Quella fabbrica di tortura chiamata Libia: come funziona, chi la comanda, chi la finanzia
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Quella fabbrica di tortura chiamata Libia: come funziona, chi la comanda, chi la finanzia

Stupri da praticare ed esibire. Torture da infliggere al buio e sevizie da mostrare alla platea di prigionieri, perché siano da esempio per tutti e continuino ad alimentare il business degli abusi

Lager in Libia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

6 Ottobre 2021 - 14.57


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Quella fabbrica di tortura chiamata Libia. Una fabbrica a pieno regime, in attività h24. Finanziata con denari europei. E italiani. Una fabbrica che gode dell’attiva protezione delle autorità libiche. 

Stupri da praticare ed esibire. Torture da infliggere al buio e sevizie da mostrare alla platea di prigionieri, perché le ferite aperte dei malcapitati siano da esempio per tutti e continuino ad alimentare il business degli abusi «sotto il controllo assoluto delle autorità». Lo scrive la missione d’inchiesta indipendente dell’Onu in Libia. 

Rimarca su Avvenire Nello Scavo: “Sono state trovate altre prove di crimini di guerra e crimini contro i diritti umani, specie nei confronti di migranti e detenuti: «Ci sono ragionevoli motivi per ritenere che in Libia siano stati commessi crimini di guerra, mentre la violenza perpetrata nelle carceri e contro i migranti potrebbe equivalere a crimini contro l’umanità». 

Tutte le parti in conflitto, compresi Stati terzi, combattenti stranieri e mercenari, «hanno violato il diritto internazionale umanitario, in particolare i principi di proporzionalità e distinzione, e alcune hanno anche commesso crimini di guerra» ha affermato Mohamed Auajjar, che guida la missione, il cui rapporto mette in evidenza crimini come omicidio, tortura, riduzione in schiavitù, esecuzioni extragiudiziali e stupri e stupri di gruppo.

Sembra il romanzo nero di un mafia-state in grado di ricattare colossi come l’Europa agitando lo spauracchio dei flussi migratori per ottenere in cambio ogni genere di concessione, a cominciare dall’assoluta impunità nelle violazioni dei diritti fondamentali. 

“Le indagini – si legge nel report – hanno stabilito che il viaggio di un migrante verso l’Europa inizia normalmente con il pagamento di denaro a un trafficante e il successivo imbarco su un barcone. La guardia costiera libica (Lcg) procederebbe poi con un’intercettazione violenta o sconsiderata, che a volte provoca dei morti”. Ma è solo una parte in commedia. Ci sono segnalazioni che le Lcg confisca gli effetti personali dei migranti. Una volta sbarcati, i migranti vengono trasferiti in centri di detenzione o scompaiono, con segnalazioni di persone vendute ai trafficanti”. Desaparecidos per mano delle autorità. “Le interviste con i migranti precedentemente detenuti nei centri di detenzione del Dcim (il dipartimento contro immigrazione illegale di Tripoli, ndr) hanno stabilito che tutti i migranti – uomini e donne, ragazzi e ragazze – sono tenuti in condizioni difficili, alcuni dei quali muoiono. Alcuni bambini sono tenuti con gli adulti, il che li espone a un alto rischio di abusi”. In generale la tortura (come le scosse elettriche) e la violenza sessuale (tra cui lo stupro e la prostituzione forzata) sono prevalenti”. Nonostante le centinaia di milioni di euro piovuti sulle autorità libiche, Italia ed Europa non hanno mai chiesto ufficialmente di modificare la legislazione libica: “Sebbene la detenzione dei migranti sia prevista dalla legge nazionale libica – denuncia la missione degli ispettori Onu -, i migranti sono detenuti per periodi indefiniti senza la possibilità di far riesaminare la legalità della loro detenzione, e l’unico mezzo praticabile di fuga è il pagamento di grandi somme di denaro alle guardie o l’impegno in lavori forzati o favori sessuali all’interno o all’esterno del centro di detenzione a beneficio di privati”. Diverse vittime hanno descritto con precisione “lo stesso ciclo di violenza, in alcuni casi subito fino a 10 volte: pagare le guardie per assicurarsi il rilascio, il tentativo di attraversamento in mare, l’intercettazione da parte dei guardacoste, il successivo ritorno alla detenzione in condizioni dure e violente, il tutto sotto il controllo assoluto delle autorità”.

Una vera fabbrica di abusi nota ai governi e che non ha impedito neanche quest’anno di interrompere, ad esempio, il finanziamento italiano a quella guardia costiera che l’Onu accusa di essere parte del sistema di crimini contro i diritti umani. Una vera fabbrica di abusi nota ai governi e che non ha impedito neanche quest’anno di interrompere, ad esempio, il finanziamento italiano a quella guardia costiera che l’Onu accusa di essere parte del sistema di crimini contro i diritti umani.

La missione è stata istituita dopo che il Consiglio Onu per i diritti umani ha adottato una risoluzione nel giugno 2020 che chiedeva l’istituzione di un organismo di inchiesta da inviare in Libia. Gli esperti hanno raccolto ed esaminato centinaia di documenti, intervistato oltre 150 persone e svolto indagini in Libia, Tunisia e Italia.

L’organismo delle Nazioni Unite ha affermato di aver stilato un elenco confidenziale di sospetti, i cui dettagli non saranno rivelati fino a quando non saranno stati condivisi con appropriati meccanismi di responsabilità.

Investigare non è stato facile. «Sono stati riscontrati notevoli ritardi nell’ottenere i visti necessari, che hanno interferito con la pianificazione e ritardato l’arrivo della missione» si legge nel report. «Durante un incontro tenutosi a Tripoli nell’agosto 2021, il ministro degli Affari esteri ha assicurato alla missione che il rilascio dei visti sarebbe stato facilitato in futuro». Non subito. Tanto che «le speciali procedure di autorizzazione applicabili alle organizzazioni internazionali che lavorano in Libia hanno ostacolato le interazioni della missione con le autorità e hanno anche interferito con le visite in loco della missione». Non bastasse alcune richieste di ispezione «in particolare presso prigioni e centri di detenzione per migranti, sono rimaste senza risposta».

La missione ha circoscritto la portata delle indagini alle violazioni e agli abusi più gravi. «Migranti, richiedenti asilo, rifugiati e prigionieri, sono particolarmente a rischio di violenza sessuale. Al di là dell’ambiente di detenzione, ci sono indicazioni credibili che la violenza sessuale è anche usata da agenti statali o membri delle milizie come strumento di sottomissione o umiliazione», specie per mettere a tacere coloro che potrebbero ribellarsi. Libici compresi. Gli esperti hanno esaminato «diversi rapporti secondo cui attivisti per i diritti sono stati rapiti e successivamente sottoposti a violenza sessuale per dissuaderli dal partecipare alla vita pubblica».

Per rallentare il lavoro della commissione indipendente, le autorità hanno adoperato tutte le possibili pratiche burocratiche. Obiettivo: «ostacolare le interazioni della missione», con gli esponenti del governo di Tripoli che «hanno anche interferito con le visite in loco della missione».

Nonostante questo «le prove raccolte hanno indicato che la violenza sessuale assume diverse forme». Gli investigatori non hanno avuto a che fare solo con la depravazione dei carcerieri, ma hanno ottenuto la conferma che l’istituzionalizzazione della tortura ha lo scopo di umiliare, assoggettare e anche mostrare a tutti i prigionieri cosa potrebbe accadergli se protesteranno: «Oltre allo stupro – si legge ancora –, le donne o gli uomini possono essere costretti a spogliarsi nudi, a compiere atti sessuali con altri o ad essere testimoni di uno stupro da parte di altri».

Gli incaricati del Consiglio Onu per i Diritti Umani hanno inoltre segnalato i «crimini atroci commessi nella città di Tarhuna (a sud-est di Tripoli) tra il 2016 e il 2020». Proprio ieri, riferisce l’agenzia Nova, altri dieci corpi non identificati sono stati riesumati dalla zona agricola nota come “Chilometro 5” nella stessa municipalità di Tarhuna. Lo scorso 28 luglio, 12 corpi erano stati estratti dopo la scoperta di altre due fosse nella stessa area. Le squadre di ricerca dell’Autorità hanno cominciato i lavori nella zona “Chilometro 5” lo scorso mese di aprile, recuperando fino ad oggi almeno 50 cadaveri.

Notizie confermate anche dalle immagini satellitari contenute nel report degli esperti Onu i quali, pur tra ostacoli e qualche tentativo di depistaggio, sono riusciti a trovare conferma alle testimonianze raccolte faticosamente sul campo.

La missione è stata istituita dopo che il Consiglio Onu per i diritti umani ha adottato una risoluzione nel giugno 2020 che chiedeva l’istituzione di un organismo di inchiesta da inviare in Libia. Gli esperti hanno raccolto ed esaminato centinaia di documenti, intervistato oltre 150 persone e svolto indagini in Libia, Tunisia e Italia.

L’organismo delle Nazioni Unite ha affermato di aver stilato un elenco confidenziale di sospetti, i cui dettagli non saranno rivelati fino a quando non saranno stati condivisi con appropriati meccanismi di responsabilità. Per rallentare il lavoro della commissione indipendente, le autorità hanno adoperato tutte le possibili pratiche burocratiche. Obiettivo: «ostacolare le interazioni della missione», con gli esponenti del governo di Tripoli che «hanno anche interferito con le visite in loco della missione».

Così Scavo.

In attesa di risposta

In passo indietro nel tempo: 9 aprile 20121.

Una lettera aperta al premier Draghi sulle violazioni sistematiche dei diritti umani perpetrate in Libia contro migranti e rifugiati. A scriverla è l’associazione Medu, Medici per i diritti umani. “Signor Presidente del Consiglio – si legge nella lettera – è con stupore e grande preoccupazione che abbiamo appreso quanto da Lei dichiarato in occasione della sua visita a Tripoli e della soddisfazione che ha ritenuto di dover esprimere per ‘quello cha fa la Libia con i salvataggi’ e, più in generale ‘sul piano dell’immigrazione’, ‘con l’aiuto e l’assistenza dell’Italia’”. 

“A queste Sue dichiarazioni – prosegue il Medu – sentiamo il dovere di rispondere, ricordando le migliaia di testimonianze di persone sfuggite in questi anni agli atroci centri di detenzione e sequestro libici. Testimonianze raccolte dai medici, psicologi ed operatori socio-sanitari di Medici per i Diritti Umani che in vari progetti in Italia e in Niger prestano quotidianamente assistenza a migranti e rifugiati e che raccontano dei gravi crimini contro l’umanità commessi in Libia su vasta scala nei loro confronti. Atti ignobili come torture, stupri e violenze ai quali uomini, donne e bambini vengono sottoposti sistematicamente nei centri di detenzione ufficiali e non ufficiali, da parte di gruppi criminali, miliziani, soldati e funzionari di polizia spesso indistinguibili tra di loro. Violazioni commesse ripetutamente anche a seguito dell’intercettazione durante la tentata traversata del Mediterraneo da parte della Guardia costiera libica che riporta forzatamente i profughi inermi nei lager libici, nel corso di operazioni che hanno ben poco a che vedere con ‘salvataggi’, ma sono l’occasione di ulteriori soprusi e violenze nei loro confronti”.
 “La Libia, Signor Presidente, non è un porto sicuro ma è tutt’ora La fabbrica della tortura  che Medici per i Diritti Umani denunciava nel suo rapporto pubblicato un anno fa che raccoglie oltre tremila testimonianze dirette sopravvissute all’inferno libico dal 2014 al 2020. Con l’intento di farle giungere la voce di queste migliaia di persone da noi incontrate, desideriamo inviarle insieme a questa lettera aperta il suddetto rapporto che documenta come in oltre il 90% dei casi, i migranti e rifugiati detenuti in Libia hanno subito torture e trattamenti crudeli, inumani e degradanti proibiti dalle Convenzioni internazionali, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla nostra Costituzione. Teniamo a precisare che i nostri operatori continuano anche in questi giorni a raccogliere testimonianze delle atrocità commesse in Libia la cui fedele veridicità è tragicamente certificata dalle gravi sequele fisiche e psichiche impresse nel corpo e nell’anima dei sopravvissuti”.
 “Apprendiamo dalle Sue più recenti dichiarazioni di ieri in risposta ad una precisa domanda in conferenza stampa che durante la Sua visita a Tripoli ha anche auspicato nei colloqui bilaterali il superamento dei centri di detenzione per migranti. È questo un fatto certamente positivo ma del tutto insufficiente di fronte  alla gravità e alle dimensioni di una tragedia che rimarrà nella storia. Crediamo, Signor Presidente, che sia veramente il tempo di lasciar da parte un po’ di realpolitik e mettere  in campo per davvero quelle misure ‘umane, equilibrate ed efficaci’ a cui Lei stesso ha fatto riferimento”. “Auspichiamo, Signor Presidente – conclude il Medu – , che una maggiore consapevolezza del costo umano del sostegno incondizionato al Governo di Tripoli e dell’assistenza fornita alla Guarda costiera libica consentirà al suo Governo di adottare le misure indispensabili affinché l’Italia cessi di essere complice dei crimini contro l’umanità commessi in Libia”.

Sono trascorsi 6 mesi da quella lettera aperta. Sei mesi di silenzi. Pesanti. Inaccettabili.

La denuncia di Amnesty

£​Un paese ridotto a pezzi da anni di guerra è diventato un ambiente ancora più ostile per rifugiati e migranti in cerca di una vita migliore. Invece di essere protetti, vanno incontro a una lunga serie di agghiaccianti violenze e ora sono persino ingiustamente accusati, per motivi profondamente razzisti e xenofobici, di aver diffuso la pandemia da Covid-19”. A dichiararlo in una nota ufficiale  è Diana Eltahawy, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord. ”Nonostante tutto questo, anche quest’anno l’Unione europea e i suoi stati membri stanno portando avanti politiche che intrappolano decine di migliaia di uomini, donne e bambini in un circolo vizioso di crudeltà, dimostrando un cinico disprezzo per la loro vita e la loro dignità», ha aggiunto Eltahawy.

“Poiché le autorità libiche seguitano a non agire a fronte di un consolidato sistema di violenze contro i rifugiati e i migranti, l’Unione europea e i suoi stati membri dovrebbero rivedere completamente la loro cooperazione con la Libia, condizionando ogni ulteriore forma di sostegno all’adozione di misure immediate per fermare le orribili violenze ai danni dei rifugiati e dei migranti, come ad esempio porre fine alla detenzione arbitraria e chiudere i centri di detenzione per migranti. Fino ad allora, nessuna persona soccorsa o intercettata in mare dovrebbe essere fatta tornare in Libia e, al contrario, dovrebbe essere fatta approdare in un porto sicuro”.  ha proseguito Eltahawy.

La dichiarazione della responsabile di AI risale a un anno fa. Niente è cambiato. Se non in peggio. 

Ovunque in Libia le persone vengono commerciate, rapite, abusate…noi siamo stati rapiti e picchiati. Mia moglie ha ancora i segni delle percosse sul volto e sulla schiena

Farah, 24 anni, dalla Somalia

Per non dimenticare

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