Quel video shock e una Norimberga libica
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Quel video shock e una Norimberga libica

Il video delle torture subite da un giovane migrante in Libia ha riacceso ancora l'attenzione su un'annosa e vergognosa questione. E il prossimo esito elettorale potrebbe essere molto importante, anche da questo punto di vista.

Quel video shock e una Norimberga libica
Lager in Libia
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2 Settembre 2022 - 14.36


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Ormai abbiamo perso il conto degli articoli, dossier, interviste che Globalist ha dedicato alla “vergogna libica”. Abbiamo raccontato gli orrori, le violenze, le torture, gli stupri, consumati quotidianamente in Libia nei lager in cui sono rinchiusi migliaia di esseri umani (esseri umani, non “migranti”). Abbiamo denunciato le responsabilità dell’Europa, e in essa dell’Italia, nell’aver finanziato, addestrato, armato, quell’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica. Abbiamo dato conto – grazie al puntiglioso lavoro di Ong come Oxfam, Emergency, Amnesty International, Mediterranea, e l’elenco potrebbe durare a lungo) dei crimini commessi all’ombra del nefasto Memorandum d’intesa Italia-Libia. Abbiamo parlato di “Norimberga libica” e chiesto (inascoltati) al centrosinistra di voltare pagina rispetto alla fallimentare, inumana, politica di esternalizzazione delle frontiere. E’ tutto documentato. Ma l’impatto di un video è molto più forte di tante parole.

Quel video scioccante

Scrive Saverio Tommasi su fanpage.it :“15 anni, senza la parte superiore dei vestiti, stretto in un angolo, con un mitra di fronte alla faccia mentre la punta del mitra gli stuzzica i capelli non pettinati e – sembra – riccioli.

Il primo piano varia dal mitra al volto del ragazzino, che più o meno sono la stessa cosa perché il mitra sta sempre lì di fronte a lui come volesse grattargli il naso, o pettinargli le sopracciglia. Invece è pronto a fargli un buco in testa, manca davvero poco. Le immagini si sovrappongono ed è innaturale vedere la canna di un mitra e a dieci centimetri dalla fronte di un uomo, a meno che non sia un film americano, e questo non lo è.

Fuori inquadratura si sentono parole dure, sfottono e chiedono, anche le parole torturano un ragazzino che a quell’ora dovrebbe essere a scuola, o a scegliere se essere portiere o attaccante in una sfida a calcio con gli amici; nel video lui si tira indietro, stanco, ma dietro di lui c’è il muro, e implora una pietà che non arriva tenendo le mani di fronte al volto, che la canna del mitra gli sposta cercando un punto aperto nella sua bocca.

La noia

E’ così tutti i giorni, niente di nuovo. Non so neanche perché l’ho scritto, qual è la novità? E’ più noioso della storia del cane che ha morso un uomo. In Libia torturano in modo sistematico ogni giorno, e noi paghiamo per non vedere. Non io, non tu che leggi, ma in fondo anche noi paghiamo perché qualcuno tenga i problemi (e gli esseri umani) a casa sua. Il famoso “aiutiamoli a casa loro”.

E’ sempre la stessa storia, è la storia dello smaltimento delle scorie umane da più di duemila anni, mettere confini e avere una scusa per tenere fuori chi non rientra nei canoni che i capi dei popoli ogni volta indicano.

Oltre confine per non doverli paragonare a noi e perché “qui non c’è posto”. Eppure il posto per i re, i principi e i cortigiani lo trovano sempre, danno anche i biglietti gratis per entrare, altro che file davanti alla questura dalle sei di mattina per un permesso di soggiorno. Ma se scappi senza portarti una dote, sei come una sposa senza lo sposo: sola.

Certo che 15 anni sono davvero pochi, anche se per essere torturati si è sempre troppo giovani. Potremmo anzi dire che non si è mai abbastanza vecchi – o colpevoli – per meritarsi una tortura. Ovvio, in fondo.

La noia di ripetere quello che accade senza la forza di poterlo fermare. E allora perché lo scrivo? Per la memoria, per informazione, per non dimenticare io per primo, sì, ma che palle. Che noia.

Le storie si somigliano tutte così tanto, anche se i torturati di prima a quest’ora saranno morti e ora ce ne sono di nuovi. E di nuovo qualcuno mi scriverà “perché non li porti a casa tua?” che poi ha ragione, perché non ce li porto? Vinceranno per sfinimento, finiremo per dare loro ragione e smetteremo anche di parlarne, di questi torturati troppo giovani per morire senza neanche una maglietta addosso, con il sangue che si rapprende sul torace nascondendo i capezzoli ritti di paura.

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In un angolo, a terra, seminudo, minacciato con un mitra e picchiato con un bastone. Mazin ha 15 anni e viveva a Gargaresh, un quartiere di Tripoli dove provano a nascondersi molti migranti. Dopo l’ennesima retata delle Special Force libiche per catturare e internare nei campi di detenzione i rifugiati, ha trascorso tre mesi a manifestare davanti la sede dell’Unhcr a Tripoli. Arrestato e deportato nel campo di Ain Zara l’orrore lo conosce bene. In un video, di cui Luca Casarini, capomissione di Mediterranea Saving Humans, è entrato in possesso grazie alla rete ‘Refugees in Libya’, lo si vede mentre a terra con le braccia tenta di schivare dei colpi di bastone. A pochi centimetri dal viso un mitra che qualcuno urlando gli punta contro, mentre lui piange e invoca pietà.

“Quella di questo ragazzino di appena 15 anni che arriva dal Darfur in Sudan, uno dei Paesi per i quali dovrebbe essere automatico il riconoscimento dell’asilo, e che subisce torture, è la storia di tutti i giorni in Libia. Non è un’eccezione ma la regola”, dice all’Adnkronos Casarini. Un video come molti altri ne arrivano ad attivisti e volontari della flotta civile impegnati nei soccorsi nel Mediterraneo centrale. “Sono tante le testimonianze di cosa accade nei campi di concentramento, in quei luoghi di morte che anche l’Italia contribuisce a finanziare”.

Così Tommasi.

Altro contributo prezioso è quello di Rossana Lo Castro per Adnkronos: “Nei giorni in cui il fenomeno migratorio torna alla ribalta della cronaca con gli sbarchi che si susseguono sulle coste dell’Italia, Casarini – da domani e sino al 4 settembre impegnato a Napoli per ‘A Bordo!’, il primo festival nazionale di Mediterranea Saving Humans – punta il dito ancora una volta sulla “propaganda” di Salvini e Meloni, tornati a invocare decreti Sicurezza e blocchi navali. “Le immagini di questo video spiegano a cosa serve il cosiddetto ‘blocco navale’ di cui tanto parla la Meloni o a cosa si riferisce Salvini quando dice ‘meno partenze uguale meno morti in mare’. Certo, meno morti in mare perché muoiono in Libia, lontano dai nostri occhi”.

Eccola per il capomissione di Mediterranea la logica che muove “i nostri grandi futuri statisti”. “Tenere in questa condizione migliaia e migliaia di esseri umani che sono sottoposti tutti i giorni a torture, sevizie e sequestri”, denuncia. A sostegno della sua tesi snocciola i numeri. Pesanti. “L’anno scorso 32mila persone sono state catturate in mare e rinchiuse nei campi di concentramento nelle mani dei carcerieri libici – dice -. Il 20 per cento bambini e minori, deportati grazie alla collaborazione e al finanziamento cospicuo da parte del Governo italiano della cosiddetta Guardia costiera libica”. Insomma, evitare le partenze dalle coste del nord Africa significa solo “costringere questi nostri fratelli e sorelle a morire lì, tra le torture e gli stenti, ma lontano dagli occhi della civilissima Europa. Questo è il grande intento civile della signora Meloni”.

Il ragazzo ripreso nel video di cui è in possesso Casarini è un attivista che lo scorso anno ha cercato, insieme ad altre migliaia di manifestanti nella ‘mobilitazione dei 100 giorni’ a Tripoli, di “chiedere all’Europa e al mondo intero un luogo sicuro in cui poter vivere, un modo legale per uscire dall’inferno della Libia”. Una richiesta caduta nel vuoto. “Anche l’Unhcr in Libia sa bene cosa accade laggiù, conosce le storie di questi bambini torturati, eppure non muove un dito perché il problema è gli interessi degli Stati, non quelli delle persone”, attacca Casarini. Che il video del giovane Mazin lo recapita idealmente ai leader di FdI e Lega. “Meloni e Salvini lo guardino bene, lo facciano vedere ai loro figli e pensino che loro sono tra i responsabili delle torture inflitte a un ragazzino di appena 15 anni. Lo sono loro e chi ha ideato il ‘patto Italia-Libia’, un patto con torturatori e carcerieri incaricati di annientare fisicamente e moralmente migliaia di essere umani che chiedono solo di poter vivere”.

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“Un giorno – conclude Casarini – ci sarà una Norimberga per questi signori, per i Minniti, per i Salvini e le Meloni di turno. La storia giudicherà questo genocidio, questa tragedia immane del Mediterraneo a cui abbiamo costretto migliaia di esseri umani, famiglie intere, donne, uomini e bambini solo per convenienza politica. Nel frattempo ognuno risponda alla propria coscienza, faccia i conti con se stesso la sera prima di andare nei talk show a parlare di blocchi navali e decreti Sicurezza e se riesce, dopo aver visto gli occhi di Mazin in quel video, guardi i propri figli come se nulla fosse successo”.

L’orizzonte del 25 settembre è vicino. “Noi di Mediterranea disobbediremo sempre a leggi ingiuste e useremo questi quattro giorni di incontri e dibattiti a Napoli, al Maschio Angioino, per riorganizzare e rafforzare la rete che si oppone a questo orrore, a questa tragedia pianificata. Lo faremo insieme a tanti altri che hanno deciso di non girarsi dall’altra parte”. 

Omicidi, torture, schiavitù

I migranti detenuti in Libia sono vittime di atroci abusi, in particolare le donne che vengono violentate in cambio di cibo e acqua. La denuncia arriva dalle Nazioni Unite che hanno redatto un nuovo rapporto sullo stato dei migranti detenuti in Libia.  Rapporto precedente a quello documentato da Scavo. 

Gli investigatori dell’Onu spiegano che i migranti che cercano di raggiungere l’Europa hanno subito violenze sessuali da parte dei trafficanti di esseri umani, spesso con l’obiettivo di estorcere denaro alle famiglie rimaste nei paesi di origine. “L’Onu ha fondati motivi per ritenere che crimini contro l’umanità siano stati commessi contro i migranti in Libia”. Il rapporto si basa su numerose testimonianze rese dagli stessi detenuti. Migliaia di migranti sono detenuti nei centri gestiti dalla Direzione per la lotta all’Immigrazione illegale (Dcim), in strutture controllate da gruppi armati non statali o tenuti prigionieri dagli stessi trafficanti.

Detenuti in modo “arbitrario e sistematico”, sono vittime di “omicidio, sparizione forzata, tortura, riduzione in schiavitù, violenza sessuale, stupro e altri atti disumani”, si legge nel rapporto presentato a Ginevra. Le donne migranti, anche minori, sono soggette a violenza sessuale e affermano di essere state “costrette a fare sesso in cambio di cibo o altri prodotti essenziali”. Tra le vittime di violenza sessuale figurano anche molti uomini. Gli autori del rapporto, inoltre, spiegano che proprio per il rischio “noto” di violenze sessuali, alcune “donne e ragazze migranti si sono premunite attraverso impianti contraccettivi prima di intraprendere il viaggio verso la Libia per evitare gravidanze indesiderate”. Una donna migrante, tenuta prigioniera ad Ajdabiya, ha raccontato che i suoi rapitori le chiedevano sesso in cambio di acqua, acqua di cui aveva bisogno per il suo bambino malato di sei mesi.

La missione conoscitiva, avviata nel giugno 2020 dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha il compito di documentare gli abusi commessi in Libia dal 2016. Il suo mandato sta finendo ma un gruppo di paesi africani ha depositato una bozza di risoluzione per prorogarlo di altri nove mesi. Se ne parlerà alla fine della prossima settimana. Lo scorso ottobre, gli investigatori hanno assicurato che crimini di guerra e crimini contro l’umanità sono stati commessi in Libia dal 2016, anche nelle carceri e contro i migranti. Tuttavia, l’elenco degli autori di queste atrocità rimane riservato. I funzionari libici, intanto, si incontreranno questa settimana a Ginevra per discutere il progetto di quadro costituzionale per le elezioni in Libia, dove due governi si contendono il potere. La Libia è nel caos dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi nel 2011.

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La denuncia dell’Oim

L’Ue e i suoi governi nazionali continuano a distogliere lo sguardo dal “paesaggio infernale” delle condizioni dei migranti rimpatriati in Libia. L’accusa arriva direttamente dagli osservatori internazionali testimoni delle uccisioni, delle torture e degli stupri che si verificano nei centri di detenzione statali del Paese del Nord Africa.  Le accuse di condiscendenza dell’Unione europea nei confronti delle forze libiche sono arrivate da Federico Soda, responsabile per la Libia dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), l’agenzia delle Nazioni Unite che monitora il fenomeno migratorio e offre assistenza ai governi coinvolti. “La maggior parte degli Stati membri tace su questi problemi in Libia”, ha detto Soda in una conferenza stampa a Bruxelles, alla fine di maggio. Su una serie di questioni nel Paese noi” osservatori internazionali “siamo l’unica voce”, ha aggiunto.  “Questo è problematico. Ciò che mi preoccupa è una specie di acquiescenza”, ha precisato il responsabile dell’Oim interpretando così l’atteggiamento europeo: “Non è un problema sulla nostra sponda, quindi teniamolo lì”.

Secondo un recente rapporto Oim, nel 2021 si è raggiunta la cifra record di 32.425 persone rimpatriate in Libia dopo aver tentato di raggiungere l’Europa. I migranti intercettati sul territorio libico o soccorsi nel Mediterraneo vengono poi rinchiusi in centri di detenzione descritti come veri e propri lager. 

L’Ue non solo viene accusata di non fare nulla per i diritti umani in Libia, ma anche di erogare finanziamenti alla guardia costiera libica per effettuare operazioni che dovrebbero limitarsi alla ricerca e al soccorso in mare. Ma Amnesty International accusa i libici di condotte sconsiderate, come il danneggiamento o il capovolgimento delle imbarcazioni pur di bloccare i migranti che cercano di lasciare le acque territoriali della Libia. Parlando con i giornalisti, il responsabile Oim per la Libia ha preferito non fare nomi di leader politici o singole autorità dell’Ue accusate di inerzia di fronte alle palesi violazioni dei diritti umani. “Penso che l’intera comunità abbia una responsabilità”, ha detto Soda, “perché quando le società diventano polarizzate come lo siamo stati noi sulle questioni migratorie, penso che tutti dobbiamo guardarci allo specchio e forse metterci nei panni e nelle condizioni dalle quali provengono queste persone”.

Questa è la Libia oggi. Della quale sembrano interessarsi, in chiave elettoralistica, solo il duo destrorso Meloni&Salvini. Con la prima che rilancia la sua idea di un blocco navale, facendo finta di non sapere che praticarlo, come hanno ripetuto a iosa generali, analisti militari ed esperti di diritto internazionale, equivarrebbe a una dichiarazione di guerra ad uno Stato sovrano, per quanto totalmente in balìa di un caos armato. Quanto al leader leghista, da Lampedusa continua a rilanciare la linea securista sbandierata, più che praticata, agli infausti tempi in cui era ministro dell’Interno. La linea dei porti sbarrati e barconi respinti, per impedire l’”invasione” dei migranti. 

“Non vedo l’ora che arrivi il 25 settembre”, proclama il baldanzoso Salvini. I barbari sono alle porte.

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