Siria, la mattanza di bambini e le complicità internazionali. Chi sono i carnefici
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Siria, la mattanza di bambini e le complicità internazionali. Chi sono i carnefici

Iman è morta di freddo tra le braccia del padre che tentava a piedi di raggiungere un ospedale per curare la sua piccola malata di bronchite: ma sono a 800mila persone in fuga

Bambini vittime della guerra in Siria
Bambini vittime della guerra in Siria
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

15 Febbraio 2020 - 17.13


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Lacrime di coccodrillo. Che durano il tempo della visione dell’immagine di un corpicino scheletrico di una bambina morta di freddo. Lacrime che nascondono la vergogna di quanti hanno trasformato un popolo in una moltitudine di profughi e un Paese in un ammasso di macerie, devastato da una guerra per procura che dura da nove anni.

Morta di freddo tra le braccia del padre che tentava a piedi di raggiungere un ospedale per curare la sua piccola malata di bronchite: è accaduto nella Siria nord-occidentale martoriata dal conflitto e dove, secondo l’Onu, circa 800mila persone sono in fuga in condizioni umanitarie disperate, strette nella morsa del gelo e, in molti casi, senza acqua potabile e un rifugio dove ripararsi.

La mattanza di bambini

La storia di Iman, deceduta giovedì nel distretto di Afrin al confine con la Turchia, è anche quella di Abdelwahhab, un altro neonato morto assiderato nei giorni scorsi nella vicina regione di Idlib. E quella di altri 123 bambini siriani uccisi dai gelidi inverni nel corso degli ultimi otto anni di guerra, secondo quanto riferito dalla Rete siriana per i diritti umani. L’altro ieri si era sparsa la notizia di una intera famiglia – padre, madre e due figlie – morte soffocate nella loro tenda di fortuna a Idlib a causa del malfunzionamento di una stufa mai riparata.

Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria Ondus, la famiglia non aveva i mezzi per provvedere a una stufa nuova e si era invece procurata un mezzo di riscaldamento non propriamente funzionante, che si era rivelato letale nel diffondere nella tenda un fumo tossico. L’Osservatorio afferma che la piccola Iman si era ammalata di bronchite, e che le sue condizioni erano peggiorate, tanto da indurre il padre a rischiare di mettersi in cammino per diverse ore per raggiungere il più vicino ospedale attraversando all’alba, a piedi, un percorso di montagna. Secondo l’Osservatorio siriano, la bimba è morta prima di arrivare in ospedale

Media siriani e internazionali pubblicano anche le foto di quella che si dice sia la piccola Iman, morta ad Afrin, ritratta mentre è ancora avvolta nei panni con cui è stata portata in braccio dal padre. Secondo le fonti, anche l’uomo, Mahmud Laila, è morto poco dopo la figlia. Profugo originario della regione di Damasco, Mahmud era sfollato assieme alla famiglia almeno altre tre volte. L’ultima regione di provenienza era la periferia sud-occidentale di Aleppo vicina a Idlib. Da lì la famiglia di Mahmud aveva raggiunto le campagne di Afrin, dove nevica da giorni e dove mancano le più basilari strutture di accoglienza per i profughi.

Nella morsa del Rais e del Sultano

Dal 1 dicembre a oggi, da quando è cominciata l’offensiva russo-governativa siriana contro la regione di Idlib e parte di quella di Aleppo, sono circa 800mila gli sfollati secondo l’Onu. La zona è sotto influenza turca e vi operano miliziani anti-regime. Questi sono agli ordini di Ankara, che in questi ultimi giorni ha risposto direttamente al fuoco di Damasco. Con l’inasprimento del conflitto è aumentata anche l’emergenza umanitaria.

L’escalation del conflitto in corso – spiega in una nota Save the Children – ha provocato la fuga di almeno 290.000 bambini, costretti ad abbandonare le loro case a causa della violenza. Impressionanti i numeri resi noti dall’Ong: sono state chiuse 278 scuole nella città di Idlib e nelle campagne e oltre 160.000 studenti sono rimasti senza la possibilità di ricevere istruzione. Il sovraffollamento dei campi profughi inoltre, aggrava la vulnerabilità delle nuove famiglie di sfollati, già messe a dura prova dalle inondazioni e dalle tempeste, che si sono abbattute sulla regione. Secondo Hurras Network, dell’organizzazione partner di Save the Children a Idlib, “la portata di questa fuga è terrificante. È la prima volta infatti che vediamo un’onda di sfollati così grande dall’inizio del conflitto. Le persone stanno abbandonando le proprie case senza avere un posto dove stare e senza sapere dove andare. A volte finiscono per vivere con i parenti nei campi o nelle tende che acquistano. Adesso fa molto freddo e i bambini sono particolarmente vulnerabili. Alcuni stanno morendo a causa delle temperature rigidissime, che aggravano ulteriormente le già estreme condizioni dei bambini, che vivono nella paura e vengono privati di tutto, a partire dal cibo e dal loro diritto all’istruzione”.“Sono anni – denuncia Sonia Khush, direttore della Risposta all’emergenza di Save the Children in Siria – che lanciamo l’allarme sulla catastrofe umanitaria, e in particolare su quella che si sta verificando proprio in Siria ora a Idlib”, dove “quasi un quarto della popolazione, di cui l’80% è costituito da donne e bambini, è stato costretto a fuggire dalle proprie case in poche settimane a temperature inferiori allo zero. La paura – prosegue – è che come avvenuto negli inverni precedenti, i bambini e i neonati non hanno resistito e sono morti quando il termometro è precipitato”. Per questo – conclude – “chiediamo a tutte le parti in conflitto di ascoltare le richieste di un cessate il fuoco immediato. Sono in gioco le vite di migliaia di donne e bambini”. Save the Children chiede a tutte le parti in causa di fermare la guerra contro i bambini e di rispettare le leggi internazionali sui diritti umani e le leggi umanitarie internazionali che prevedono la protezione per i bambini in tempi di conflitto.

Idlib, la posta in gioco

A Idlib, su Idlib, può naufragare la “Jalta siriana” messa in essere, con le vittorie sul campo, dal patto a tre stretto da Vladimir Putin, Hassan Rouhani e Recep Tayyp Erdogan. Un patto che la resa dei conti finale voluta da Bashar al-Assad, e sostenuta da Russia e Iran, può saltare per l’uscita del “Sultano di Ankara”. Sia chiaro: all’autocrate turco il tema della tragedia umanitaria serve essenzialmente per difendere gli interessi geopolitici della Turchia in quell’area cruciale della Siria. E poi c’è un altro punto di rilevanza strategica: la Turchia può accettare che Bashar al-Assad resti al potere a Damasco, ma ciò che non accetterà mai è che un rais rimasto in piedi essenzialmente grazie all’appoggio militare di Mosca e Teheran (e degli Hezbollah libanesi), possa ergersi a vincitore della “partita siriana” e pretendere di rientrare nel grande giro mediorientale. Su questo, Erdogan è pronto a rompere l’alleanza con Russia e Iran. E per farlo intendere ha ordinato all’esercito di rafforzare la propria presenza nell’area a ridosso di Idlib. “L’obiettivo degli ultimi passi compiuti dalla Turchia a Idlib è di impedire che 4 milioni di persone oppresse muoiano sotto i barili bomba del regime” siriano., afferma Erdogan , in un discorso tenuto al Parlamento di Islamabad nel secondo giorno della sua visita ufficiale in Pakistan. Il “Sultano”  ha pensato per il nord della Siria un piano di pulizia etnica: sostituire i curdi che vivono quelle fasce di territorio e che per la Turchia sono nemici esistenziali. E sostituirli usando i profughi siriani che si trovano da tempo nei campi di confine. Tre milioni e mezzo persone che stanno diventando un peso, sia economico che politico, potrebbero invece diventare la carta vincente definitiva contro i nemici curdi. Erdogan progetta da anni di rovesciare all’interno della Siria i suoi profughi. Intende creare una fascia simile a un protettorato che dovrebbe andare dal cantone di Afrin (già turco) fino al nord di Aleppo e più a est verso Jarablus. Ne ha mostrato i piani anche all’ultima Assemblea delle Nazioni Unite. E tutto è diventato più concretizzabile da quando gli Stati Uniti hanno abbandonato la tutela dei curdi lungo l’aerea di confine tra Siria e Turchia. 

Per Damasco riprendere Idlib significa di fatto chiudere la guerra civile e conquistare la strategica arteria stradale M5. Strategica perché la  M5 collega le due città più importanti della Siria: Damasco, la capitale amministrativa, e Aleppo, definita la capitale economica del paese. Mentre Damasco è sempre rimasta sotto il controllo di Assad, Aleppo fu in parte conquistata dai ribelli nel 2012, che poi la persero nel dicembre 2016 dopo una battaglia molto lunga e cruenta, vinta da Assad solo grazie all’aiuto di Hezbollah libanese, delle milizie iraniane e delle milizie sciite irachene, oltre che dei bombardamenti russi. La M5 passa inoltre in mezzo ad altre importanti città siriane, come Hama e Homs, e all’altezza della città di Sareqeb si collega all’autostrada M4, quella che porta fino a Latakia, roccaforte di Assad sulla costa, nella Siria occidentale.

Secondo alcune stime citate da Associated Press, prima della guerra da questa autostrada passavano beni e merci per 25 milioni di dollari al giorno. Tra le altre cose, la M5 era il passaggio usato per trasportare il grano e il cotone dall’est e dal nord della Siria al resto del paese; era anche la via attraverso la quale avveniva buona parte degli scambi commerciali con la Giordania, l’Arabia Saudita e altri stati arabi, oltre che la Turchia. Taleb Imbrahim, analista siriano, ha definito la M5 “la a più fondamentale e strategica autostrada di tutto il Medio Oriente”.

Quanto alla Russia, il suo obiettivo è ripulire del tutto il territorio, insieme all’Iran, Ankara invece ha fatto leva sulla costituzione Fronte di Liberazione Nazionale, una sorta di esercito irregolare, con il sostegno delle milizie jihadiste lì arroccate. Per assumere il controllo de facto del nord della Siria. 

Annota in proposito, in un documento report per Ispionline, Eugenio Dacrema, Ispi associate research fellow: “Ma se è soprattutto la Turchia che dalla potenziale caduta di Idlib rischia di più – sia nella veste di sponsor, umiliato, dell’opposizione, sia in quella di Paese rifugio per una nuova ondata di profughi – è il ruolo di mediatore quasi infallibile di Mosca che è ora sotto la luce dei riflettori. Da una parte i vertici russi sanno bene di non poter negare al regime una simbolica vittoria finale che solo la presa di Idlib può garantire. Assad ha bisogno di poter presentare all’opinione pubblica lealista la caduta dell’ultimo bastione dell’opposizione prima di sedersi, da una posizione di forza, a due tavoli ben più complessi: lo status finale nel nord-est e, soprattutto, la questione di Afrin e del triangolo Azaz-Al-Bab-Jarablous, occupati dalle forze turche tra il 2017 e l’inizio del 2018. A Mosca sanno che soprattutto quest’ultimo nodo sarà difficile da sciogliere e che il nord della Siria rischia di ritrovarsi nel lungo termine sotto protettorato turco, in una situazione simile al nord di Cipro, e che, proprio per questo, non possono negare ad Assad una vittoria “finale” ad Idlib. Ne va della credibilità del regime e, indirettamente, della credibilità di Mosca, che dall’intervento in Siria nel 2015 sta cercando di proporsi ai regimi autoritari del Medio Oriente come un alleato più affidabile e determinato degli Stati Uniti”. E’ questa la vera posta in gioco nella guerra totale tra il Sultano e il Rais. E a pagarne il prezzo più alto, la vita, sono i più deboli tra i deboli: i bambini.

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