Palestina, la rivolta popolare contro l'annessione è iniziata
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Palestina, la rivolta popolare contro l'annessione è iniziata

La Cisgiordania scende in piazza, per lanciare al mondo un messaggio chiaro e forte: i nostri diritti nazionali non sono in vendita, la nostra libertà non ha prezzo.

Cisgiordania
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

23 Giugno 2020 - 14.01


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La Cisgiordania non si arrende all’annessione. E scende in piazza, per lanciare al mondo un messaggio chiaro e forte: i nostri diritti nazionali non sono in vendita, la nostra libertà non ha prezzo. E tutto questo, mentre i facitori del piano, l’inseparabile coppia Trump&Netanyahu , cerca di addolcire la “pillola” inventando una annessione “soft”, a tappe, scaglionata nel tempo. 

Rivolta popolare

A chi puntava o si illudeva sulla remissività palestinese, o sulla paura del Coronavirus, la risposta è venuta ieri, quando decine di migliaia di palestinesi hanno manifestato a Ramallah e in altri centri della West Bank contro l’annessione di aree (il 30%) della Cisgiordania da parte d’Israele. Le proteste di massa sono state organizzate da Fatah, il movimento fondato da Yasser Arafat. A Gerico sono scesi in piazza a migliaia i palestinesi che vedono avvicinarsi la data del loro incubo. Il primo luglio il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che annetterà le colonie in Cisgiordania, circa il 60 per cento del territorio abitato da un decimo della popolazione palestinese. Gerico diventerebbe una sorta di isola araba, quello che ora viene definita una “exclave”. E’ il punto 19 dell’accordo firmato con l’ex Capo di stato maggiore delle forze armate Benny Gantz che ora guida il Partito Blu e bianco, formazione politica moderata di centro destra. Il testo è questo: “Il primo ministro potrà portare l’intesa sull’applicazione della sovranità da raggiungersi con gli Stati Uniti al tavolo del gabinetto e chiedere l’approvazione del governo oppure del Parlamento”.

L’annessione sarebbe prevista per l’area C. Secondo i defunti accordi di pace del 1993, comprende la stragrande maggioranza delle colonie israeliane in Cisgiordania e la quasi totalità della Valle del Giordano esclusa Gerico, la città della prima manifestazione.

Alla protesta hanno partecipato anche il primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese Mohammed Shtayeehil vicepresidente dell’Anp Mahmud al-Alul e il segretario generale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina Saeb Erekat. Con loro hanno sfilato anche esponenti di rilievo della comunità internazionale come l’inviato dell’Onu per il Medio Oriente Nickolay Mladenov, il titolare della missione dell’Unione Europea per la Cisgiordania e Gaza Sven Kuhn von Burgsdorff e numerosi diplomatici.

Era presente anche la madre di Eyad Hallaq, un giovane palestinese autistico, ucciso a colpi di arma da fuoco dalla polizia israeliana a Gerusalemme il mese scorso. La madre di Hallaq ha detto, parlando alla folla, di essere presente come rappresentante di tutte le madri dei palestinesi uccisi, e ha chiesto un fronte unificato contro l’annessione.  

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“Questo piano di annessione – ha sostenuto Erekat in una recente intervista concessa a Globalist – è una raccolta di posizioni israeliane, molte delle quali sono state presentate alla lettera dalle controparti israeliane in precedenti negoziati. In questo contesto, l’annuncio della leadership palestinese che la Palestina è assolta da tutti gli accordi firmati con Israele non è venuto fuori dal nulla. La Palestina è rimasta impegnata a rispettare i principi del processo di pace in Medio Oriente per tutto l’ultimo quarto di secolo. Ma Israele ha ancora colto ogni opportunità per sconfiggere il raggiungimento della pace, trasformando questo processo in un totale fallimento. Sostenere che l’annessione e la colonizzazione, manifestamente illegali secondo il diritto internazionale, dovrebbero essere normalizzate come risultato del loro piano, costituisce un pericoloso precedente per qualsiasi paese potente per imporre qualsiasi realtà che ritenga necessaria, anche in violazione del diritto internazionale. Chiunque aderisca al piano del presidente Trump, o quei pochi che suggeriscono che questo documento possa essere preso come base per qualsiasi impegno nei negoziati, sta chiaramente dicendo al popolo palestinese di accettare un crimine di guerra come base per qualsiasi trattativa”. 

Gli attivisti palestinesi hanno detto che l’esercito israeliano ha eretto dei posti di blocco lungo il tragitto verso Gerico, interrogando i conducenti sulle loro destinazioni e impedendo agli autobus di arrivare alla manifestazione L’esercito israeliano ha confermato di aver impedito a diversi autobus di raggiungere la protesta, in accordo con “una valutazione continua della situazione”. 

I membri di Fatah considerano il successo della protesta come un test di leadership per l’Autorità palestinese.

“C’è un consenso palestinese sulla lotta popolare in questa fase, e siamo pronti a passare ad altre fasi se ci sarà un sostegno per farlo”, dice a Globalist Jibril Rajoub, uno dei più autorevoli dirigenti di Fatah, già capo dei servizi di sicurezza dell’Anp,  senza specificare quali saranno le prossime fasi. “Se ci sarà l’annessione, non soffriremo da soli e non moriremo da soli”, avverte.

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“Oggi siamo a favore di una lotta popolare, ma se ci sarà l’annessione, gli strumenti dell’opposizione cambieranno finché ci sarà sostegno e consenso. Partiamo dal presupposto che ci sarà un’annessione e che Netanyahu è favorevole”. Manterremo la lotta popolare fino al prossimo stadio, e saremo la punta di diamante al suo interno”, aggiunge Rajoub. “Se procederanno con l’annessione – insiste l’esponente di Fatah –   le nostre tattiche e i nostri metodi cambieranno e saranno prese decisioni, ma solo dopo aver condotto il dialogo con tutte le fazioni palestinesi, anche quelle che non fanno parte dell’Olp come Hamas. Netanyahu ha un assegno in bianco di Trump”.

Fattore tempo

Netanyahu è deciso a “non perdere l’occasione” prima delle elezioni americane di novembre, ha confidato a suoi alleati di governo. Anche se la Corte Suprema il 10 giugno gli ha dato torto e ha annullato la sua legge del 2017 che mirava a legalizzare tutti gli insediamenti in Cisgiordania “perché viola i diritti di proprietà e di uguaglianza dei palestinesi”. La norma regolava tre categorie di colonie costruite su terra privata palestinese: “quelle erette in buona fede, quelle che hanno il sostegno del governo israeliano e quelle i cui proprietari hanno ricevuto compensazioni finanziarie pari al 125 per cento del loro valore”. Gantz ha promesso che avrebbe rispettato il verdetto.

I dubbi dei vertici militari  

Secondo L’Espresso, l’Associazione “Comandanti per la sicurezza di Israele”, alla quale sono iscritti ex generali ed ex uomini di punta dei servizi segreti e della polizia, calcola che annettere l’area C e trasformare circa 300 mila palestinesi in residenti permanenti costerebbe 14 miliardi e mezzo di dollari all’anno con la complicazione che se non venisse costruita una nuova barriera di separazione potrebbero circolare liberamente in tutta l’area C fino al cuore del Paese.

Il giornale Times of Israel scrive che queste resistenze hanno suggerito a Netanyahu di proporre, il primo luglio, un’annessione in formato ridotto. Riguarderebbe solo i tre blocchi di colonie più antiche, ossia Maale Adumim, Gush Etzion e Ariel, un insediamento che è anche sede di una università. Non verrebbe coinvolta per il momento la valle del Giordano, anche per non mettere in insuperabili difficoltà il re Abdullah II.

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Gli insaziabili coloni

Ma c’è anche chi critica da “destra” il piano Trump-Netanyahu. Come scrive Michele Giorgio su Il Manifesto, “ centinaia di coloni e attivisti israeliani di estrema destra hanno lanciato una campagna contro il piano Trump e per impedire che sia costituito uno Stato palestinese seppur privo di sovranità reale e sotto il controllo di Israele.Il nome della campagna ‘È tutto nostro’ non lascia spazio ad interpretazioni. Prevede tre fasi. La prima, già in corso da giorni, vede centinaia di ‘giovani delle colline’ – coloni poco più che adolescenti noti per le loro scorribande nei villaggi palestinesi e per la creazione di avamposti coloniali – e studenti delle scuole religiose più nazionaliste, distribuire migliaia di volantini e affiggere manifesti lungo le strade della Cisgiordania occupata che mettono in guardia contro ‘il pericolo della divisione di Eretz Israel’. La seconda prevede raduni di protesta. Nella terza dovrebbero sorgere altri avamposti anche, avvertono i coloni, nelle zone B e C della Cisgiordania amministrate dall’Anp del presidente palestinese Abu Mazen. L’obiettivo è superare i confini attuali degli insediamenti coloniali e stabilirsi in quei pezzi di territorio cisgiordano che verrebbero lasciati ai palestinesi.

‘Siamo di fronte a una sfida e a una opportunità. Se la proposta di Trump ci assegna il 30% del territorio, noi diciamo che anche il 70% ci appartiene, perché è tutto nostro’, spiega ai giornalisti che vanno ad incontrarlo Yedidya Shapira, 25 anni, della colonia di Beit El  e promotore della campagna “È tutto nostro”. Shapira – scrive ancora Giorgio – rivela che nei mesi scorsi sono state effettuate ‘esplorazioni’ per stabilire su quali terreni palestinesi saranno create le ‘nuove comunità’, con o senza l’approvazione del governo israeliano”.

Intanto, il 1°luglio si avvicina. Soft o hard, l’annessione avrà comunque inizio. Sostenere la resistenza popolare palestinese diviene un obbligo morale, prim’ancora che politico, per chiunque, in Europa, in Italia (sabato prossimo, 27 giugno è in programma una giornata di mobilitazione nazionale a sostegno del popolo palestinese), crede ancora in una pace giusta, stabile in Palestina. Una pace tra pari. Perché pace, quella vera, non è sinonimo di resa a chi sembra conoscere solo il linguaggio della forza.

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