Gli aiuti alla Siria frenati dalle divisioni fra i potenti del mondo
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Gli aiuti alla Siria frenati dalle divisioni fra i potenti del mondo

In questo scenario distopico, il meccanismo per l'invio degli aiuti dall'estero si scontra con le divisioni politico-militari che segnano, da almeno un decennio, il frammentato territorio siriano

Gli aiuti alla Siria frenati dalle divisioni fra i potenti del mondo
Terremoto in Siria
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8 Febbraio 2023 - 15.16


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Sono rimaste senza casa decine di migliaia di persone nella Siria martoriata da 12 anni di conflitto armato, dalla peggiore crisi economica della sua storia e ora devastata da un sisma che ha raso al suolo più di 250 paesini siriani, tra cui decine di campi profughi, danneggiandone pesantemente altre 400 località, incluse le popolose città di Aleppo, Hama, Latakia, Idlib.

Qui migliaia di persone rimangono sotto le macerie a causa degli ostacoli logistici e climatici incontrati finora dall’arrancante e impreparata macchina dei soccorsi, sia nelle zone controllate dal governo sia in quelle dominate dalle opposizioni filo-turche.

In questo scenario distopico, il meccanismo per l’invio degli aiuti dall’estero si scontra con le divisioni politico-militari che segnano, da almeno un decennio, il frammentato territorio siriano: spartito in zone di controllo tra attori stranieri rivali – come Stati Uniti, Russia, Iran e Turchia – e forze armate e milizie locali, cooptate da quella o da quell’altra potenza regionale o internazionale. Dall’Onu, l’ambasciatore siriano Bassam Sabbagh ha ribadito che gli aiuti devono passare solo da Damasco.

Il governo incarnato dal presidente siriano Bashar al Assad, sostenuto da Mosca e da Teheran, rivendica la formale sovranità nazionale, tra gli altri, sui territori del nord-ovest, pesantemente colpiti dal terremoto. Qui sono stati ammassati negli anni quasi cinque milioni di persone, più della metà sfollati da altre regioni della Siria. Queste aree devastate dal sisma sono raggiunte periodicamente dagli aiuti umanitari provenienti, però, direttamente dal territorio turco. E ciò in forza di un meccanismo un mese fa rinnovato fino a luglio dal Consiglio di sicurezza dell’Onu col placet di Mosca e che consente di aggirare le richieste politiche di Damasco. Bab al Hawa, l’unico valico frontaliero turco-siriano attraverso cui, fino a due giorni fa, entravano i convogli umanitari dell’Onu, è però chiuso perché danneggiato dal terremoto, e le autorità turche per ora non sembrano interessate a occuparsi della riapertura dei valichi con la Siria. Di fronte a questo impasse, il presidente della Mezzaluna rossa siriana, Khaled Hboubati, di nomina governativa, oggi ha chiesto esplicitamente alla comunità occidentale di levare le sanzioni economiche, commerciali e finanziarie imposte al governo siriano. Hbubati ha ribadito che la distribuzione degli aiuti governativi intende coprire “tutta la Siria”.

Ma sul terreno appare assai difficile. L’Onu gestisce da anni diversi programmi di aiuto nelle aree governative tramite partner internazionali, tra cui italiani, ed è possibile che questo canale venga usato da alcuni attori stranieri, ma non da tutti. In queste ore, la Francia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Germania oppongono forte resistenza a un coinvolgimento, anche solo indiretto, del governo siriano nella gestione degli aiuti umanitari. Su questo, l’Osservatorio per i diritti umani in Siria, da circa vent’anni impegnato nel denunciare i crimini del governo, ha chiesto esplicitamente agli attori occidentali di anteporre le priorità umanitarie ai calcoli politici: “Gli Stati Uniti e l’Unione Europea dimostrino la loro umanità e consentano la distribuzione di aiuti a tutti i siriani, che siano essi lealisti o delle opposizioni, arabi o curdi, musulmani o cristiani”.

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