Biden-Harris e la sfida per ristabilire la normalità diplomatica con Cuba e l'America latina
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Biden-Harris e la sfida per ristabilire la normalità diplomatica con Cuba e l'America latina

Con Trump l’orologio è tornato indietro. Embargo economico più feroce, stop ai voli tra i due paesi, inesistenti scambi diplomatici e commerciali. Niente visti per visitare le famiglie cubane negli States

Joe Biden
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Aldo Garzia Modifica articolo

9 Novembre 2020 - 15.50


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di Aldo Garzia

 

Seguo poco la  politica interna degli Stati Uniti, limitandomi ad analizzare le relazioni tra Washington e l’America Latina. Ma le ultime elezioni negli States non erano di ordinaria amministrazione. Era in gioco quella “rieducazione alle regole” con il ristabilimento delle logiche democratiche di cui hanno parlato nei loro immediati discorsi post risultato Joe Biden e Kamala Harrias. Pensare che fosse possibile un esito capovolto dà molto di più che il mal di testa.

Molti i temi che restano in campo mentre si scorporano i dati su cui si dovrà discutere. La forza elettorale del trumpismo è appannata ma resta forte. La ex classe media si dimostra rancorosa e insoddisfatta. Gli operai bianchi sono tornati a votare democratico, mentre l’inasprimento  della questione razziale non  ha premiato automaticamente Biden. La società statunitense appare mutata socialmente (bisognerà studiarne la fenomenologia). I guasti della presidenza Trump li vedremo ora, quando Biden e Harris dovranno reinserire Washington nei consessi della politica internazionale superando isolazionismo e sovranismo. Capitolo a parte meriterebbero le analisi sui destini di Partito democratico (il ruolo delle donne tra le elette e nella prossima composizione del governo, il crescere di una sinistra interna, la necessaria riforma dell’organizzazione) e di Partito repubblicano (come liberarsi dal trumpismo per ritrovare una destra tradizionale e rispettosa della democrazia).

Venendo al voto ispanico, qui si conferma un punto di forza di Trump e della destra soprattutto in Florida, dove Biden è stato dipinto come la controfigura di Fidel Castro. Il voto di cubani, nicaraguensi e venezuelani è andato a destra. Più variato quello degli immigrati dal Messico del presidente progressista Andrés López Obrador. La cronaca di comizi e incontri preelettorali aveva riferito che Harris e Obama avevano tenuto iniziative a Miami sotto una vigile scorta. I resoconti riportavano come dato interessante che Harris non aveva proposto una linea più o meno di continuità con la politica di Trump per lisciare il pelo all’elettorato indeciso di centrodestra, bensì aveva detto chiaramente che l’obiettivo del suo ticket con Biden è quello di tornare alla “linea di politica estera seguita dalle due presidenze di Barack Obama: dialogo, scambi economici in modo da far crescere la domanda di democrazia  perché la linea dello scontro in tanti decenni non ha portato a nessun esito per Cuba e recentemente neppure in Venezuela”. La scommessa del Partito democratico –  andata fallita in questo 2020 – era  far breccia in quella parte di elettori giovani e di mezza età di origine cubana andati via dall’isola più per ragioni economiche che politiche, ormai convinti dell’anacronismo del muro contro muro. Harris aveva comunque precisato che “per abolire l’embargo contro Cuba ci vorranno anni a causa di una legislazione complicata”. I dati, a spoglio delle urne, parlano chiaro: il 76 per cento dei cubani giunti in anni recenti hanno votato Trump, come il 54 per cento di quelli più anziani.

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Nel complesso, nonostante la vittoria di Biden in Texas altro luogo di concentrazione di immigrati “latinos”, il voto ispanico resta una spina con cui i democratici devono fare i conti. Se gli afroamericani votano al 90 per cento per il Partito democratico, gli ispanici guardano  tradizionalmente a destra in cerca di sicurezza e poca concorrenza tra loro. Lo hanno fatto pure nel 2020, nonostante Trump abbia cercato in tutti i modi di  bloccare e ostacolare l’emigrazione verso gli States (il muro  contro il Messico, nuove regole per chi è riuscito a entrare). Il Partito democratico dovrà prendere le misure a questo elettorato destinato comunque a crescere (si calcola che gli ispanici in territorio statunitense siano ormai 23 milioni).

L’esito finale del voto nordamericani fa dunque gioire L’Avana e non Miami, fa di sicuro arrabbiare la destra del Brasile di Jair Bolsonaro e del Cile di Sebastián Piňera, rincuorando invece Luis Arce neo presidente progressista della Bolivia. Le notizie che giungono da Cuba parlano intanto di ulteriori complicazioni economiche con una situazione alimentare che sfiora l’emergenza umanitaria mentre il governo sta pensando a nuove riforme economiche (unificazione monetaria tra pesos locale, dollari ed euro con valori differenti, aumento consistente dei salari): la pandemia risulta sotto controllo  grazie alla capillare sanità cubana, non così la vita quotidiana e l’economia. Notizie di scarsità di risorse giungono puntualmente pure da Caracas dove gli Stati Uniti hanno fallito finora il tentativo di buttare giù il presidente Nicolas Maduro (l’autoproclamazione a presidente di Juan Guaidò) pur continuando a logorarne la base di consenso.   

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La linea di Obama – che ora potrebbe essere quella di Biden e Harris – fu quella di un reciproco riavvicinamento commerciale e diplomatico che portò alla sua visita ufficiale a L’Avana nel marzo 2016. Si riaprirono allora le reciproche ambasciate a Washington e L’Avana, furono inaugurati voli aerei e collegamenti marittimi, Cuba fu presa d’assalto da turisti statunitensi curiosi. Obama e Raúl Castro dialogarono a lungo e andarono insieme a vedere una partita di baseball (Fidel era ancora vivo però non incontrò Obama). L’inquilino della Casa bianca tenne una conferenza del Gran Teatro dell’Avana e fu addirittura ospite di una trasmissione umoristica nella tv cubana (Vivir el cuento con il famoso attore Luis Silva in arte Panfilo) dove recitava la parte di se stesso. Dopo quella visita, seguì un disgelo che lasciava ben sperare.

Con Trump l’orologio è tornato indietro, anzi si è fermato senza orario. Embargo economico più feroce, stop ai voli tra i due paesi, inesistenti scambi diplomatici e commerciali. Addirittura niente visti nell’Ufficio statunitense consolare a L’Avana per visitare le famiglie cubane negli States (bisogna andare a chiederlo fuori da Cuba con ovvii aggravi economici). Insomma, peggio che ai tempi di Ronald Reagan.

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Biden e Harris manterranno le promesse di un ristabilimento della normalità diplomatica tra Washinton e L’Avana, oltre che con l’intera America Latina? Ci vorrà comunque del tempo. I guasti si possono riparare.

 

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