Etiopia, battaglia finale: la parabola di un Nobel per la pace diventato un "criminale di guerra"
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Etiopia, battaglia finale: la parabola di un Nobel per la pace diventato un "criminale di guerra"

Si trovano alla periferia di Addis Abeba, la capitale dell'Etiopia, i ribelli del Fronte popolare di liberazione del Tigray e dell'Esercito di liberazione degli Oromo.

Guerra civile in Etiopia
Guerra civile in Etiopia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

4 Novembre 2021 - 15.48


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Addis Abeba, battaglia finale. Si trovano alla periferia di Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia, i ribelli del Fronte popolare di liberazione del Tigray e dell’Esercito di liberazione degli Oromo.

Lo ha riferito una fonte diplomatica in Etiopia alla Cnn, all’indomani della dichiarazione dello stato di emergenza nel Paese per il rischio di un’offensiva contro la capitale e dell’appello a prendere le armi contro i ribelli lanciato dal governo. Secondo la fonte, i ribelli hanno le capacità militari per entrare ad Addis Abeba in poco tempo se lo volessero, ma preferirebbero trovare un accordo con il governo. 

Onu: estrema preoccupazione per escalation violenza

 Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, si è detto “estremamente preoccupato” per l’escalation di violenza in Etiopia alla luce della dichiarazione dello stato di emergenza per la possibile avanzata delle forze ribelli del Tigray sulla capitale Addis Abeba.
“È in gioco la stabilità dell’Etiopia e dell’intera regione”, ha dichiarato in una nota il portavoce di Guterres, Stephane Dujarric. Guterres ha quindi ribadito il suo appello per un’immediata cessazione delle ostilità e per un accesso senza ostacoli agli aiuti umanitari in particolare nelle tre regioni settentrionali Tigray, Amhara and Afar. Il segretario generale dell’Onu ha anche chiesto “un dialogo nazionale inclusivo per risolvere questa crisi e gettare le basi per la pace e la stabilità in tutto il Paese”. 

La diplomazia si mobilita

Da New York a Bruxelles. “Chiediamo a tutte le parti in Etiopia di attuare un cessate il fuoco significativo con effetto immediato e di impegnarsi in negoziati politici senza precondizioni. Siamo pronti a sostenere tali sforzi”. Così il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, su Twitter.

Usa L’inviato speciale degli Usa per il Corno d’Africa, Jeffrey Feltman, è atteso oggi in Etiopia per cercare una soluzione pacifica al conflitto in corso fra il governo e i ribelli del Tigré. Lo ha annunciato un portavoce del Dipartimento di Stato americano. L’obiettivo di Feltman, è stato spiegato, è convincere “tutti gli etiopi a raggiungere la pace attraverso il dialogo”. “Gli Stati Uniti – ha aggiunto il portavoce – sono sempre più preoccupati dall’estensione dei combattimenti e delle violenze fra gruppi diversi e stanno monitorando da vicino la situazione”. 

La parola alle armi

Il governo etiope ha chiesto agli abitanti di Addis Abeba di prepararsi a difendere la città contro i ribelli del Tigray (Tplf). “Tutti gli abitanti devono organizzarsi quartiere per quartiere, isolato per isolato, per proteggere la pace e la sicurezza. Devono farlo coordinandosi con le forze di sicurezza”, ha detto Kenea Yadeta, responsabile dell’ufficio per la pace e la sicurezza della capitale, citato da al Jazeera. Il governo etiope ha dichiarato lo stato d’emergenza su tutto il territorio nazionale dopo che i ribelli del Tplf hanno preso il controllo di due città cruciali. Da parte loro, gli Usa hanno messo in guardia i ribelli dall’avanzare verso Addis Abeba, dopo le conquiste riportate a nord della capitale etiope, esortandoli invece a sedersi a parlare con le autorità federali per raggiungere un cessate il fuoco. 

Tplf: lo stato di emergenza non salverà il regime di Abiy 

 I ribelli tigrini del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (Tplfp) affermano che lo stato d’emergenza decretato in Etiopia dal governo del premier Abiy Ahmed “non potrà salvare il regime dal collasso”. “Mentre il regime è sull’orlo del collasso, Abiy e i suoi luogotenenti stanno creando un regno del terrore”, ha scritto su Twitter il portavoce del Tplf, Getachew Reda, secondo il quale lo stato d’emergenza significa “carta bianca per imprigionare o uccidere tigrini a volontà”. L’hashtag dei messaggi è #TigrayShallPrevail! (il Tigray prevarrà). I ribelli hanno preso il controllo di Dessie e Kombolcha, due città dello stato di Amhara, confinate con il Tigray. Intanto il Tplf ha confermato contatti con Ola, un gruppo scissionista del Fronte di liberazione oromo (Olf), che ha lanciato un’offensiva nella regione di Oromia. L’Olf aveva firmato un cessato il fuoco con le autorità nel 2018. Un paese nel caos Lo scorso fine settimana il Tplf aveva annunciato la presa di Dessie e Kombolcha, città situate su uno snodo stradale strategico circa 400 chilometri a nord di Addis Abeba. Su un altro fronte, l’esercito di liberazione degli oromo ha proclamato di aver preso località più a sud, lungo l’autostrada che porta alla capitale. 

Ad essere travolto sarebbe anche il tentativo del 45enne premier di riformare il Paese gestendo al contempo le tensioni fra le oltre 90 etnie in cui spiccano – accanto ad amhara, somali e afar – appunto gli oromo e tigrini (questi ultimi sono circa 6 milioni dei 110 milioni di etiopi). Non a caso Abiy, egli stesso oromo per parte di padre, ha accusato l’alleanza ribelle di voler “distruggere il paese” e trasformare l’Etiopia in una Libia o Siria. Le comunicazioni sono interrotte in gran parte dell’Etiopia settentrionale e l’accesso ai media vietato, rendendo difficile tracciare le linee dei due fronti. 

Crimini contro l’umanità

La gravità delle violazioni e degli abusi che abbiamo documentato sottolineano la necessità di ritenere gli autori di tutte le parti responsabili”, ha affermato Michelle Bachelet, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, commentando a Ginevra un rapporto di un’indagine congiunta della Commissione etiope per i diritti umani e dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani che evidenzia possibili crimini di guerra e contro l’umanità nella regione etiope del Tigray.  “Poiché il conflitto si è intensificato, con i civili presi in trappola, è fondamentale che tutte le parti prestino attenzione ai ripetuti appelli per porre fine alle ostilità e cerchino un cessate il fuoco duraturo”, ha affermato Bachelet. 
Il rapporto esamina l’impatto devastante che il conflitto ha avuto sui civili. Il Joint Investigation Team descrive in dettaglio una serie di violazioni e abusi, tra cui omicidi illegali ed esecuzioni extragiudiziali, tortura, violenza sessuale e di genere, violazioni contro i rifugiati e sfollamento forzato di civili. 
Il rapporto copre il periodo dal 3 novembre 2020, quando è iniziato il conflitto armato, fino al 28 giugno 2021, quando il governo etiope ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale. Gli autori dell’indagine congiunta rivelano che vi “sono ragionevoli motivi per ritenere che tutte le parti in conflitto nel Tigrè abbiano, in varia misura, commesso violazioni dei diritti umani internazionali, umanitari e diritto dei rifugiati, alcune delle quali possono costituire crimini di guerra e crimini contro l’umanità”. 

 Facebook rimuove post del premier: incita alla violenza 

Facebook ha rimosso un post del primo ministro etiope, Abiy Ahmed – paradossalmente premio Nobel per la pace 2019 –  per violazione della propria linea di condotta contro l’incitamento alla violenza. Un portavoce della piattaforma social, ha dichiarato alla Bbc: “Siamo stati informati di un post del primo ministro etiope e lo abbiamo rimosso per violazione delle nostre politiche contro l’incitamento e il sostegno alla violenza”. 

Terra di profonde disuguaglianze e secondo paese più popolato dell’Africa dopo la Nigeria, in Etiopia il 33% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà; il 40% ha meno di 14 anni; l’aspettativa di vita si ferma a 64 anni. L’incremento demografico, l’indigenza e l’inefficienza del sistema sanitario sono i principali problemi che il paese deve fronteggiare. Questi generano gravi disagi sociali che coinvolgono soprattutto mamme, bambini e adolescenti e che portano a un’elevata mortalità: ogni 100.000 parti, 412 mamme non sopravvivono; 48 neonati su 1.000 non superano il primo anno di vita, di questi 29 muoiono nel primo mese.

“Il conflitto etiope si sarebbe dovuto evitare ad ogni costo – annota per l’Ispi Uoldelul Chelati Dirar, professore associato di Storia e Istituzioni dell’Africa all’Università di Macerata-.  Ma al punto in cui siamo sembra improbabile che i combattimenti possano lasciare il campo ad una soluzione negoziale. Una vittoria delle forse tigrine, che controllano tutti i centri strategici e le vie di approvvigionamento mentre il governo centrale è arroccato ad Addis Abeba e nel sudovest dell’Etiopia, è ormai più che verosimile. I toni drammatici del discorso del premier Abyi Ahmed lo dimostrano: il governo è allo sbando. Unica variabile è quella dell’Eritrea. Anche se il governo di Asmara appare in ritirata strategica. Pronto, nel caso in cui il Tplf marci su Addis Abeba, a fronteggiare un eventuale aggressione sul proprio territorio”.

“Le prospettive del Tigray sono mutate – sottolinea a sua volta Giovanni Carbone, Head, Programma Africa IspiTanto aveva sorpreso la rapida disfatta iniziale dei ribelli tigrini, quanto ha stupito la loro successiva capacità di riprendersi il territorio, fino a lanciare azioni oltre i confini regionali. Le implicazioni sono profonde. Dall’accresciuto rischio che il conflitto si protragga per anni, ai rinnovati sforzi di Addis Abeba per isolare il Tigrai dall’accesso umanitario – rendendo ancora più insostenibili le condizioni della popolazione – fino al possibile, definitivo sfaldarsi del paese: sarà sempre più difficile per i tigrini tornare a chiamare ‘casa’ l’Etiopia”.

Di grande interesse è l’analisi di di Alberto Magnani su Il Sole24 ore:  Nei piani di Abiy, fresco di ri-elezione dopo il voto di luglio 2021, le tensioni si sarebbero dovute risolvere nell’arco di qualche settimana- scrive Magnani -. Il blitz è sfociato in una guerra intestina che si trascina da oltre un anno e rischia, ora, di far piombare definitivamente nel caos la capitale del secondo paese più popoloso dell’Africa (115 milioni di abitanti), sede dell’Unione africana e snodo economico e commerciale di prima importanza per il Continente. Un report pubblicato il 3 novembre dalle Nazioni unite ha denunciato le «estreme brutalità» commesse da entrambi le parti in conflitto, senza sbilanciarsi sulle maggiori responsabilità. Gli abusi perpetrati includono torture sui prigionieri stupri di gruppo e arresti su base etnica”.

Catastrofe umanitaria

Il Tigray, regione settentrionale dell’Etiopia, è teatro di un conflitto che dal novembre 2020 a oggi ha causato oltre 2,7 milioni di sfollati interni e migliaia di profughi nel vicino Sudan, determinando inoltre una drammatica crisi alimentare e umanitaria. Le Nazioni Unite stimano che 400.000 persone rischiano di morire di fame in quella che si appresta a diventare la terza peggior carestia della storia dell’Etiopia e una delle peggiori in Africa dal secondo dopoguerra. Inoltre, almeno 4,5 milioni di civili tigrini hanno bisogno urgente di aiuti umanitari e, come denunciato dalla Croce Rossa, mancano farmaci e cure mediche perché l’80% degli ospedali è stato distrutto o saccheggiato. 

Secondo le agenzie umanitarie almeno 100 camion al giorno dovrebbero entrare e uscire dal Tigray per garantire sostegno e aiuti alla popolazione sotto assedio. Ma l’Onu ha denunciato che dei 446 camion entrati in Tigray  tra la metà di luglio e la metà di settembre, solo 38 hanno fatto ritorno. “La mancanza di camion con cui organizzare convogli umanitari è diventato il principale impedimento nelle operazioni di assistenza alla popolazione”, riferisce un funzionario del World Food Program alla Bbc. Sia il governo etiope che i combattenti tigrini che controllano la regione settentrionale, si accusano a vicenda del blocco umanitario. Il Fplt afferma che ai camionisti viene fornito carburante sufficiente per un viaggio di sola andata e lamentano violenze e intimidazioni ai posti di blocco presidiati dalle forze federali etiopi. Il governo di Addis Abeba ha rigettato ogni addebito, accusando a sua volta gli operatori umanitari nel Paese di favorire e persino armare le forze del Tigray,  sebbene non abbiano mai fornito prove a sostegno delle loro accuse. In precedenza, il governo di Abiy aveva sospeso le operazioni di due importanti organizzazioni internazionali – Medici senza frontiere e il Comitato norvegese per i rifugiati – accusandoli di diffondere “notizie false” sulla  guerra.

il Segretario dell’Unocha Martin Griffiths aveva definito quella nella regione settentrionale dell’Etiopia “una macchia sulla nostra coscienza” e accusato senza troppi giri di parole il governo etiope di bloccare cibo, aiuti e medicine destinati alla popolazione del Tigray. “Agli operatori umanitari che si imbarcano sui voli per il Tigray viene detto di non portare oggetti tra cui multivitaminici, apriscatole e medicinali, anche se per uso personale” ha raccontato Griffiths, spiegando che in assenza di comunicazioni e dopo l’espulsione dei giornalisti dalla regione, nel Tigray rischia di consumarsi una strage silenziosa.

 I servizi essenziali sono bloccati o ridotti al minimo e le autorità si rifiutano ancora di ripristinare l’elettricità e linee di comunicazione. Il denaro liquido comincia a scarseggiare e l’accesso all’acqua potabile è estremamente limitato.

Il conflitto si è progressivamente esteso alle regioni confinanti di Afar e Amhara  e si stima che oltre a quelle già esistenti altri 1,7 milioni di persone dovranno affrontare la fame nei prossimi mesi.

L’emergenza si è sovrapposta a un contesto regionale già complesso. Il Tigray è in fatti una zona particolarmente povera e sottosviluppata. Questo è dovuto al fatto che gran parte del territorio è arido e non adatto all’agricoltura. In aggiunta, quest’anno a causa degli scontri solo il 50% della già scarsa produzione di cereali sarà disponibile dato che la stagione di semina è saltata in molte parti della regione.

Tra le varie conseguenze del conflitto c’è anche la diffusione dell’epatite E tra i rifugiati che fuggono nel Sudan orientale, un’epidemia che mette a rischio anche le popolazioni locali. A dare l’allarme in una nota è Medici senza frontiere (Msf): nel campo di Umm Rakouba e nel centro di transito ad Al Hashaba/Village 8 a Gedaref, il team di Msf fa sapere di aver ricevuto 278 pazienti, di cui 16 sono stati ospedalizzati, incluse tre donne in stato di gravidanza. 

Molti pazienti, denuncia ancora Msf, riportano itterizia acuta, uno dei segnali principali del virus, vomito e dolori addominali. Il campo di Umm Rakouba registra una media giornaliera di 15 casi di epatite E, mentre ad Al-Tanideba sono stati identificati sei casi e altri tre a Hamdayet. Secondo Msf, nei campi di Al-Tanideba e Umm Rakouba, che ospitano circa 40.000 persone, le latrine sono insufficienti o inutilizzabili: nel primo molte latrine sono state distrutte da forti piogge e vento, mentre nel secondo ci sono solo 175 latrine per 20.000 persone. Nei giorni scorsi, la ministra delle donne, dei bambini e della gioventù Filsan Abdullahi aveva comunicato la sua decisione di lasciare il governo  “per ragioni personali che pesano gravemente sulla mia coscienza”. In primavera aveva pubblicamente  condannato gli stupri etnici commessi ai danni di donne e bambine   e usati come “arma di guerra” nel conflitto. 

 

 

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