In Afghanistan, la dittatura della sharia non è una soap opera
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In Afghanistan, la dittatura della sharia non è una soap opera

Cartoline dall’Afghanistan. Dove essere donna è una condanna ed esserlo rivendicando diritti e dignità  equivale ad una condanna a morte

Afghanistan
Donne in Afghanistan
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22 Novembre 2021 - 17.24


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Cartoline da un Paese dimenticato. E lasciato in mano a misogini fondamentalisti. Cartoline dall’Afghanistan. Dove essere donna è una condanna ed esserlo rivendicando diritti e dignità  equivale ad una condanna a morte.

Non è una soap opera

Si stringono ulteriormente le libertà delle donne in Afghanistan.  Il governo dei talebani ha emanato nuove direttiveche impediscono alle donne di apparire nelle fiction televisive del Paese, mentre giornalistee apresentatriciè stato ordinato di indossare il velo sullo schermo. “Non si tratta di regole, ma di direttive religiose”, ha precisato il portavoce del ministero, Hakif Mohajir, senza specificare le punizioni in caso di violazioni né fornire dettagli. “Le televisioni devono evitare di mostrare soap opera e serie all’acqua di rose nelle quali recitino donne”, si afferma in un documento del ministero diretto ai media, senza specificare se il velo debba essere un semplice foulard, già abitualmente portato in tv, o qualcosa di più coprente. Da quando i talebani hanno ripreso il controllo del Paese, le donne sono state prima interdette dal posto di lavoro, poi reintrodotte sulla rete ToloNews con la promessa di un “governo più permissivo”.

Le nuove imposizioni 

Sono otto le nuove regole rilasciate dal governo ai canali televisivi afgani. Tra queste, il divieto di film considerati contrari ai principi della sharia – la legge islamica – e ai valori afghani, e il divieto di riprendere uomini che espongono parti intime del corpo. Sono vietati anche gli spettacoli comici e di intrattenimento che hanno per oggetto la religione o possono essere considerati offensivi per gli afgani. I talebani insistito inoltre sul fatto che i film stranieri che promuovono valori culturali non afgani non dovrebbero essere trasmessi nel Paese.

L’appello di Unicef 

L’Agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia ha  denunciato il rischio di aumento delle spose bambineanche a causa del fatto che per loro le porte delle scuole sono ancora chiuse quasi ovunque. Ed è di poche settimane fa l’appello del premio Nobel Malala Yousafzai ai talebani a “lasciare che le ragazze tornino a scuola il prima possibile”. Appello inascoltato da un regime che ha costretto alla fuga o alla clandestinità le molte donne che rifiutavano di ripiombare nel regime.

Indietro nel tempo

Era il 21 settembre scorso quando Amnesty International, la Federazione internazionale per i diritti umani e l’Organizzazione mondiale contro la tortura hanno denunciato che in Afghanistani talebani stanno velocemente smantellando i progressi degli ultimi 20 anni nel campo dei diritti umani.

Al contrario delle loro affermazioni sul rispetto dei diritti umani i talebani, come mostrato nel briefing “La caduta dell’Afghanistan nelle mani dei talebani”hanno già commesso un lungo elenco di violazioni e di crimini di diritto internazionale, come l’uccisione di civili e di soldati già arresisi e il blocco degli aiuti umanitari nella valle del Panshir, e hanno nuovamente imposto limitazioni nei confronti delle donne, della società civile e della libertà d’espressione.

“In appena cinque settimane, i talebani hanno mostrato che non sono seri quando parlano di rispetto dei diritti umani. Abbiamo già assistito a numerose violazioni, dalle rappresaglie agli attacchi alle donne fino alla repressione delle proteste e ai giri di vite contro i giornalisti e la società civile”, ha dichiarato Sinushika Dissanayake, vicedirettrice di Amnesty International per l’Asia meridionale.

“Dato il predominante clima di paura, l’assenza di connessione mobile in molte zone del paese e il blocco di Internet disposto dai talebani, è probabile che quanto finora emerso sia una piccola parte di ciò che sta avvenendo in Afghanistan. Per questo motivo, chiediamo al Consiglio Onu dei diritti umani di istituire un meccanismo solido e indipendente per documentare, raccogliere e conservare prove dei crimini di diritto internazionale in corso”, ha proseguito Dissanayake.

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 I difensori dei diritti umani vivono in un clima di paura

Dal 15 agosto gli attacchi contro i difensori dei diritti umani si susseguono quasi quotidianamente. I talebani li cercano di casa in casa e questo ha spinto molti di loro a nascondersi.

Mahmud (nome di fantasia), un difensore dei diritti umani che è riuscito a lasciare il paese, ha raccontato di aver ricevuto una telefonata, subito dopo la presa di Kabul ad opera dei talebani, in cui gli è stato chiesto di consegnare veicoli, attrezzatura e soldi della sua organizzazione. L’uomo al telefono conosceva il suo nome e ha specificato che non c’era scelta se non rispettare l’ordine.

Nei giorni successivi, Mahmud ha ricevuto altre telefonate e messaggi su Whatsapp in cui gli è stato intimato di comunicare l’indirizzo di casa e di recarsi a un appuntamento. Nel frattempo due suoi colleghi erano stati picchiati. Le immagini, validate da Amnesty International e da un patologo, mostrano i chiari segni delle frustate sulla schiena e lividi sul braccio sinistro di una delle due vittime.

“Le minacce contro i difensori dei diritti umani abbandonati in Afghanistan sono concrete. Sono sotto attacco da tutti i fronti e sono considerati nemici dei talebani. I loro uffici e le loro abitazioni sono stati assaltati, i loro colleghi sono stati picchiati. Molti sono nascosti e vivono nel terrore di essere arrestati, torturati o uccisi. Coloro che sono riusciti a lasciare il paese si trovano in basi militari o nei paesi confinanti, ignari del loro destino. La comunità internazionale ha il dovere morale e politico di non abbandonare persone che hanno dedicato la loro intera vita alla difesa dei diritti umani, all’uguaglianza di genere, allo stato di diritto e alle libertà democratiche. Queste persone vanno difese a ogni costo”, ha dichiarato Delphine Reculeau, direttrice del programma Difensori dei diritti umani dell’Organizzazione mondiale contro la tortura.

 La persecuzione dei giornalisti

Due giornaliste di Kabul hanno denunciato ad Amnesty International le minacce e le intimidazioni che stanno subendo da quando i talebani hanno preso il potere. Ayesha (nome di fantasia) ha lasciato la capitale dopo che il suo datore di lavoro l’aveva avvisata che rischiava la vita. I talebani si erano già presentati alla sua abitazione e, non trovandola, avevano minacciato i suoi familiari.

Aadila (nome di fantasia) ha descritto le prime due settimane sotto i talebani come un periodo di paura e di incertezza. Inizialmente aveva deciso di restare nel paese e continuare a lavorare ma, dopo che una notte i talebani si sono presentati alla sua abitazione chiedendo di lei, ha deciso di partire.

“Dalla fine della repubblica non sono più andato al lavoro. I talebani sono venuti a casa mia molte volte ma ero nascosto. Da allora la nostra redazione è chiusa”, ha riferito Abdul, aggiungendo che ai direttori, ai giornalisti e agli altri operatori dell’informazione è stato comunicato che potranno lavorare solo nel rispetto delle leggi della shari’a e delle norme e regole dell’Islam.

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 Le donne, le ragazze e il diritto di protesta

A causa del clima di paura instauratosi dopo la presa del potere da parte dei talebani, molte donne ora indossano il burqa, evitano di uscire di casa senza un guardiano e hanno sospeso altre attività per evitare violenze e rappresaglie. Nonostante gli attacchi ai diritti delle donne, molte di loro prendono parte a proteste in varie zone del paese.

Alcune proteste sono state portate a termine pacificamente ma molte sono state disperse con la violenza. Il 4 settembre a Kabul una manifestazione di circa 100 donne è stata repressa dalle forze speciali talebane che hanno sparato in aria ed esploso gas lacrimogeni.

Nazir (nome di fantasia), una difensora dei diritti umani, ha raccontato che il suo amico Parwiz (nome di fantasia) è stato brutalmente picchiato dopo che aveva preso parte a una manifestazione delle donne l’8 settembre:

“Lo hanno arrestato e torturato, spezzandogli un braccio, in una stazione di polizia. Prima di rilasciarlo gli hanno fatto indossare vestiti nuovi perché quelli che indossava al momento dell’arresto erano pieni di sangue”.

L’8 settembre il ministero dell’Interno ha disposto il divieto di manifestare in tutto il Paese, “fino a quando non verranno emanate norme in materia”.

“La comunità internazionale non può chiudere gli occhi di fronte alle violazioni dei diritti umani commesse dai talebani. Prendere iniziative concrete in seno al Consiglio Onu dei diritti umani non solo manderebbe il segnale che l’impunità non sarà tollerata ma contribuirebbe anche a prevenire violazioni su scala più ampia. L’azione del Consiglio Onu dei diritti umani dovrebbe andare di pari passo con le indagini in corso da parte del Tribunale penale internazionale con l’obiettivo di chiamare a rispondere sul piano giudiziario i responsabili di crimini di guerra e contro l’umanità, commessi da tutte le parti coinvolte”, ha dichiarato Juliette Rousselot, dell’ufficio Programmi della Federazione internazionale dei diritti umani.

Due mesi dopo la situazione è ulteriormente peggiorata

“Non ce ne andremo, continueremo a lottare”

Di straordinario interesse è l’intervista di Chiara Sgreccia pubblicata da Repubblica lo scorso 9 novembre. A parlare, scrive Sgreccia, “è una donna che preferisce non dire il suo nome. Parla al plurale, in nome di RAWA – Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane di cui fa parte. Nata negli anni Settanta come movimento femminile di resistenza all’occupazione sovietica, oggi opera in clandestinità. È una delle organizzazioni più importanti per la difesa dei diritti delle donne in Afghanistan

«Il desiderio dei Talebani di essere presi sul serio dall’Occidente non ha cambiato la loro natura che è e sarà sempre misogina, inumana, barbara, reazionaria, antidemocratica e anti-progressista. La situazione nel Paese è di totale caos e devastazione – racconta la donna-.. Oggi le città afgane sono tristi, cupe e grigie: non si sente più musica o le voci delle persone lungo le strade. La gente esce poco di casa perché ha paura. Ci sono pochissime automobili perché il gas e la benzina costano caro. La situazione economica è disastrosa: è quasi raddoppiato il prezzo degli alimenti di base, molti prodotti sono scomparsi dal mercato. Le banche, le imprese private, le start-up locali e anche i piccoli negozi stanno chiudendo; le importazioni e le esportazioni sono bloccate. Non c’è denaro e i pochi che lo possiedono, non posso prelevare più di 200 dollari al mese. Secondo UNDP (United Nations Development Programme) il 97% della popolazione rischia di cadere in povertà entro la metà del 2022, se non vengono forniti aiuti internazionali. Anche il settore sanitario è in crisi, non ci sono le medicine, non ci sono gli strumenti, non ci sono gli operatori sanitari. Il tasso di disoccupazione è altissimo, sono aumentati i suicidi di chi non riesce a sfamare la famiglia o a pagare l’affitto. In molti affermano che quest’angoscia non è affatto diversa dalla sensazione di terrore che si prova in guerra. In più, una delle nostre più grandi paure è che i Talebani trasformino l’Afghanistan in un rifugio sicuro per i terroristi».

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E ancora: “Oggi è straziante vedere che gli obiettivi di tante donne, come quelli di studiare o di costruirsi una buona carriera, siano infranti, seppelliti sotto il burqa che in molte non erano più abituate a portare. I Talebani trattano le donne peggio delle bestie. Considerano illegale la detenzione degli animali in gabbia ma le imprigionano tra le quattro mura di casa. Mentre prima le donne costituivano poco più di un quarto del parlamento del paese e il 6,5% dei posti ministeriali, oggi sono escluse dal governo. E nonostante le false assicurazioni la maggior parte, deve ancora tornare in ufficio o in aula. L’edificio che una volta ospitava il Ministero degli Affari femminili da quando ci sono i Talebani è stato riadattato per accogliere il Ministero per la propagazione della virtù e la prevenzione del vizio, la polizia morale dei Talebani. E Il fatto che ancora oggi menzionino costantemente il complesso di regole della Sharia significa che il sistema di restrizioni e regolamenti diventerà sempre più duro e stingente fino a che non ci soffocherà».

Ma la resistenza continua. “Non pensiamo che fuggire dal Paese sia la soluzione giusta per le donne di RAWA perché, come abbiamo imparato dalla storia, nei momenti di guerra e oppressione il popolo mostra la sua capacità di resistenza. Proveremmo vergogna a lasciare il Paese e abbandonare milioni di persone che soffrono. Forse non riusciremo a rovesciare il regime talebano ma non smettiamo di aiutare la nostra genteÈ un dovere continuare la lotta e denunciare il regime, i suoi crimini e il ruolo da traditore che hanno avuto le potenze straniere. Nonostante viviamo in una società misogina, fondamentalista e patriarcale, nonostante i divieti, le botte, la paura, le minacce e le morti, le donne afghane continuano a protestare. Nessuna nazione può donare i diritti o la democrazia ad un altro stato. Perciò siamo certe che saranno proprio le nostre donne, ora politicamente consapevoli, a guidare la lotta per la resistenza in Afghanistan. Faranno da apripista perché sanno che cosa significa essere oppresse e, molto più di quanto accada agli uomini, stanno provando sulla loro pelle il dolore per la violazione dei diritti fondamentali, le brutalità del regime talebano».

I riflettori sull’Afghanistan non vanno spenti. Le donne coraggio afghane vanno sostenute, raccontate. E’ un nostro dovere morale e dovrebbe essere un imperativo politico per l’Occidente che ha voltato loro le spalle. 

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