Erdogan cancella un altro simbolo della Turchia laica: una moschea al posto del centro Ataturk
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Erdogan cancella un altro simbolo della Turchia laica: una moschea al posto del centro Ataturk

Con un'area di 2.482 metri quadri, il nuovo luogo di culto prende il posto del centro culturale Ataturk, più imponente, ma fatiscente sin dalla chiusura avvenuta nel 2008, fino all'abbattimento del 2018

Recep Tayyip Erdogan
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27 Maggio 2021 - 11.08


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Recep Tayyip Erdogan, inaugurerà venerdì la nuova grande moschea di Piazza Taksim, nel centro di Istanbul, simbolo della Repubblica secolare nata nel 1923 dal collasso dell’impero ottomano.
Per capire il valore simbolico della apertura della moschea basta uno sguardo alla nuova piazza Taksim, nata da un restyling ispirato al ventennio in cui Erdogan è stato al potere.
Con un’area di 2.482 metri quadri, il nuovo luogo di culto è destinato a sovrastare letteralmente il monumento al padre della Turchia laica, Mustafa Kemal Ataturk, situato al centro della piazza e a fronteggiare il nuovo palazzo dell’opera, in costruzione sul versante opposto e intitolato allo stesso Ataturk.
Quest’ultimo edificio prende il posto del centro culturale Ataturk, più imponente, ma fatiscente sin dalla chiusura avvenuta nel 2008, fino all’abbattimento del 2018. 
Come sarà la moschea
Il progetto dell’opera, affidato a Murat Tabanlioglu, figlio dell’architetto che disegnò la precedente struttura, prevede una costruzione moderna, elegante, ma più bassa sia della moschea e della struttura precedente. Una circostanza non fortuita e non certo priva di significato.
Tra le ragioni della distruzione del precedente edificio vi sono i fatti Gezi Park, il mese di proteste che nel 2013 infiammò prima piazza Taksim e da lì divampò in tutta la Turchia, durante il quale i manifestanti presero possesso del centro culturale Ataturk, che divenne una enorme esposizione di striscioni contro Erdogan le cui immagini fecero il giro del mondo.
Proprio il parco che mandò in crisi l’allora premier, occupa il lato della piazza situato tra la nuova moschea e il palazzo dell’opera in costruzione. Un mese di scontri e proteste repressi duramente dalla polizia (8 morti in tutto il Paese tra cui un poliziotto), durante il quale Erdogan dovette gettare la spugna e abbandonare il progetto di un edificio sul modello di una caserma ottomana che avrebbe sostituito il parco, una delle pochissime aree verdi della zona.
Il presidente turco è recentemente tornato a parlare del progetto, segno che non ha mai dimenticato l’umiliazione di aver dovuto cedere (circostanza cui non è certamente abituato) ai suoi oppositori nella piazza simbolo del Paese.
Il valore di piazza Taksim
In epoca moderna passa inevitabilmente per la strage del 1 maggio 1977, quando durante una manifestazione di sindacati e partito comunista, 34 persone morirono e 136 rimasero ferite dai proiettili che diversi cecchini esplosero dai piani più alti dell’Hotel Marmara, che occupa il lato di piazza Taksim di fronte Gezi Park.
Un evento su cui non è mai stata fatta luce del tutto, ma che ha reso la piazza un luogo di scontro e di conquista in un Paese da sempre fratturato al proprio interno. Piazza simbolica al punto da poter affermare che chi comanda a Taksim comanda in Turchia.
L’occasione per la rivincita di Erdogan arriva nel 2016, all’indomani del fallito golpe del 15 luglio. Nel descrivere la sconfitta dei golpisti Erdogan ha sempre esaltato il ruolo dei manifestanti scesi per le strade “a difesa della democrazia e dell’indipendenza della Turchia”. 
Una retorica che il presidente inaugura proprio a Piazza Taksim, dove un palco con un maxi schermo saranno lo sfondo a un flusso continuo di gente, che per un mese ha affollato la piazza “facendo la guardia alla democrazia”. Una situazione uguale (per flusso) e contraria (per tipologia di manifestanti) a quella avvenuta durante Gezi Park.
Sono quelli i giorni in cui Erdogan si è ripreso piazza Taksim dopo Gezi Park, tanto da forzare la mano e rispolverare e il progetto per la moschea che sarà approvato appena 6 mesi dopo. L’idea di una moschea in piazza Taksim, esattamente come la conversione in moschea di Santa Sofia, corrispondono a due capisaldi dei partiti di ispirazione religiosa turchi da diversi decenni, in passato sempre falliti nonostante un largo supporto da parte della popolazione.
Due terreni di scontro tra elite laica ed elettorato secolare da un lato e popolazione musulmana dall’altro, le due anime principali del Paese.
Convertire Santa Sofia significa togliere spazio al turismo e denotare con un’impronta religiosa l’area di Sultan Ahmet, meta dei visitatori e soggetto delle cartoline della città con uno skyline fiabesco.
Una moschea a piazza Taksim significa portare la religione nel cuore laico del Paese, in una piazza non turistica, esteticamente brutta, ma simbolicamente centrale nella storia della repubblica secolare turca.
I primi progetti della moschea di Taksim risalgono agli anni 50, tutti stoppati da procedimenti giudiziari e intoppi burocratici.
È tuttavia all’inizio del 1980 che l’approvazione del progetto sembra cosa fatta, prima del golpe militare dello stesso anno che non lasciò scampo a religiosi e gruppi di sinistra.
Quando Erdogan diventa sindaco di Istanbul nel 1994 rilancia il progetto, che due anni dopo sembra essere in rampa di lancio, prima che un’indagine giudiziaria lo costringe a lasciare l’incarico e si conclude con la condanna a 10 mesi di reclusione che sconterà nel 1999.
A distanza di 22 anni l’allora sindaco di Istanbul, ora presidente, dopo la conversione di Santa Sofia realizza un altro sogno dell’Islam politico turco e torna a scrivere il proprio nome nella storia di un Paese che continua a plasmare a propria immagine e somiglianza.

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