Trump prova a fermare la pubblicazione del libro di Bolton che racconta un fatto grave
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Trump prova a fermare la pubblicazione del libro di Bolton che racconta un fatto grave

Secondo l'ex consigliere The Donald avrebbe chiesto a Xi Jinping aiuto per essere rieletto, promettendo sconti sui dazi.

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18 Giugno 2020 - 12.03


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Donald Trump chiese al presidente cinese Xi Jinping di aiutarlo a rivincere le elezioni nel 2020 promettendo sconti di dazi se avesse acquistato prodotti agricoli americani cruciali per la sua base elettorale. E quando il leader di Pechino acconsentì, lo definì “il più grande leader della storia cinese”, ignorando poi tutte le questioni dei diritti umani, dall’anniversario di piazza Tienanmen alle persecuzioni degli uiguri.

È una delle rivelazioni di “The Room Where It Happened”, il libro dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton che l’amministrazione Trump vuole bloccare prima della sua uscita in libreria il 23 giugno. Ma non è l’unica, secondo le anticipazioni dei media Usa.

John Bolton è “un bugiardo”, alla Casa Bianca “non lo sopportava nessuno” e “ha infranto la legge” con la pubblicazione del suo libro, afferma Donald Trump in un’intervista a Fox, sottolineando che le informazioni contenute nel suo libro sono riservate e classificate. Trump poi precisa: “nessuno è stato più duro di me con la Russia e con la Cina”. La Casa Bianca chiede un ordine restrittivo di emergenza per bloccare la pubblicazione del libro.

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“Mi è difficile identificare una decisione di Trump durante la mia permanenza alla Casa Bianca che non sia stata dettata da calcoli per la rielezione”, scrive Bolton, affermando che l’inchiesta di impeachment avrebbe dovuto indagare il presidente non solo per le sue pressioni sull’Ucraina ma anche per altri episodi, tra cui i suoi interventi su indagini criminali e non “per fare favori personali ai dittatori che gli piacevano”, citando casi di grandi aziende cinesi (Huawei e Zte). “Il quadro sembrava una ostruzione della giustizia come modo di vivere”, scrive l’ex consigliere per la sicurezza nazionale, anche se molti si lamentano che avrebbe dovuto testimoniare al Congresso anzichè pensare al contratto da due milioni di dollari per il libro.

Bolton rivela anche altre circostanze imbarazzanti. Ad esempio che Trump non sapeva che la Gran Bretagna è una potenza nucleare, che chiese se la Finlandia fa parte della Russia e che il ritiro dalla Nato arrivò più vicino di quello che si sa. L’ex della Casa Bianca racconta poi che anche alcuni consiglieri molti vicini al tycoon lo deridevano alle sue spalle, tra cui il segretario di Stato Mike Pompeo. I briefing dell’intelligence erano poi inutili “perché molto del tempo era speso ad ascoltare Trump piuttosto che il contrario”.

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Le rivelazioni bruciano perché sono una testimonianza di prima mano di un ex stretto collaboratore del tycoon, per quanto animato da desiderio di vendetta per il suo licenziamento via Twitter. Ecco perchè il dipartimento di Giustizia, diventato il braccio armato del presidente, ha fatto causa per bloccare la pubblicazione del libro, sostenendo che “contiene informazioni classificate”. Ieri Trump aveva minacciato che Bolton potrebbe avere “problemi penali” se facesse uscire il libro.

L’ex consigliere per la Sicurezza nazionale aveva firmato un accordo di riservatezza quando era entrato alla Casa Bianca e inizialmente aveva sottoposto il manoscritto all’esame della presidenza. Ma alla fine era arriva una sfilza di omissis e aveva deciso di andare avanti per la sua strada. Il libro rischia di rimettere in discussione l’immagine del tycoon e di aggiungersi ad un altro libro compromettente, quello di Mary Trump, figlia del fratello maggiore del presidente Fred Trump Junior, in uscita in agosto.

Il dipartimento di Giustizia si prepara anche a proporre una riduzione delle tutele legali di cui le piattaforme online hanno goduto per anni nel tentativo di renderle più responsabili nel controllo dei loro contenuti. L’obiettivo è quello di spingerle a essere più aggressive nell’affrontare i comportamenti illeciti e dannosi sui loro siti e a essere più corrette nelle loro decisioni sulla rimozione dei contenuti discutibili. La mossa rappresenta un’ulteriore escalation nei già tesi rapporti fra l’amministrazione Trump e società tecnologiche quali Twitter, Google e Facebook. Il mese scorso Trump aveva firmato un ordine esecutivo che prendeva di mira proprio le tutele legali dei social media, rispondendo così ai timori dei conservatori che le accusano di censura. Quella del ministero è tuttavia una proposta legislativa che deve passare dal Congresso

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