La guerra di Gaza: Hamas in piedi e la popolazione civile annientata. E la chiamano "vittoria"
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La guerra di Gaza: Hamas in piedi e la popolazione civile annientata. E la chiamano "vittoria"

Che è successo dopo gli 11 giorni di lanci di razzi e bombardamenti israeliani? La quarta guerra di Gaza vista da una delle firme storiche di Haaretz: Zvi Barel.

Distruzione nella striscia di Gaza
Distruzione nella striscia di Gaza
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

29 Maggio 2021 - 15.18


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Hamas resta in piedi. La popolazione messa in ginocchio, stremata. E la chiamano “vittoria”. 

La quarta guerra di Gaza vista da una delle firme storiche di Haaretz: Zvi Barel.

Questo è il bilancio: “Qualche tipo di vittoria doveva essere estratta dall’ultima guerra. Se non siamo riusciti a rovesciare Hamas, a distruggere il suo arsenale di razzi o almeno a cancellare la sua leadership politica, possiamo ancora rendere miserabile la vita dei gazesi comuni. Ora abbiamo perso l’interesse a vendicarci o a preservare la deterrenza (cioè il prestigio) e non possiamo più minacciare Hamas con altre sortite. D’ora in poi, stiamo combattendo una guerra per riportare a casa gli israeliani dispersi a Gaza e i corpi dei soldati caduti. ‘Dobbiamo offrire, per quanto possibile, assistenza umanitaria di base. Dobbiamo condizionare qualsiasi cosa al di là di questo con un progresso sulla soluzione della questione dei prigionieri e dei corpi dei soldati’, ha annunciato il ministro della difesa israeliano Benny Gantz. Ha coniato una nuova frase  ‘soglia umanitaria di base’ da imporre ai due milioni di abitanti di Gaza. Siamo noi gli umanitari, e quindi saremo noi a decidere cos’è questa soglia di base e cosa costituisce il resto. Come abbiamo fatto nel 2010, creeremo delle liste nere che dettagliano ciò che è permesso e ciò che è vietato entrare a Gaza. La carta formato A4 è vietata, così come il coriandolo. La margarina industriale, i quaderni, i giornali e decine di altri prodotti sono totalmente o parzialmente proibiti per brevi o lunghe durate, tutto secondo la follia di chi decide in un dato giorno. Improvvisamente, hanno dimenticato gli avvertimenti dell’intelligence e degli esperti dell’esercito, secondo i quali si crea una situazione combustibile a Gaza con regole così draconiane.

Dimenticano il blocco soffocante che è stato imposto all’enclave da quando Hamas ha preso il controllo nel 2007, ma non ha ottenuto i risultati desiderati. Solo con il rilascio all’ingrosso di prigionieri, Israele è riuscito a riavere il soldato Gilad Shalit. Anche dopo, il blocco è stato lasciato intatto, come se potesse impedire il prossimo round di combattimenti con Hamas. Piombo fuso nel 2008-2009, Pillar of Defense nel 2012, Protective Edge nel 2014, Black Belt nel 2019 e Guardians of the Wall nel 2021, per non parlare della sofferenza, della povertà, della paura e del bisogno, che è materiale incendiario che mantiene accese le fiamme della guerra. La ‘soglia umanitaria di base’ di Gantz farà sì che continui a bruciare.

Coloro che vogliono i corpi dei soldati morti e dei prigionieri non hanno bisogno di fare una guerra o di applicare gli strumenti di tortura economica su un’intera popolazione. Hanno bisogno di accettare uno scambio di prigionieri, molti prigionieri. La pressione economica non è efficace – è una finzione, è una dichiarazione di continuazione della guerra attraverso misure disumane, una specie di manifesto appeso sul sito di un edificio in rovina che annuncia: ‘Attenzione, miseria in corso’. Eppure, si sta mettendo in atto un sistema che deciderà quali beni possono entrare a Gaza in base agli standard umanitari di Israele. Questo meccanismo ben oliato ha mostrato in passato la sua assurdità impedendo agli studenti di dare esami, ai malati di cancro di ricevere le cure necessarie e ai genitori di accompagnare i loro figli negli ospedali in Israele e in Cisgiordania. È un sistema che permette l’afflusso di milioni di dollari ogni mese a Gaza e allo stesso tempo permette ai prodotti agricoli di appassire sulla vite e spingere i coltivatori nella povertà. È vero, non si tratta di genocidio, né di apartheid, perché non ci sono israeliani a Gaza che godono di più diritti della sua popolazione palestinese.

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Gaza è governata da Hamas, che è considerata sia un’organizzazione terroristica da Israele sia l’organismo incaricato di gestire l’enclave giorno per giorno. A volte, è considerato come un nemico che deve essere distrutto, ma più spesso è trattato come un partner che risparmia a Israele la necessità di governare direttamente Gaza. E ancora, è Israele che decide cosa mangiano i gazawi e quali medicine possono prendere.

L’Unione Europea, che sta esaminando con la lente d’ingrandimento quali merci provengono dagli insediamenti, e gli Stati Uniti, che hanno imposto sanzioni alla Siria e alla Russia per non aver permesso agli aiuti umanitari di raggiungere i rifugiati interni in Siria, non hanno mostrato alcun interesse per ciò che viene fatto a Gaza. La soglia umanitaria di Israele sta innescando una prevedibile catena di eventi: blocco, violenza, guerra e negoziati e di nuovo al punto di partenza. Anche questa volta, non c’è motivo di aspettarsi un finale diverso per questo film. Attenzione allo spoiler: l’eroe non muore davvero, torna come zombie”, conclude Bar’el.

Hamas è in piedi. E tratta con Israele. Delegazioni di alto livello di Israele e di Hamas, hanno concordato di incontrarsi la prossima settimana al Cairo, per consolidare la tregua concordata una settimana fa con la mediazione dell’Egitto e per affrontare questioni come la ricostruzione di Gaza e lo scambio di ostaggi. Il ministro degli Esteri, Gabi Ashkenazi, guiderà la delegazione israeliana all’incontro dell'”inizio della prossima settimana”, come confermato dalla radio ufficiale dell’esercito israeliano, Galatz. Per Hamas, sarà  il capo politico del movimento, Ismail Haniyeh, ad andare al Cairo “nei prossimi giorni” per “discutere con Israele la stabilizzazione del cessate il fuoco”.

Dell’Autorità nazionale palestinese di Mahmoud Abbas non c’è traccia. Non esiste per Israele. Altro che distruzione di Hamas: di fatto Israele negozia con chi combatte, con il nemico di “comodo”. Di comodo perché Netanyahu sa bene che agli occhi degli israeliani mai e poi mai si potrà trattare una soluzione a due Stati con uno Stato palestinese in mano ad Hamas. E Hamas sa altrettanto bene che negoziare un accordo di pace è ben altra cosa di trattare una tregua. Significa arrivare a dei compromessi, a riconoscere anche le ragioni dell’altro da sé. Cosa che non farà mai. 

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Annientare Gaza

“Annientare Gaza”. Non è il nome in codice della guerra prossima ventura che Israele scatenerà nella Striscia. E’ qualcosa d’altro e di più pervasivo: è usare, da parte del governo di Gerusalemme, due milioni di palestinesi come arma di ricatto nei confronti dell’Egitto di al-Sisi e, soprattutto, delle petromonarchie del Golfo.  Israele sa che Gaza resta una polveriera pronta a riesplodere, oltre lo scenario di una guerra a bassa intensità. E sa altrettanto bene che le due opzioni di sempre sono, per ragioni diverse, impraticabili: rioccupare la Striscia e/o mantenere lo statu quo. Ecco allora materializzarsi, negli ambienti governativi dello Stato ebraico, l’idea, aggiornata, di qualcosa che dai tempi degli accordi di Camp David (settembre 1978)  tra Menachem Begin e Anwar al Sadat si era affacciata, da parte dell’allora premier (Likud) israeliano: costringere il vicino arabo a farsi carico della Striscia, annettendola al proprio territorio nazionale o, se ciò era troppo, facendone una sorta di protettorato arabo, militarmente garantito dall’Egitto e finanziato dagli Emirati Arabi Uniti e dal Qatar. D’allora sono trascorsi 43 anni. E Gaza resta un problema irrisolto .Una  prigione isolata dal mondo, dove sono rinchiusi due milioni di palestinesi, il 56% al di  sotto dei 18 anni. Una prigione che torna a fare notizia quando si fa la conta dei morti, quando torna ad essere un teatro di guerra. Allora i riflettori si riaccendono, i media ne tornano a parlare. Dimenticando che la vera, grande tragedia di Gaza e della sua gente, è la normalità.  Ed è nella “normalità” che Gaza muore. Nel silenzio generale, nel disinteresse dei mass media, nella complicità della comunità internazionale, nella pratica disumana e illegale delle punizioni collettive perpetrate da Israele, nel cinico operare di Hamas, Gaza sta morendo.

Due milioni di persone devono sopravvivere con uno scarsissimo accesso all’acqua e una situazione igienico-sanitaria in continuo peggioramento. Basti pensare che il 95% della popolazione – anche solo per bere e cucinare – dipende dall’acqua marina desalinizzata fornita dalle autocisterne private, semplicemente perché l’acqua fornita dalla rete idrica municipale (che presenta oltre 40% di perdite) non è potabile o perché oltre 40mila abitanti non sono allacciati alla rete. A questo si aggiunge un sistema fognario del tutto inadeguato con oltre un terzo delle famiglie che non è connesso al sistema delle acque reflue. Una situazione di carenza idrica di cui fanno le spese soprattutto donne e bambini, che in molti casi sono costretti a lavarsi, bere e cucinare con acqua contaminata e si trovano esposti così al rischio di diarrea, vomito e disidratazione. Gli effetti del blocco israeliano nella vita di tutti i giorni: commercio praticamente inesistente, famiglie divise e persone che non possono muoversi per curarsi, studiare o lavorare.

Siamo all’annientamento di una popolazione: oltre il 65% degli studenti delle scuole gestite dall’Unrwa (l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi) a Gaza non riescono a trovare lavoro a causa delle dure condizioni di vita, dell’aumento della povertà e dei tassi di disoccupazione. Da anni Save the Children considera Gaza invivibile: con le condizioni attuali i bambini non riescono più a nutrirsi adeguatamente, dormire, studiare o giocare. Le forniture di energia elettrica dall’Egitto si sono completamente interrotte e l’unica fonte resta Israele nonché l’impianto di generazione interno di Gaza, che funziona a regime ridotto dopo essere stato colpito nel 2009 e bombardato di nuovo nella guerra degli undici giorni. La mancanza di energia elettrica sta penalizzando un’infrastruttura già paralizzata dal blocco e dal conflitto, costringendo a frequenti e lunghe sospensioni del trattamento delle acque reflue che hanno causato l’inquinamento e la contaminazione di più del 96% delle falde acquifere, non sono più utilizzabili dall’uomo, e del 60% del mare di fronte a Gaza. Ogni giorno si riversano infatti nel mare 108 milioni di litri di acque reflue non trattate, l’equivalente del contenuto di 40 piscine olimpioniche. 

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Il primo dato emerso da uno studio dell’Unicef successivo alla guerra di Gaza dell’estate 2014, indica che il 97% dei minori interpellati aveva visto cadaveri o corpi feriti, e che il 47% di questi aveva assistito direttamente all’uccisione di persone. I sintomi rilevati durante lo studio includevano: continui incubi e flashback; paura di uscire in pubblico, di rimanere soli, o di dormire con le finestre chiuse, nonostante il freddo; più nello specifico, i disturbi fisici più frequenti erano disturbi del sonno, dolori corporei, digrigno dei denti, alterazioni dell’appetito, pianto continuo, stordimento e stati confusionali; quelli emotivi includevano rabbia, nervosismo eccessivo, difficoltà di concentrazione e affaticamento mentale, insicurezza e senso di colpa, paura della morte, della solitudine e dei suoni forti. La conseguenza più diffusa era il Disturbo post-traumatico da stress (DPTS), ovvero l’insieme dei disagi psicologici che possono essere una possibile risposta dell’individuo a eventi traumatici o violenti. Si tratta di sintomi frequenti in qualunque territorio martoriato da una guerra ma, nel caso dei bambini di Gaza, la situazione diventa ancora più insostenibile, sia per l’alta percentuale di minorenni nella Striscia (circa la metà della popolazione, in un territorio tra i più popolati al mondo, con 4.365 persone per chilometro quadrato), sia perché Gaza è una striscia di terra, isolata e circondata da Israele e dal mare perennemente sorvegliato dalla marina dello Stato ebraico.  Questa è la vita a Gaza. E chi governa Israele come chi impone la sua legge nella Striscia, lo sanno bene. Come lo sa bene la comunità internazionale, capace solo di invitare alla moderazione o (l’Onu) a prospettare una commissione d’inchiesta, ripetendo una stanca litania che fa seguito all’esplosione della violenza. Tutti conoscono la realtà di Gaza, la tragedia umana che in essa si consuma.  Ma questa consapevolezza non porta alla ricerca di un accordo, di una pace giusta, duratura, tra pari. Non impone rinunce per ridare speranza. Costa meno combattere, perché, tanto, a chi vuoi che possa interessare la sorte di due milioni di persone ingabbiate nella prigione chiamata Gaza.

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