Ucraina, i pacifisti sono nella realtà delle lotte e chi li accusa di essere servitori di Putin sbaglia di grosso
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Ucraina, i pacifisti sono nella realtà delle lotte e chi li accusa di essere servitori di Putin sbaglia di grosso

I pacifisti sono nella realtà e non nella narrazione farlocca di chi li accusa di essere dei cacadubbi al servizio del “macellaio” del Cremlino.

Ucraina, i pacifisti sono nella realtà delle lotte e chi li accusa di essere servitori di Putin sbaglia di grosso
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1 Maggio 2022 - 17.29


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Dove sono i pacifisti? Ma dove state voi, direttori di giornali con l’elmetto, analisti militari da operetta, censori improvvidi che con l’indice accusatore ripetono indignati: pacifisti dove siete?.

Dove state voi?

Di certo i pacifisti non stanno sulle pagine di una stampa mainstream o nei salotti mediatici dove dettano legge gli Stranamore che danno corpo, e poca mente, al vecchio italico adagio “armiamoci e partite”.

I pacifisti sono nella realtà e non nella narrazione farlocca di chi li accusa di essere dei cacadubbi al servizio del “macellaio” del Cremlino.

Dove stanno i pacifisti?

A Piazza Santi Apostoli, ad esempio, e prim’ancora a Piazza San Giovani e in tante altre piazze d’Italia.

Così testimonia La Rete Italiana Pace e Disarmo (Ripd).

“Venerdì 13 aprile in Piazza Santi Apostoli a Roma abbiamo tenuto una conferenza stampa per presentare l’appello “Cessate il fuoco!” che ha avuto l’adesione di oltre 100 organizzazioni, tra associazioni, sindacati, partiti, comitati, gruppi e singole persone, segno di grande unità e convergenza, che ha dato il via ad una mobilitazione pacifista su tutto il territorio nazionale, che è ancora in corso. A parte le solite lodevoli eccezioni, come Avvenire e alcune agenzie di stampa, i giornalisti dei grandi quotidiani come Corriere e Repubblica erano assenti, salvo poi, il giorno dopo i bombardamenti, domandarsi “dove sono finiti i pacifisti?” e affidare i commenti a politici ed opinionisti esterni al movimento per la pace. Certo, se non li si cerca là dove sono, i pacifisti è poi difficile trovarli. Oggi ad esempio siamo nuovamente a Roma per lanciare una forte azione giudiziaria contro le autorità italiane e alcune aziende per l’export di armi all’Arabia Saudita, assieme ad ONG yemenite che denunciano le responsabilità italiane negli attacchi aerei sauditi contro i civili. In Yemen la crisi umanitaria è ancor più grave di quella siriana. Sarebbe utile potersi confrontare per far conoscere all’opinione pubblica le nostre proposte e le tante iniziative che, con non poca fatica ed in isolamento mediatico e “politico” stiamo realizzando in Italia e nei luoghi di guerre. Sarebbe questo un servizio informativo utile, necessario al paese.
I giornalisti da salotto, quelli che si divertono ad intervistarsi tra di loro e ad esternare opinioni sull’annosa questione “dove sono i pacifisti?”, dovrebbero cimentarsi con due tipologie della loro nobile professione, troppo spesso dimenticate: il giornalismo d’inchiesta e il giornalismo di guerra.
Sarebbero obbligati ad abbandonare lo stereotipo su cui si sono adagiati da decenni, quello del pacifista che ad ogni rumor di guerra scende in piazza per agitare la bandiera arcobaleno, pronti ad accusarlo di volta in volta di inutilità, di antiamericanismo, di velleitarismo o di ingenuità; se invece non lo vedono, eccoli pronti a dire che il pacifismo è morto.

La stessa attitudine affligge purtroppo tanti politici che rispolverano il tema della pace quando vogliono distrarre l’opinione pubblica da problemi interni ai loro partiti. Se i direttori dei giornali, anziché limitarsi ad aprire le loro agende per intervistare i soliti esponenti, spesso autoproclamatisi rappresentanti del movimento, incaricassero qualche giornalista di fare lo sforzo di un’inchiesta, scoprirebbero cose molto interessanti.
Scoprirebbero che il pacifismo inane, da milleottocento, fu già superato storicamente ad inizio novecento proprio da Gandhi, che voltò pagina passando dal pacifismo imbelle alla nonviolenza attiva: “il pacifismo codardo è la malattia infantile della nonviolenza coraggiosa”. Sarà bene, quindi, che i critici del movimento pacifista odierno si aggiornino, poiché sono rimasti indietro di oltre un secolo.

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Oggi il movimento pacifista e nonviolento è maturo e non si fa dettare l’agenda politica dai titoli di giornale, ma segue una propria strategia, conduce le proprie campagne, costruisce e allarga reti di relazioni, agisce dentro i conflitti reali, pur scontrandosi con l’indifferenza o l’ostilità della politica e la grande difficoltà a trovare interlocutori nelle istituzioni.
Non lo si trova nelle piazze a fare marce autoreferenziali. Lo si trova a lavorare sul campo, dentro ai movimenti che vogliono cambiare la realtà in meglio. Oggi i pacifisti possono mettere in atto capacità di studio, elaborazione ed analisi: dal controllo dell’export di armi alle denunce sulle falle del progetto F35, fino alla capacità di scoperchiare il caso della fornitura di armi italiane all’Arabia Saudita, coinvolta nel conflitto nello Yemen, che stanno provocando una vera e propria catastrofe umanitaria.
Sulla Siria, sui venti di guerra nel Medio Oriente, nel Mediterraneo, sui disastri delle politiche belliche delle potenze militari, i pacifisti hanno analisi approfondite e proposte concrete per un cambio di rotta necessario.

Sicuramente possono e vogliono fare di più per incoraggiare gli scambi tra la nostra società civile e gli attivisti per i diritti umani e la pace sull’altra sponda del Mediterraneo. I pacifisti nonviolenti hanno lavorato decenni ed ora hanno formato e inviato all’estero oltre un centinaio giovani del servizio civile come Corpi Civili di Pace in aree di conflitto o a rischio, vere missioni di pace, non militari.
Vi sono poi decine di migliaia di giovani che ogni anno svolgono il servizio civile nazionale, protagonisti nell’attuare il dovere costituzionale della difesa della Patria, che non è solo difesa militare. Il pacifismo italiano attua anche una politica di relazioni e solidarietà internazionale.
Volontari e cooperanti italiani partecipano a progetti di riconciliazione e gestione nonviolenta dei conflitti in luoghi difficili. E’ un modo per aiutare la nascita e lo sviluppo dei movimenti nonviolenti anche in contesti di guerra. Si potrebbe poi fare un lungo elenco delle Campagne messe in atto e risultate vincenti, come quella contro le bombe a grappolo, contro le mine antiuomo, il trattato sul commercio delle armi, e da ultimo il Trattato per la messa al bando delle armi nucleari, per cui ICAN e le organizzazioni italiane partner hanno ottenuto il Nobel per la pace 2017.

Sono solo alcune piste di lavoro per chi avesse voglia di uscire dalla redazione e consumare un po’ di suole delle scarpe. Sono moltissime le sedi dei movimenti per la pace dove trovare materiali, archivi, indirizzi, persone che vale la pena intervistare. Per gli opinionisti più pigri possiamo suggerire di dare una letta, e qualche volta anche pubblicare, i tanti comunicati stampa che le reti della pace e del disarmo emettono frequentemente, come quello firmato da oltre 100 sigle associative e sindacali la scorsa settimana il giorno prima dei bombardamenti a guida statunitense sulla Siria, un segno di grande unità e convergenza.

E per quelli ancora più pigri, consigliamo la lettura dei siti delle associazioni pacifiste e di alcune riviste, come Nigrizia, Mosaico di pace, Azione nonviolenta, dove si può leggere un ottimo giornalismo di pace. Ultimo suggerimento: oltre a chiedersi “dove sono i pacifisti”, ogni tanto ci si chieda anche dove sono le missioni militari: quante sono, cosa fanno, quanto costano, che risultati hanno ottenuto; sarà molto interessante comparare costi e benefici nel settore militare e costi e benefici nel settore della prevenzione nonviolenta dei conflitti.

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“La nonviolenza è lo stile di una politica per la pace”, lo dice Papa Francesco; se ne potrebbero accorgere anche i direttori dei grandi giornali. In fondo il giornalismo è la ricerca della verità, e la verità è sempre la prima vittima della guerra.

Rete italiana disarmo
Tavolo interventi civili di pace
Sottoscrivono, inoltre, le seguenti associazioni aderenti:
Mao Valpiana, Movimento Nonviolento Martina Pignatti Morano, Un ponte per … Don Albino Bizzotto, Beati i costruttori di pace Don Renato Sacco, Pax Christi Maurizio Simoncelli, Archivio Disarmo Licio Palazzini, Arci Servizio Civile Tonio dell’Olio, Pro Civitate Christiana Angela Dogliotti Marasso, Centro Studi Sereno Regis Luisa Morgantini, Assopace Palestina Pierluigi Biatta, Opal Francesco Ambrosi, Movimento Internazionale Riconciliazione Vittorio Bellavite, Noi siamo chiesa Tiziana Volta, Mondo senza guerra e senza violenza Alessandro Capuzzo, Comitato pace e convivenza Danilo Dolci.

Carovana in Ucraina

Scrive Antonio Musella su Fanpage.it, il 2 aprile: “Con oltre 70 mezzi, 35 tonnellate di aiuti umanitari e 200 volontari, la Carovana per la pace “Stop the war now” promossa dal mondo cattolico, a cui hanno aderito diverse ong e associazioni italiane, è la più grande operazione umanitaria in Ucraina dall’inizio del conflitto. Partiti all’alba del 31 Marzo da Gorizia, i mezzi degli attivisti italiani hanno attraversato l’est Europa entrando in zona di guerra all’alba del 2 aprile e arrivando a Leopoli. Ad aprire la strada ai corridoi umanitari dal basso era stata Mediterranea Saving Humans che 15 giorni fa aveva tenuto una prima missione, nella quale oltre a portare aiuti umanitari è stato offerto un passaggio sicuro a 177 persone di 7 nazionalità differenti. Anche la carovana “Stop the war now” offrirà un passaggio sicuro ai profughi, consolidando le attività dal basso dell’associazionismo italiano impegnato in zona di guerra. Ma non solo, la carovana ha lo scopo di essere una iniziativa contro la guerra, ed infatti si è tenuta una manifestazione contro la guerra davanti alla stazione di Leopoli, dove ogni giorni migliaia di persone provano a scappare dalle bombe.

In piazza contro la guerra: “È diplomazia dal basso”

Gli aiuti umanitari, principalmente materiale medico sanitario e cibo a lunga conservazione, sono stati scaricati presso diverse strutture, il centro “Don Bosco” dei padri Salesiani, la sede della Caritas e alla sede del centro culturale “Piattaforma per l’educazione ucraina”. Nel pomeriggio poi la manifestazione alla stazione di Leopoli da dove ogni giorni migliaia di persone cercano di scappare dal conflitto. “La marcia di oggi è un segno tangibile contro la guerra e testimonia che i popoli dal basso non si lasciano solo – spiega a Fanpage.it, Elena Fusar Poli, capomissione di Mediterranea Saving Humans – oggi siamo in 200 dall’Italia, ma il nostro appello va alla società civile internazionale, la nostra è diplomazia dal basso contro la guerra, che afferma in primis che questo conflitto non può essere derubricato a mera cronaca, parliamo di vite umane e di una tragedia umanitaria alle porte dell’Europa”. I manifestanti, circa 200, hanno sfilato con sciarpe bianche con la scritta “Stop the war” ed hanno portato in piazza striscioni contro la guerra. Gli attivisti italiani hanno incontrato diverse realtà associative ucraine: “Sono tutti molto preoccupati dal fatto che la guerra possa essere normalizzata nel dibattito internazionale” sottolinea Fusar Poli. I van di Mediterranea porteranno in Italia dei profughi di guerra, come già avvenuto durante la prima missione. “In tantissimi ci hanno chiesto un passaggio sicuro – spiega la capomissione – non abbiamo posto per tutti, fuori alla stazione di Leopoli, ci sono migliaia di persone che aspettano di poter scappare in un luogo sicuro. Torneremo presto nuovamente. Ripartiranno con noi molte persone che sono arrivate qui a Leopoli da Mariupol, una città completamente distrutta”. Tra le adesioni alla carovana anche “Un ponte per” che a Leopoli è presente con il suo co presidente Alfio Nicotera: “Abbiamo portato aiuti umanitari ad una popolazione che già prima della guerra viveva in difficoltà – spiega a Fanpage.it – abbiamo visto le bidonville a Leopoli, e tante persone disperate, la guerra produce povertà e miseria”.

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Una risposta all’attacco ai pacifisti: “Noi in campo dove la politica rinuncia”

Proprio negli ultimi giorni il mondo pacifista italiano è stato attaccato duramente, e la carovana è una risposta agli attacchi: “Dal direttore dell‘Avvenire fino al Papa, il mondo pacifista è finito sotto attacco – spiega Alfio Nicotera – la nostra iniziativa umanitaria ha raccolto la sfida di una vera campagna nazionale contro i pacifisti, noi sappiamo bene dove sono le maggiori ragioni e i maggiori torti, ma siamo contro l’invio di armi, i pacifisti entrano in gioco con iniziative come queste laddove la politica rinuncia a fare il proprio dovere, noi proviamo a mettere insieme tutti intorno ad un tavolo per far tacere le armi”. Il sostegno dei pacifisti italiani va anche a chi manifesta in Russia contro la guerra: “Il popolo russo è vittima di Putin – sottolinea il co presidente di Un ponte per – sosteniamo i pacifisti russi che manifestano mettendo a rischio la loro libertà a Mosca e San Pietroburgo. Noi dobbiamo coltivare i semi della nonviolenza, anche se sono pochi, perché saranno loro la speranza del futuro di questi due popoli”. La carovana è nata innanzitutto in seno al mondo cattolico, per iniziativa della Fondazione Giovanni XXIII e di molte altre realtà cattoliche.

“Ci siamo mobilitati per dare supporto ai rifugiati della guerra in Ucraina – ha spiegato Chiara Amirante della Comunità Nuovi Orizzonti in una nota –  abbiamo messo a disposizione le nostre strutture in Italia per fornire riparo e sostegno a chiunque ne avesse bisogno soprattutto con l’obiettivo di portare aiuti in loco e accogliere persone fragili, con disabilità, bambini oncologici e malati, mamma e bambini e anziani. Siamo pronti a tutto pur di garantire un futuro più sicuro a questi nostri fratelli e sorelle”. 

Ecco dove stanno i pacifisti. Basta volerli vedere. E ascoltare. Ma, come dicono altri vecchi e saggi  adagi, “non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire” e “non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere”.  In Tv e nelle redazioni ce ne stanno tanti. 

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