Siria, la posta in gioco nella guerra tra Erdogan e Assad
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Siria, la posta in gioco nella guerra tra Erdogan e Assad

Erdogan ha dichiarato che "da oggi in poi se i soldati turchi subiranno danni colpiremo le forze del regime siriano ovunque"

Assad e Erdogan
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

12 Febbraio 2020 - 16.09


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È guerra totale tra Il Sultano di Ankara e il Raìs di Damasco.
“Da oggi in poi, se i nostri soldati nelle postazioni di osservazione (a Idlib, ndr) subiranno danni, colpiremo le forze del regime siriano ovunque, senza essere vincolati ai confini del memorandum di Sochi”. A lanciare il monito è il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, parlando al gruppo parlamentare del suo Akp ad Ankara.  
“Siamo decisi a respingere il regime al di fuori dei limiti stabiliti (con la Russia, ndr) nel memorandum di Sochi prima della fine di febbraio. Faremo il necessario sul terreno e con l’aviazione. Lo dico apertamente: dove verrà versato il sangue dei nostri soldati, nessuno sarà al sicuro. Al punto in cui siamo giunti, non chiuderemo gli occhi su nessun abuso. La Turchia non resterà spettatrice”, ha aggiunto Erdogan, precisando che le vittime turche a Idlib nei raid dell’artiglieria governativa degli ultimi 10 giorni sono salite a 14, una in più di quelle note in precedenza.

Guerra totale

Almeno 5 soldati turchi sono rimasti uccisi e altri 5 feriti da colpi d’artiglieria del regime siriano a nord di Idlib. Lo riferisce il mistero della Difesa di Ankara, aggiungendo che le forze turche hanno risposto al fuoco. “Gli sviluppi sono monitorati da vicino e le necessarie precauzioni sono state prese”, aggiunge la Difesa turca in una nota.
Sia la Siria che la Russia avevano attribuito la responsabilità dell’incidente al fatto che i soldati di Ankara non avevano comunicato i loro movimenti nella provincia di Idlib, ma per Ankara non basta.

L’agenzia governativa siriana Sana ha riferito che l’esercito di Damasco è avanzato nelle ultime ore lungo l’autostrada Hama-Aleppo ed è a un passo dal conquistare l’ultimo tratto di strada, chiusa a causa del conflitto da circa otto anni. 
Si combatte con intensità proprio a ridosso delle località che sorgono a sud-ovest di Aleppo lungo il tratto che da Saraqeb porta alla periferia di Aleppo. Saraqeb era stata conquistata dai governativi nei giorni scorsi dopo una battaglia cominciata a dicembre per riprendere il controllo anche di Maarrat an Numan, altra località chiave lungo l’autostrada Hama-Aleppo. Negli scontri di ieri altri 5 soldati turchi sono rimasti uccisi e 5 feriti in un bombardamento dell’artiglieria di Damasco, una settimana dopo la morte di altri 8 turchi – 7 militari e un civile – che aveva scatenato il più grave scontro da anni tra Ankara e Damasco. Immediata è stata anche stavolta la risposta dell’esercito di Erdogan, che da giorni rinforza le sue postazioni “di osservatori” nella provincia ribelle della Siria nordoccidentale con l’invio di truppe e mezzi blindati.

La Difesa turca parla di almeno 101 soldati siriani “neutralizzati” oltre a 3 carri armati e 2 lanciarazzi distrutti e un elicottero colpito, a quanto pare un Mil MI-8 il cui abbattimento è stato confermato anche dai ribelli del gruppo jihadista Tahrir al-Sham. Complessivamente gli obiettivi presi di mira finora sono 115, ma le operazioni militari “proseguono”.

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Un’escalation che aggrava ulteriormente una situazione già definita “fuori controllo” dall’ ufficio per il Coordinamento degli affari umanitari dell’Onu (Ocha), che stima da dicembre 689 mila sfollati verso la frontiera turca. Ankara ha avvisato di non essere in grado di accogliere nuovi rifugiati oltre ai 3,6 milioni di siriani che già ospita, minacciando di aprire se necessario le sue porte verso l’Europa.

Lo Zar furioso

La crisi che sta mettendo a dura prova l’intesa tra Erdogan e Putin che ha portato ad accordi strategici anche lungo il confine nord orientale della Siria. Ankara ha chiesto nuovamente a Mosca di rispettare i suoi compiti di “garante” della tregua di Sochi, fermando gli attacchi del regime. E anche l’Iran, terzo partner dei negoziati di Astana, esprime preoccupazione, ribadendo “di essere pronto a facilitare il dialogo tra i vicini fratelli Turchia e Siria”. L’obiettivo di Assad (e di Mosca) sembra essere quello di ottenere rapidi successi sul fronte nord occidentale ma senza attaccare direttamente gli avamposti turchi per mettere Ankara di fronte alla rapida riconquista della provincia e indurre le truppe turche al ritiro. I presidenti di Russia e Turchia, hanno discusso al telefono della situazione nella provincia siriana di Idlib e hanno sottolineato la necessità “della piena attuazione degli accordi esistenti tra Russia e Turchia”, compreso il memorandum di Sochi sulla Siria del 17 settembre 2018: lo fa sapere il Cremlino, ripreso dall’agenzia Interfax. Secondo il Cremlino, Putin ed Erdogan hanno discusso “vari aspetti delle attività mirate a risolvere la crisi siriana, concentrandosi sulla situazione nella zona di de-escalation di Idlib e sulla necessità di attuare pienamente gli accordi russo-turchi, compreso il memorandum del 17 settembre 2018”. Nel 2018, Russia e Turchia hanno siglato un memorandum per una zona demilitarizzata nella provincia di Idlib.
Nel corso della telefonata, inoltre, sempre stando al Cremlino, Russia e Turchia hanno concordato di continuare le consultazioni sulla Siria.
E intanto si fa sempre più drammatica la situazione umanitaria. Sono circa 700mila i civili siriani sfollati nella regione nord-occidentale di Idlib investita da più di due mesi dall’offensiva russo-governativa contro miliziani anti-regime controllati dalla Turchia. Lo riferisce l’Ufficio dell’Onu per il coordinamento umanitario (Ocha), secondo cui dal 1dicembre ad oggi sono 689mila i civili che hanno abbandonato le loro case o i campi profughi nella regione di Idlib e in alcuni distretti della confinante regione di Aleppo. L’Onu ricorda che l’80% di questi sfollati sono donne e bambini.

Il doppio gioco di Ankara

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Sfruttando gli accordi per la creazione di punti di osservazione all’interno di Idlib la Turchia si è garantita una presenza stabile sul territorio siriano, ma si è ben guardata dal disarmare i ribelli. Le forze islamiste più vicine ad Ankara sono state trasformate in milizie mercenarie e utilizzate per combattere i curdi nel nord est del paese e, in Libia, per difendere gli interessi turchi e il governo di Tripoli. Tutta la parte settentrionale e occidentale diI dlib resta però nelle mani di Tahrir al Sham, cononosciuta un tempo come Jabhat al Nusra, ovvero la costola siriana di al- Qaeda. Ad oggi i turchi si sono ben guardati dal disarmarla e, tanto meno, dal costringerla ad abbandonare i territori siriani. Anche perché questo significava trasferire sui propri territori 12mila incontrollabili veterani jihadisti.

In compenso i cosiddetti “posti di osservazione” turchi si sono trasformati in forze d’interposizione pronte a bloccare l’offensiva siriana contro Tahrir al Sham. La conferma di un sostanziale doppio gioco di Ankara decisa ad annettersi i territori di Idlib lungo il proprio confine è confermata dal progetto per la costruzione, sul versante siriano, di un migliaio di case in cui trasferire gli sfollati che affollano i campi profughi turchi. Un progetto a cui la Germania, ricattata con la minaccia del dirottamento dei migranti sulla rotta balcanica, contribuirà con 25 milioni di euro.

Rompendo sulla Siria Mosca rischia però di restituire la Turchia agli Usa. Un’opportunità che Washington sta già valutando. Per capirlo bastano le recenti dichiarazioni del Segretario di stato Mike Pompeo sull’escalation di Idlib. “L’azione destabilizzante della Russia, del regime iraniano, di Hezbollah e del regime di Assad – ha dichiarato Pompeo il 27 gennaio – impedisce un cessate il fuoco su scala nazionale e il sicuro rientro di centinaia di migliaia di sfollati alle proprie case nella Siria settentrionale”. Una dichiarazione seguita il 3 febbraio dalla piena solidarietà ad Ankara dopo gli scontri costati la vita a sette soldati turchi e ad oltre settanta di Damasco. “Stiamo con la Turchia nostro alleato nella Nato, inviamo le nostre condoglianze al governo turco per la morte dei propri militari e – dichiara Pompeo – ne appoggiamo pienamente l’azione di autodifesa”.

Idlib, la posta in gioco

A Idlib, su Idlib, può naufragare la “Jalta siriana” messa in essere, con le vittorie sul campo, dal patto a tre stretto da Vladimir Putin, Hassan Rouhani e Recep Tayyp Erdoğan. Un patto che la resa dei conti finale voluta da Bashar al-Assad, e sostenuta da Russia e Iran, può saltare per l’uscita del “Sultano di Ankara”. Sia chiaro: all’autocrate turco il tema della tragedia umanitaria serve essenzialmente per difendere gli interessi geopolitici della Turchia in quell’area cruciale della Siria. E poi c’è un altro punto di rilevanza strategica: la Turchia può accettare che Bashar al-Assad resti al potere a Damasco, ma ciò che non accetterà mai è che un rais rimasto in piedi essenzialmente grazie all’appoggio militare di Mosca e Teheran (e degli Hezbollah libanesi), possa ergersi a vincitore della “partita siriana” e pretendere di rientrare nel grande giro mediorientale. Su questo, Erdogan è pronto a rompere l’alleanza con Russia e Iran. E per farlo intendere ha ordinato all’esercito di rafforzare la propria presenza nell’area a ridosso di Idlib.

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Per Damasco riprendere Idlib significa di fatto chiudere la guerra civile e riprendere il controllo dell’autostrada M5 che dalla Giordania arriva in Turchia, fondamentale per le rotte di rifornimento, e della M4, che collega Aleppo a Latakia, città costiera roccaforte degli al-Assad, oltre che sede della base aerea russa di Hmeimim. La Russia intende ripulire del tutto il territorio, insieme all’Iran, Ankara invece ha fatto leva sulla costituzione Fronte di Liberazione Nazionale, una sorta di esercito irregolare, con il sostegno delle milizie jihadiste lì arroccate. Per assumere il controllo de facto del nord della Siria. 

Annota in proposito, in un documento report per Ispionline, Eugenio Dacrema, Ispi associate research fellow: “Ma se è soprattutto la Turchia che dalla potenziale caduta di Idlib rischia di più – sia nella veste di sponsor, umiliato, dell’opposizione, sia in quella di paese rifugio per una nuova ondata di profughi – è il ruolo di mediatore quasi infallibile di Mosca che è ora sotto la luce dei riflettori. Da una parte i vertici russi sanno bene di non poter negare al regime una simbolica vittoria finale che solo la presa di Idlib può garantire. Assad ha bisogno di poter presentare all’opinione pubblica lealista la caduta dell’ultimo bastione dell’opposizione prima di sedersi, da una posizione di forza, a due tavoli ben più complessi: lo status finale nel nord-est e, soprattutto, la questione di Afrin e del triangolo Azaz-Al-Bab-Jarablous, occupati dalle forze turche tra il 2017 e l’inizio del 2018. A Mosca sanno che soprattutto quest’ultimo nodo sarà difficile da sciogliere e che il nord della Siria rischia di ritrovarsi nel lungo termine sotto protettorato turco, in una situazione simile al nord di Cipro, e che, proprio per questo, non possono negare ad Assad una vittoria “finale” ad Idlib. Ne va della credibilità del regime e, indirettamente, della credibilità di Mosca, che dall’intervento in Siria nel 2015 sta cercando di proporsi ai regimi autoritari del Medio Oriente come un alleato più affidabile e determinato degli Stati Uniti”. E’ questa la vera posta in gioco nella guerra totale tra Erdogan e Damasco.

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