La vergogna senza fine degli esodi forzati. Il j'accuse dell'Unhcr
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La vergogna senza fine degli esodi forzati. Il j'accuse dell'Unhcr

Più di 84 milioni sono le persone costrette nel mondo a fuggire a causa di violenze, insicurezza e degli effetti dell’emergenza climatica.

Rifugiati in Siria
Rifugiati in Siria
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

11 Novembre 2021 - 15.57


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Altro che mondo solidale. Quelo in cui viviamo è un mondo sempre più ingiusto, diseguale, respingente. 

Un modo di esodati forzati

Secondo il rapporto Mid-Year Trends pubblicato oggi dall’Unhcr, Agenzia Onu per i Rifugiati, nel semestre gennaio-giugno 2021 si registra una tendenza al rialzo degli esodi forzati: più di 84 milioni sono le persone costrette nel mondo a fuggire a causa di violenze, insicurezza e degli effetti dell’emergenza climatica.
L’incremento rispetto alle 82,4 milioni di persone costrette a fuggire registrate a fine 2020 deriva in larga parte dall’aumento di sfollati interni, con sempre più persone in fuga dai molteplici conflitti in tutto il mondo, specialmente in Africa. Il rapporto, inoltre, osserva come le restrizioni ai confini imposte dal Covid-19 abbiano continuato a limitare l’accesso all’esercizio del diritto di asilo in numerose parti del mondo.
“La comunità internazionale sta venendo meno alla responsabilità di prevenire violenze, persecuzioni e violazioni dei diritti umani, fattori che continuano a costringere le persone a fuggire dalla propria terra”, ha dichiarato Filippo Grandi, Alto Commissario Onu per i Rifugiati. “Inoltre, gli effetti dei cambiamenti climatici stanno aggravando le vulnerabilità esistenti in numerose aree che accolgono le persone costrette a fuggire”.
Violenze e conflitti esplosi in tutto il mondo nella prima metà del 2021 hanno portato ora il numero di sfollati interni a quasi 51 milioni. La maggior parte dei nuovi esodi interni si è verificata in Africa, come in Repubblica Democratica del Congo (1,3 milioni di persone sfollate) e in Etiopia (1,2 milioni). Le violenze in corso in Myanmar e in Afghanistan hanno parimenti costretto persone a fuggire durante i primi sei mesi dell’anno.
Anche il numero di rifugiati è continuato ad aumentare nella prima metà del 2021, portandone il totale a quasi 21 milioni. La maggior parte dei nuovi rifugiati proviene da cinque Paesi: Repubblica Centrafricana (71.800 persone), Sud Sudan (61.700), Siria (38.800), Afghanistan (25.200) e Nigeria (20.300).
La combinazione letale di conflitti, Covid-19, povertà, insicurezza alimentare ed emergenza climatica ha aggravato la difficile situazione umanitaria delle persone in fuga, la maggior parte delle quali è accolta in aree geografiche in via di sviluppo.
Le soluzioni in loro favore continuano a scarseggiare. Nei primi sei mesi del 2021, meno di 1 milione di sfollati interni e solo 126.700 rifugiati hanno potuto fare ritorno a casa.
“La comunità internazionale deve fare di più  per ristabilire la pace e, allo stesso tempo, assicurare che vi siano risorse a disposizione delle persone costrette a fuggire e delle comunità che li accolgono”, ha aggiunto Grandi. “Sono le comunità e i Paesi dotati di meno risorse a continuare a farsi maggiormente carico dell’onere di assicurare protezione e assistenza alle persone in fuga, ed è pertanto necessario che siano sostenuti in modo più efficace dal resto della comunità internazionale”.
Concetti che l’Alto rappresentante dell’Unhcr ha ribadito ieri prendendo la parola in apertura della plenaria dell’Europarlamento in occasione dei 70 anni della Convenzione di Ginevra per i rifugiati. Nel suo intervento, Grandi ha richiamato l’Ue “a un impegno di solidarietà e di sostegno”, sia per l’accoglienza delle persone che chiedono protezione internazionale, sia a favore dei Paesi in via di sviluppo “per prevenire i movimenti forzati” di popolazione a causa – ha elencato – di guerre, povertà, conflitti locali, cambiamenti climatici. Ha ricordato il compito dell’Unhcr, che “ha il mandato di proteggere e assistere” i rifugiati nei cinque continenti. Grandi ha poi brevemente tracciato il quadro delle migrazioni, con 82 milioni di sfollati interni, soprattutto nelle regioni povere del pianeta, che si aggiungono ai migranti che attraversano confini nazionali e continentali.

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Ha segnalato il caso del Libano, “dove una persona su cinque presente nel Paese è un rifugiati”; la situazione esplosiva dell’Etiopia, del Sahel, dell’Afghanistan; si è soffermato sul caso Polonia-Bielorussia, chiedendo libero accesso per i rifugiati ammassati ai confini e assistenza materiale. Quindi un appello all’Europa: “Dobbiamo lavorare insieme. Ciò che fa l’Europa è già molto, ma occorre anche una leadership politica per prevenire i conflitti”, una delle prime e più tragiche cause di movimenti forzati di popolazioni. Grandi ha quindi chiesto all’Ue per far rispettare lo stato di diritto, e i doveri verso chi domanda asilo. Ha poi denunciato “i discorsi xenofobi, i muri e i fili spinati, le violenze contro i migranti, i pestaggi” e azioni per prevenire le morti in mare. Fra i problemi correlati alle migrazioni Grandi ha denunciato la tratta, il rischio terrorismo, mentre ha sottolineato la necessità di procedere con i rimpatri “nei casi in cui una persona non abbia diritto alla protezione internazionale”.

Un impegno che non s’arresta

Il 14 dicembre 2020 l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha compiuto 70 anni. 

“Per un’organizzazione che avrebbe dovuto cessare di esistere dopo soli tre anni, è un anniversario scomodo — uno di quelli che non si festeggiano. 

Mentre un mondo distrutto iniziava a rinascere dopo la Seconda guerra mondiale, all’Unhcr fu dato il compito di trovare rifugio a migliaia di persone che il conflitto, in Europa, aveva obbligato alla fuga. 

Nato il 14 dicembre 1950, l’ufficio dell’Alto Commissario aveva un mandato limitato nel tempo, geograficamente circoscritto ed esplicitamente non politico, come se la sua esistenza fosse un ricordo del dolore da spazzare via presto, insieme alle macerie.

Ma i cambiamenti geopolitici portarono presto nuovi conflitti, creando quindi più rifugiati, e la missione dell’Unhcr ha cominciato e continuato ad allargarsi. L’era post-coloniale è stata accompagnata da lotte di liberazione, e poi da lotte per il potere, che hanno costretto milioni di persone alla fuga. Anno dopo anno, continente dopo continente, l’Unhcr ha dovuto assistere un numero di rifugiati in costante, tragica crescita.

L’anno scorso ha segnato quattro decenni di esodi forzati dall’Afghanistan. L’anno prossimo segnerà un decennio dallo scoppio del conflitto in Siria. E così via, una serie di anniversari indesiderati, nuovi conflitti che emergono o riemergono, mentre gli effetti di quelli vecchi devono ancora sbiadire. 

Di conseguenza, l’Unhcr ha dovuto ripetutamente adoperarsi per proteggere in ogni modo, e con ogni risorsa disponibile, le persone in fuga dalle loro case e dai loro Paesi. Questo ha spesso comportato difficili compromessi. Noi non siamo presenti quando si decidono i destini delle nazioni e dei popoli, ma siamo sempre in prima linea, vicino alle persone costrette a fuggire, quando i conflitti rimangono irrisolti. Per statuto siamo un’organizzazione apolitica, ma il nostro lavoro — tra crisi e emergenze — spesso comporta una diplomazia complessa e delicata, per non parlare delle decisioni difficili e alle scelte quasi impossibili a cui spesso siamo confrontati cercando di proteggere e assistere milioni di persone vulnerabili in mezzo a conflitti violenti e complicati, con risorse che semplicemente non stanno al passo con i bisogni.

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I colleghi dell’Unhcr, da sempre, e ancora oggi, sono fieri di avere protetto, cambiato e molte volte salvato tante vite umane. 

E sono determinati ad affrontare nuove sfide, come l’emergenza climatica o la pandemia del coronavirus– fattori che amplificano i già significativi problemi posti dalle migrazioni forzate. Allo stesso tempo, vorrebbero non doverlo fare. 

Perché se invece di nuovi conflitti ci fossero più accordi per un cessate il fuoco; se per più rifugiati fosse realmente possibile ritornare a casa senza timore, e con dignità; se più governi si facessero carico di accogliere rifugiati, ricollocandone quote maggiori da quei Paesi — spesso privi di risorse — che già ne accolgono milioni; se gli Stati rispettassero sempre i loro obblighi internazionali in materia di asilo, e i principi fondamentali della protezione dei rifugiati, come quello di non respingerli e riconsegnarli a guerre e violenza; se tutto questo accadesse, noi dell’Unhcr avremmo molto meno problemi di cui occuparci e preoccuparci.

Purtroppo, la realtà è diversa. Nell’ormai lontano 1994, nel Paese che allora si chiamava Zaire (ed è ora la Repubblica Democratica del Congo) facevo parte della squadra d’emergenza che l’Unhcr aveva spedito alla frontiera ruandese per far fronte a un enorme esodo di rifugiati: in soli quattro giorni, un milione di uomini, donne e bambini avevano attraversato il confine fuggendo dal Ruanda lacerato dal genocidio e dalla violenza, per poi trovarsi improvvisamente nel cuore della peggiore epidemia di colera dei nostri tempi, che ha ucciso decine di migliaia di persone.

A noi, che avevamo il compito di proteggere i rifugiati, toccò invece scavare tombe. E se indubbiamente, nel corso delle nostre vite professionali, pensiamo spesso alle vite che abbiamo contribuito a salvare — a quei momenti di luce in cui la disperazione di un rifugiato si trasforma in speranza anche grazie ai nostri sforzi — non smettiamo mai di pensare, purtroppo, alle molte vite che non siamo riusciti a salvare.

Quasi un anno fa, il numero totale di rifugiati, sfollati interni, richiedenti asilo e apolidi ha raggiunto l’1% della popolazione mondiale. Una percentuale terribile, che aumenta ogni anno: dobbiamo davvero chiederci quando verrà il momento in cui sarà considerata inaccettabile: quando raggiungerà il 2%? Il 5%? O non ancora?  Quante persone devono ancora subire il lutto e l’affronto dell’esilio prima che i leader politici — conflitto dopo conflitto — decidano di affrontare sul serio le cause di quelle fughe? Così, in occasione del 70° anniversario dell’Unhcr, la mia sfida alla comunità internazionale è questa: mandatemi a casa. Fate in modo che l’obiettivo sia veramente quello di costruire un mondo in cui non ci sia bisogno di un’organizzazione delle Nazioni Unite per i rifugiati, un mondo in cui nessuno finalmente sia costretto a fuggire.  E per favore non fraintendetemi: per come stanno le cose, il nostro lavoro è fondamentale e necessario, eppure il paradosso è che non dovremmo esistere. E se ci ritroveremo a osservare molti altri anniversari, l’unica conclusione sarà che tutti insieme abbiamo fallito nel compito fondamentale di fare la pace.

Ma siamo realisti. Milioni di rifugiati e sfollati provengono da una mezza dozzina di Paesi. Se cominciassimo a risolvere i problemi che li hanno costretti a fuggire, milioni di persone potrebbero tornare a casa. Sarebbe un ottimo inizio, e sarebbe qualcosa che tutti noi potremmo davvero festeggiare”.

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Così Grandi nel celebrare il 70° dell’Unhcr. 

Il tradimento afghano

I leader europei agiscano immediatamente per reinsediare nei Paesi dell’Unione i profughi afghani a rischioaiutando concretamente i Paesi al confine che si stanno facendo carico dell’accoglienza di chi è fuggito dall’Afghanistan in cerca di salvezza. È questo l’appello che Oxfam aveva lanciato insieme ad altre organizzazioni umanitarie (International Rescue Committee, Norwegian Refugee Council, JRS Europe, Refugees International, Comisión Española de Ayuda al Refugiado [CEAR], Child Circle, Danish Refugee Council, European Evangelical Alliance, Red Cross EU Office, Kids in Need of Defense [KIND], Amnesty International), alla vigilia del summit sulla crisi svoltosi il 7 ottobre. “L’Europa deve tenere fede agli impegni presi dopo il ritiro dello scorso agosto dal Paese, senza voltare le spalle al destino dei profughi afghani” aveva affermato in quell’occasione Paolo Pezzati, policy advisor per le crisi umanitarie di Oxfam Italia. “Chiediamo che ci si attivi immediatamente per il reinsediamento, entro il prossimo anno, di almeno 36mila rifugiati a rischio, che sono già identificati dall’Unhcr, e dei tanti che si trovano negli stati alla frontiera con l’Afghanistan. Questa è l’unica soluzione per offrire un futuro a chi è già fuggito e consentire un’accoglienza dignitosa a chi lascerà il Paese nei prossimi mesi” 

Le organizzazioni firmatarie dell’appello chiedono infatti di accompagnare il reinsediamento dei profughi con il potenziamento di canali legali, che consentano a più persone possibile di mettersi in salvo in Europa.
“In aggiunta alle quote di rifugiati per cui sarà previsto il reinsediamento nei Paesi Ue, è fondamentale estendere meccanismi che prevedano un uso flessibile dei ricongiungimenti familiari, il rilascio di visti umanitari o per motivi di lavoro e studio, e l’introduzione di schemi di community sponsorship” aggiungeva Pezzati “Senza queste misure, in tanti nei prossimi mesi saranno costretti a lunghissimi viaggi verso l’Europa alla mercé dei trafficanti di esseri umani, costretti a rischiare la vita ancora una volta”.

In una nota l’organizzazione sottolineava come cruciale che “queste iniziative sono misure aggiuntive, che non devono essere utilizzate dagli Stati come pretesto per sottrarsi all’impegno sulle quote per il reinsediamento. Allo stesso modo è fondamentale che ai profughi afghani sia garantito un accesso pieno e trasparente alla procedura di asilo una volta arrivati in Europa”.

Questi canali di ingresso complementari non possono sostituire il diritto di afghani e altri richiedenti asilo di cercare protezione in Europa, indipendentemente da come vi siano arrivati”, conclude va Pezzati. “Tutte le richieste di asilo respinte che riguardano cittadini afghani devono essere riesaminati con urgenza, i rimpatri devono essere formalmente sospesi in linea con il principio di non-refoulement e qualsiasi ostacolo posto all’accesso alle procedure di asilo o all’accoglienza in Europa deve essere indagato e sanzionato dalle istituzioni dell’Ue. Nelle ultime settimane, la Commissione europea, il Parlamento europeo, le regioni e le città, la società civile hanno mostrato solidarietà ai rifugiati afghani, i leader europei facciano altrettanto”.

Nulla è stato fatto. E questo altro non è che corresponsabilità in crimini contro l’umanità. Perché tali crimini si commettono anche con l’inerzia complice o con impegni mai mantenuti. 

 

 

 

 

 

 

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