evitare che diventi una dittatura di apartheid”.

Oggi, dopo due giorni di discussioni, la sottocommissione per gli insediamenti ha approvato l’avanzamento di 7.157 unità abitative attraverso l’approvazione di 43 piani edilizi in 37 insediamenti e avamposti (compresa una zona industriale). A titolo di confronto, in tutto il 2022, un totale di 4.427 unità abitative sono state avanzate attraverso il deposito e l’approvazione finale, mentre nel 2021, 3.645 unità abitative sono state avanzate di conseguenza.


Tra i piani promossi oggi, 5.257 unità abitative sono state anticipate per il deposito e 1.900 unità abitative sono state anticipate per la convalida (approvazione finale). Quattro dei piani riguardano avamposti, tre dei quali sono stati avanzati per la convalida (Mevo’ot Yericho, Nofei Nehemia e Pnei Kedem) e uno per il deposito (Nativ Ha’avot). Un ulteriore piano per l’avamposto di Zayit Ra’anan è stato rinviato per ulteriori discussioni a causa degli sforzi degli attuali residenti dell’avamposto”.

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La denuncia di Amnesty International

Le autorità israeliane devono essere chiamate a rendere conto del crimine di apartheid contro i palestinesi. È quanto ha dichiarato Amnesty International in un rapporto di 278 pagine nel quale descrive dettagliatamente il sistema di oppressione e dominazione di Israele nei confronti della popolazione palestinese, ovunque eserciti controllo sui loro diritti: i palestinesi residenti in Israele, quelli dei Territori palestinesi occupati e i rifugiati che vivono in altri stati.

Nel rapporto si legge che le massicce requisizioni di terre e proprietà, le uccisioni illegali, i trasferimenti forzati, le drastiche limitazioni al movimento e il diniego di nazionalità e cittadinanza ai danni dei palestinesi fanno parte di un sistema che, secondo il diritto internazionale, costituisce apartheid. Questo sistema si basa su violazioni dei diritti umani che, secondo Amnesty International, qualificano l’apartheid come crimine contro l’umanità così come definito dallo Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale e dalla Convenzione sull’apartheid.

Amnesty International chiede al Tribunale penale internazionale di includere il crimine di apartheid nella sua indagine riguardante i Territori palestinesi occupati e a tutti gli stati di esercitare la giurisdizione universale per portare di fronte alla giustizia i responsabili del crimine di apartheid.

“Il nostro rapporto rivela la reale dimensione del regime di apartheid di Israele. Che vivano a Gaza, a Gerusalemme Est, a Hebron o in Israele, i palestinesi sono trattati come un gruppo razziale inferiore e sono sistematicamente privati dei loro diritti. Abbiamo riscontrato che le crudeli politiche delle autorità israeliane di segregazione, spossessamento ed esclusione in tutti i territori sotto il loro controllo costituiscono chiaramente apartheid. La comunità internazionale ha l’obbligo di agire”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

“Non è possibile giustificare in alcun modo un sistema edificato sull’oppressione razzista, istituzionalizzata e prolungata, di milioni di persone. L’apartheid non ha posto nel nostro mondo e gli stati che scelgono di essere indulgenti verso Israele si troveranno a loro volta dal lato sbagliato della storia. I governi che continuano a fornire armi a Israele e lo proteggono dai meccanismi di accertamento delle responsabilità delle Nazioni Unite stanno sostenendo un sistema di apartheid, compromettendo l’ordine giuridico internazionale ed esacerbando la sofferenza della popolazione palestinese. La comunità internazionale deve affrontare la realtà dell’apartheid israeliano e dare seguito alle molte opportunità di cercare giustizia che rimangono vergognosamente inesplorate, ha aggiunto Callamard.

Le conclusioni di Amnesty International sono rafforzate da un crescente lavoro di organizzazioni non governative palestinesi, israeliane e internazionali che sempre più spesso applicano la definizione di apartheid alla situazione in Israele e/o nei Territori palestinesi occupati. 

L’identificazione dell’apartheid

Un sistema di apartheid è un regime istituzionalizzato di oppressione e di dominazione di un gruppo razziale su un altro. È una grave violazione dei diritti umani vietata dal diritto pubblico internazionale. Le ampie ricerche e l’analisi giuridica condotte da Amnesty International insieme a esperti esterni all’organizzazione dimostrano che Israele attua un sistema di questo tipo nei confronti dei palestinesi attraverso leggi, politiche e prassi che assicurano trattamenti discriminatori crudeli e prolungati. Nel diritto penale internazionale, specifici atti illegali commessi nel contesto di un sistema di oppressione e di dominazione con lo scopo di mantenerlo costituiscono il crimine contro l’umanità di apartheid. Questi atti sono descritti nella Convenzione sull’apartheid e nello Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale e comprendono le uccisioni illegali, la tortura, i trasferimenti forzati e il diniego dei diritti e delle libertà basilari.

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Amnesty International ha documentato atti vietati dalla Convenzione sull’apartheid e dallo Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale in tutte le aree sotto il controllo israeliano, sebbene si verifichino con maggiore frequenza nei Territori palestinesi occupati piuttosto che in Israele.

Le autorità israeliane hanno introdotto tutta una serie di misure per negare deliberatamente i diritti e le libertà basilari ai palestinesi, anche attraverso drastiche limitazioni al movimento nei Territori palestinesi occupati, i cronici e discriminatori minori investimenti a favore delle comunità palestinesi residenti in Israele e il diniego del diritto al ritorno dei rifugiati. Il rapporto documenta inoltre i trasferimenti forzati, la detenzione amministrativa, la tortura e le uccisioni illegali sia in Israele che nei Territori palestinesi occupati.

Amnesty International ha rilevato che questi atti formano parte di attacchi sistematici e diffusi contro la popolazione palestinese, commessi allo scopo di mantenere il sistema di oppressione e di dominazione. Pertanto, costituiscono il crimine contro l’umanità di apartheid.

Alla luce delle sistematiche uccisioni illegali di palestinesi documentate nel suo rapporto, Amnesty International chiede al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di imporre un embargo totale sulle armi verso Israele. Questo embargo, a causa delle migliaia di uccisioni illegali di palestinesi compiute dalle forze israeliane, dovrebbe comprendere tutte le armi e le munizioni, così come le forniture di sicurezza. Il Consiglio di sicurezza dovrebbe imporre anche sanzioni mirate, come il congelamento dei beni dei funzionari israeliani implicati nel crimine di apartheid.

Palestinesi trattati come una minaccia demografica

Dalla sua costituzione nel 1948, Israele ha portato avanti politiche per istituire e mantenere una maggioranza demografica ebrea e per massimizzare il controllo sulle terre e sulle risorse a vantaggio degli ebrei israeliani. Nel 1967 Israele ha esteso tali politiche alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza.

Oggi tutti i territori controllati da Israele continuano a venire amministrati allo scopo di beneficiare gli ebrei israeliani a scapito dei palestinesi, mentre i rifugiati palestinesi continuano a essere esclusi.

Amnesty International riconosce che gli ebrei, come i palestinesi, rivendicano il diritto all’autodeterminazione e non contesta il desiderio di Israele di essere una patria per gli ebrei. Analogamente, non considera che la definizione che Israele dà di sé stesso come di “uno stato ebreo” indichi di per sé l’intenzione di opprimere e dominare.

Via via, però, i governi israeliani hanno considerato i palestinesi una minaccia demografica e hanno imposto misure per controllare e farne decrescere la presenza e l’accesso alle terre in Israele e nei Territori palestinesi occupati. Questi intenti demografici sono ben illustrati dai progetti ufficiali di “ebraizzare” aree di Israele e della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, che continuano a esporre migliaia di palestinesi al rischio di un trasferimento forzato.

La dimensione e la gravità delle violazioni documentate nel rapporto di Amnesty International richiedonoun drasticocambiamento dell’approccio della comunità internazionale alla crisi dei diritti umani in atto in Israele e nei Territori palestinesi occupati.

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Tutti gli stati possono esercitare la giurisdizione universale nei confronti di persone ragionevolmente sospettate di aver commesso il crimine di apartheid. Gli stati parte dello Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale hanno l’obbligo di farlo.

“La risposta internazionale all’apartheid non deve più limitarsi a blande condanne e a formule ambigue. Se noi non ne affronteremo le cause di fondo, palestinesi e israeliani rimarranno intrappolati nel ciclo di violenza che ha distrutto così tante vite. Israele deve smantellare il sistema dell’apartheid e iniziare a trattare i palestinesi come esseri umani con uguali diritti e dignità. Se non lo farà, la pace e la sicurezza resteranno una prospettiva lontana per gli israeliani come per i palestinesi, ha concluso Callamard.

Una pratica, quella dell’apartheid,  che va riportata indietro nel tempo. “Questa idea è stata impiantata – annota Ilan Baruch, già ambasciatore d’Israele in Sudafrica, fondatoredelZulat Institute for Equality and Human Rights – il primo giorno dell’occupazione, dopo la Guerra dei Sei Giorni. Già alla fine del 1967 il governo israeliano aveva annesso Gerusalemme est e i suoi dintorni con molti villaggi palestinesi. Il territorio fu annesso ma la popolazione – un terzo della popolazione della città – rimase priva dei diritti civili fondamentali, dando origine al primo caso di discriminazione etnica istituzionalizzata. Non si chiamava ancoraapartheid, anche se il regime dell’apartheid in Sudafrica era all’apice dell’epoca e le relazioni diplomatiche tra i due Paesi erano quasi scontate. È da notare che la parola ‘apartheid’ suscita ripugnanza morale in tutto il mondo perché ricorda un deplorevole regime criminale e disumano, mentre tra molti israeliani suscita sbadiglio e negazione. Tuttavia, la realtà è chiara: l’annessione riciclata equivale all’apartheid. È triste vedere come la lavanderia faccia gli straordinari in Israele.

Secondo la Convenzione di Roma, che funge da fonte di autorità per il Tribunale penale internazionale dell’Aia, l’apartheid è un crimine contro l’umanità. Il regime di occupazione israeliana in Cisgiordania è definito temporaneo, e quindi la comunità internazionale distingue tra il regime militare nei territori occupati e la democrazia nello Stato di Israele, nonostante la responsabilità di quest’ultimo per la situazione in Cisgiordania controllata dall’esercito, che ha chiare caratteristiche dell’apartheid.

La sostituzione dell’occupazione militare con l’annessione, o la sinonima ‘applicazione’ della legge e della giurisdizione israeliana” nei territori occupati, dovrebbe far capire al mondo che in Israele esiste un regime di apartheid oppressivo, con tutto ciò che questo implica.

È doloroso che pochi di noi sappiano cosa è accaduto nel temibile regime di apartheid del Sudafrica, quanto fosse buio, e quali istituzioni siano state create e quali leggi siano state promulgate per permettere alla minoranza bianca di godere di un’alta qualità di vita, a spese di una violenta e corrotta oppressione della maggioranza nera. La somiglianza tra l’allora Sudafrica e l’attuale Israele è straziante: un sesto della popolazione sudafricana era bianca (un tasso di 5:1), mentre in Cisgiordania i coloni sono un sesto e i palestinesi sono cinque-sesti della popolazione (un tasso di 1:5). Eppure noi neghiamo la realtà e scrolliamo le spalle alle sue conseguenze: L’apartheid è già qui!”.

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