Israele, l'illegalità si fa "Stato". L'ultimo lascito di Trump al suo amico "Bibi" Netanyahu
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Israele, l'illegalità si fa "Stato". L'ultimo lascito di Trump al suo amico "Bibi" Netanyahu

Nessun presidente americano potrà mai avvicinarsi al tycoon di Washington, il cui sostegno ad ogni forzatura operata dai falchi di Tel Aviv  è stato uno dei pilastri in politica estera. E adesso....

Trump e Netanyahu
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

16 Novembre 2020 - 17.05


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Netanyahu si porta avanti col lavoro, approfittando del fatto che alla Casa Bianca sia ancora “asserragliato” il suo grande amico e sostenitore Donald Trump. Sia chiaro: Joe Biden non sarà un presidente “anti-israeliano”, tanto meno la sua vice Kamala Harris, come Globalist ha documentato in diversi articoli. Ma Netanyahu sa bene che nessun presidente americano, anche il più ben disposto verso Israele, potrà mai avvicinarsi al tycoon di Washington, il cui sostegno incondizionato ad ogni forzatura operata dai falchi di Tel Aviv  è stato uno dei pilastri in politica estera. 

Avanti col lavoro

E allora, avanti con la colonizzazione. L’inviato delle Nazioni Unite per il Medio Oriente, Nickolay Mladenov, si è detto “molto preoccupato” per la decisione di Israele di costruire oltre 1.200 nuove case nell’insediamento ebraico di Givat Hamatos, a Gerusalemme est che renderebbe ancora più difficile stabilire uno Stato palestinese contiguo. La mossa rischia anche di causare problemi con la futura amministrazione statunitense, che si oppone all’espansione degli insediamenti e spera di rilanciare i negoziati su una soluzione a due stati. “Se costruito, consoliderebbe ulteriormente un anello di insediamenti tra Gerusalemme e Betlemme nella Cisgiordania occupata”, ha affermato Mladenov aggiungendo che “danneggerebbe in modo significativo le prospettive per un futuro Stato palestinese contiguo e per il raggiungimento di una soluzione negoziata a due stati basata sulle linee del 1967, con Gerusalemme come capitale di entrambi gli stati. La costruzione di insediamenti è illegale ai sensi del diritto internazionale e invito le autorità a revocare la decisione”. 

L’Israel Land Authority ha annunciato domenica sul suo sito web di aver aperto gare d’appalto per oltre 1.200 nuovi alloggi nell’insediamento di Givat Hamatos

Secondo i dati riferiti il 14 ottobre, ammontano a 2.166 le ultime unità abitative approvate dalle autorità israeliane, e, nello specifico dal Comitato Superiore di Pianificazione dell’Amministrazione Civile Israeliana, l’organismo del Ministero della Difesa che sovrintende agli affari civili nei territori occupati. Si tratta di una mossa che ha posto fine ai quasi otto mesi di interruzione dell’espansione degli insediamenti. Secondo, Peace Now, l’aumento degli insediamenti segnala il rifiuto di Israele della sovranità palestinese e di una soluzione a due Stati e infligge un duro colpo alle speranze nutrite dalla popolazione palestinese ed israeliana per un accordo di pace. Tra gli insediamenti che saranno ampliati in base al nuovo via libera, vi è Har Gilo, situato nel Sud della Cisgiordania, tra Gerusalemme e Betlemme, abitato da circa 1.600 persone. Sempre stando a Peace Now, le autorità israeliane hanno approvato la costruzione di 560 nuove unità in tale insediamento. Agendo in tal modo, concordano gli analisti a Tel Aviv, Netanyahu starebbe, di fatto, proseguendo con l’annessione a Israele dei territori della Cisgiordania. Inoltre, ha rivelato Peace Now, le nuove unità abitative hanno ricevuto altresì l’approvazione di Benny Gantz, ministro della Difesa israeliano, nonché ex rivale di Netanyahu ed attualmente suo vice. Prima degli accordi di normalizzazione, era stato lo stesso Gantz a mostrare riserve verso i piani di annessione del primo ministro, sottolineando la necessità di un dialogo con la parte palestinese.

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Obiettivo: Gerusalemme

Una cosa è certa: annessione formale o di fatto, Gerusalemme resta comunque il cuore del problema. Prima ancora della colonizzazione di interi quartieri arabi a Gerusalemme Est, a essere attuata dalle autorità israeliane è stata una costante, invasiva “pulizia etnica” della popolazione araba della città. I palestinesi gerosolimitani sono essenzialmente apolidi, bloccati in un limbo legale: non sono cittadini di Israele né cittadini di Giordania o Palestina. Coloro che non possono dimostrare che il “centro della loro vita” è a Gerusalemme e che vi hanno vissuto ininterrottamente, perdono il loro diritto di vivere nella loro città di nascita. Devono presentare decine di documenti, tra cui titoli di proprietà, contratti di affitto e buste paga. Anche l’ottenimento della cittadinanza di un altro paese porta alla revoca del loro status. A oggi almeno 570.000 cittadini israeliani vivono in oltre 100 insediamenti costruiti da Israele a partire dal 1967, data di inizio dell’occupazione dei Territori in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.

La rivendicazione di un possesso assoluto di Gerusalemme non riguarda solo Israele e la diaspora ebraica mondiale, perché i più tenaci e fanatici sostenitori della “giudeizzazione” della Città santa sono gli evangelici, in particolare quelli americani. Christians United for Israel, che ha milioni di membri negli Stati Uniti, terrà quest’anno una conferenza virtuale alla luce della crisi del Coronavirus. Il fondatore dell’organizzazione, il pastore John Hagee, in un articolo pubblicato, nel luglio scorso su Haaretzaveva  sollecitato l’Amministrazione Trump a continuare a portare avanti il suo piano di pace per il Medio Oriente, che include l’annessione israeliana fino al 30% della Cisgiordania. Christians United for Israel ha espresso il suo sostegno per l’intero piano di pace di Trump a gennaio, e un portavoce dell’organizzazione ha ribadito al quotidiano progressista di Tel Aviv all’inizio di giugno che il gruppo mantiene questa posizione. Ad agosto,  Friedman e Avi Berkowitz, il funzionario della Casa Bianca alla guida del piano di pace di Trump, sono arrivati in Israele per continuare a discutere le diverse opzioni con Netanyahu e Gantz. Netanyahu ha parlato più volte agli eventi di Christians United for Israel. L’anno scorso ha detto ai sostenitori dell’organizzazione in un videomessaggio che Israele non ha amici migliori dei cristiani evangelici. Per Gantz, la conferenza di quest’anno segnerà la sua prima apparizione come leader politico all’evento. Sono così potenti da aver piazzato un loro adepto, Mike Pence, alla vicepresidenza degli Stati Uniti (e Trump lo ha riconfermato suo vice nella corsa al secondo mandato presidenziale). Quel Mike Pence che così ebbe a dire nel suo discorso alla Knesset del 22 gennaio 2018: “Oggi – esordì in quell’occasione – mentre mi trovo nella terra promessa di Abramo, credo che quanti amano la libertà e auspicano un futuro migliore debbano volgersi verso Israele e provare meraviglia per quanto vedono». È stata la fede «a ricostruire le rovine di Gerusalemme e a fortificarle nuovamente», ha proclamato il vicepresidente USA pronunciando la shehecheyanu, la benedizione ebraica. «Sono qui per portare un forte messaggio: la vostra causa è la nostra causa, i nostri valori sono i vostri valori. Siamo schierati con Israele perché crediamo nel bene e nel male, nella libertà sopra la tirannia”, proseguiva il discorso-sermone, facendo un parallelo fra la storia degli ebrei e quella degli Stati Uniti. “È la storia di un esodo, un viaggio dalla persecuzione alla libertà”, ha affermato in trance religiosa, ricordando come i padri pellegrini che per primi arrivarono in America si rivolgessero «alla saggezza della Bibbia ebraica”.

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Settecentocinquantamila abitanti. Centocinquanta insediamenti. Centodiciannove avamposti. Il 42 per cento della West Bank controllato. L’86 per cento di Gerusalemme Est “colonizzata”. Uno Stato nello Stato. Dominato da una destra militante, fortemente aggressiva, ideologicamente motivata dalla convinzione di essere espressione dei nuovi eroi di Eretz Israel, i pionieri della Grande Israele. Quella che si svela è una verità spiazzante: oggi in Terrasanta, due “Stati” esistono già: c’è lo Stato ufficiale, quello d’Israele, e lo “Stato di fatto”, consolidatosi in questi ultimi cinquant’anni: lo “Stato” dei coloni in Giudea e Samaria (i nomi biblici della West Bank). Lo Stato “di fatto” ha le sue leggi, non scritte, ma che scandiscono la quotidianità di oltre 750mila coloni. Lo “Stato di Giudea e Samaria” è armato e si difende e spesso si fa giustizia da sé contro i “terroristi palestinesi” che, in questa visione manichea, coincidono con l’intera popolazione della Cisgiordania. 

E questo è il mondo dell’illegalità che si fa “Stato” tanto caro a Trump e a Netanyahu. 

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