In Libia riparte la guerra del petrolio e l'oro nero 'sommerge' la conferenza di Berlino
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In Libia riparte la guerra del petrolio e l'oro nero 'sommerge' la conferenza di Berlino

La Francia sta bloccando una dichiarazione di condanna di Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Italia contro il blocco delle installazioni del petrolio deciso da Haftar alla vigilia del vertice di Berlino.

Guerra civile in LIbia
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

21 Gennaio 2020 - 18.38


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L’oro nero sommerge la Conferenza di Berlino. E ne svela il suo repentino fallimento. Perché, come più volte documentato da Globalist, quella in atto in Libia non è “solo” una guerra per procura, ma è, soprattutto la “guerra del petrolio”.

Condotta dall’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar che ha iniziato a strangolare l’industria petrolifera e quindi il governo di Tripoli. E la Francia che blocca una condanna dell’Europa e degli Usa del blocco dei terminal deciso da Haftar.  Secondo fonti del Governo di accordo nazionale, guidato da Fayez la-Sarraj,  la Francia sta bloccando una dichiarazione di condanna di Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Italia contro il blocco delle installazioni del petrolio deciso da Haftar alla vigilia del vertice di Berlino. “Questo è un atto di guerra gravissimo, di cui i governi europei capiscono perfettamente le conseguenze per il nostro paese”, dice una fonte importante del Governo di  Tripoli. “Ma ancora una volta la Francia blocca ogni condanna per sostenere il suo alleato Khalifa Haftar. Mentre è partito un assedio economico per strangolare la nostra popolazione”. La Francia “sta bloccando l’emissione di una dichiarazione congiunta dei Paesi occidentali” per condannare la “chiusura di porti e campi petroliferi” imposta dal generale Kahlifa Haftar e per chiedere “di riaprirli immediatamente”.

La segnalazione arriva da Ashraf Shah, un esponente di spicco vicino all’esecutivo del premier Fayez al-Sarraj. “I Paesi emetteranno quindi dichiarazioni individuali sulla loro posizione”, ha aggiunto su Twitter. La prima delle quali è made in Usa.  “Le operazioni petrolifere in Libia “devono riprendere immediatamente”. Lo afferma l’ambasciata americana.

I pozzi della discordia

Prima, durante, e dopo la Conferenza di Berlino, Haftar non ha allentato la morsa sulla produzione e l’esportazione del petrolio libico, una forte arma negoziale nelle sue mani per far sentire il proprio peso. Dopo avere bloccato alla vigilia della conferenza i terminal petroliferi della Sirte, nel giorno del summit le sue forze hanno fatto interrompere la produzione del più grande campo petrolifero libico, quello di Sharara, e di quello di El Feel, gestito da Eni. Una milizia vicina ad Haftar ha bloccato l’oleodotto che trasporta il greggio dal giacimento alla raffineria di Zawiya, sulla costa del Mediterraneo. Sia i pozzi che la raffineria sono gestiti dalla “MOG”, Mellitah Oil & Gas, la società in joint venture fra Noc e l’italiana Eni. Quindi di fatto sono stati bloccati i pozzi dell’Eni. “È probabile – rimarca Sissi Bellomo sul Sole24Ore- he molti dei clienti lasciati a secco siano italiani. L’anno scorso il 12,1% delle nostre importazioni di greggio sono arrivate proprio dalla Libia, secondo l’Unione petrolifera (dati riferiti a gennaio-novembre 2019), volumi ancora importanti, benché ridotti rispetto a un tempo: durante il regime di Gheddafi, caduto nel 2011, Tripoli era responsabile di quasi un terzo delle nostre forniture”.

Già sabato la Noc era stata costretta a bloccare la produzione di petrolio in cinque terminal petroliferi dell’Est, anche in questo caso per ordini arrivati da milizie legate ad Haftar. “Non c’è dubbio che la chiusura dei pozzi nel Golfo di Sirte mostri che i sostenitori di Haftar nell’Est stiano alzando la voce e mostrando la forza per ricordare ai partecipanti a Berlino e alla comunità internazionale che le rimostranze che sono alla base del conflitto resistono e sono ancora irrisolte. Uno dei temi è che le rendite del petrolio che finiscono nella Banca Centrale di Tripoli vengano consegnate all’Est, in relazione al fatto che le forze militari che fanno capo al Libyan National Army di Haftar garantiscono il flusso del greggio, producendo dunque quelle entrate. La seconda richiesta, implicita in questo blocco, è quella di cambiare il capo della Banca Centrale» sdice a Francesca Mannocchi de L’Espresso, Claudia Gazzini, senior analyst per l’International Crisis Group. “Come sempre in Libia, si scrive guerra e si legge gas rimarca Mannocchi, profonda conoscitrice della realtà libica , ed autrice d’importanti inchieste sulle rotte della morte nel Mediterraneo -.  E’ stato così storicamente. Lo è con maggiore nettezza oggi. Parte della guerra di Libia si gioca sui pozzi e le raffinerie nel Paese, ma ormai una parte consistente si gioca nel Mediterraneo orientale. Zona di perforazione, e sede di progetti di gasdotti, zona in cui confluiscono ambizioni contrapposte. Il petrolio è un ricatto rivolto all’interno e un ricatto agli alleati esterni”.

Parigi doppiogiochista

Il documento richiesto dal governo Sarraj agli Stati Uniti esprime la condanna per il fatto che “la Noc sia stata obbligata a sospendere le operazioni in installazioni critiche in tutta la Libia, e chiede l’immediata riapertura degli impianti della Noc (…) Noi sosteniamo anche l’immediata interruzione di afflusso di forze straniere in Libia, ma non c’è nessuna giustificazione per questo attacco pericoloso contro l’economia libica. Noi chiediamo a tutte le parti di assicurare che la Noc possa adempiere al suo mandato a favore di tutti i cittadini e ricordiamo che la Noc è la sola compagnia petrolifera indipendente e legittima in Libia”. Ma così non la pensa Haftar e neanche l’inquilino dell’Eliseo, Una fonte del Governo di Tripoli scrive Vincenzo Nigro inviato di Repubblica in Libia, aggiunge un particolare: “La Francia oltre a fare il lavoro per Haftar nella Ue, sta lavorando per attaccare la Banca Centrale e la Noc, vogliono inserirsi nei 30 miliari di dollari di lavori che l’industria petrolifera si sta preparando ad appaltare perché dopo 9 anni di guerra civile in un modo o nell’altro questi lavori, questi investimenti andranno avviati”.

Roma  spiazzata

Sul blocco dell’export del greggio libico “dobbiamo evitare iniziative di questo genere, quindi dobbiamo fermare non solo azioni militari ma anche azioni come queste che possano mettere a repentaglio il recupero di risorse energetiche. Sono azioni che possono alterare il clima non meno delle opzioni militari, e io confido che anche su questo si possa ritrovare una piena convergenza tra tutti i Paesi”, dice il premier Conte a Firenze, parlando con i giornalisti della decisione del generale Haftar di chiudere i pozzi di petrolio in Libia bloccando le esportazioni.

Sul dossier Libia “il passaggio a Berlino di domenica è stato importante per ribadire l’unità della comunità internazionale pur nella divergenza di opinioni, perché è inutile nasconderlo. Ci sono diverse posture, diverse opinioni e diversi concreti atteggiamenti, ma ci siamo ritrovati tutti su alcuni punti essenziali. Innanzitutto dobbiamo perseguire il cessate il fuoco, dobbiamo far rispettare l’embargo per le armi” dice il premier.

Embargo, questo sconosciuto

A Berlino, i partecipanti alla Conferenza sulla Libia hanno partorito una Dichiarazione di 55 punti, tra i quali l’impegno a rispettare l’embargo di armi; embrago decretato dall’Onu nel 2011 e mai rispettato. E la storia si ripete. I due contendenti, rimarca in un documento report  AnalisiDifesa, “continuano a ricevere armi e mezzi dai loro sponsor internazionali. Nell’ultima settimana l’LNA ha messo in servizio i veicolo da trasporto protetti Terrier LT-79 (nella foto sotto) realizzati dalla statunitense The Armoured Group (TAG) e consegnati nel dicembre 2019.La 106a brigata dell’LNA ne mostrò almeno otto in un video pubblicato il 9 dicembre di una parata della Special Operations Force. I veicoli erano armati di mitragliatrici leggere.TAG ha una grande attività nel settore dell’armatura di veicoli come Toyota Land Cruisers, Toyota Hilux e altri veicoli commerciali e dispone di stabilimenti produttivi a Detroit, negli Emirati Arabi Uniti, in Giordania e in Germania. Numerosi paesi stranieri hanno fornito veicoli blindati e altre attrezzature alla Libia, tra cui Egitto, Turchia e Emirati Arabi Uniti (Emirati Arabi Uniti). Dal 2014, gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto hanno fornito all’LNA veicoli corazzati Panthera T6, Typhoon e Caiman, aerei da combattimento MiG-21 ed elicotteri da attacco Mi-24/35P, aiutando l’LNA. Quanto a Sarraj, Le forze a lui fedeli hanno ottenuto dalla Turchia veicoli, armi e munizioni, compresi i veicoli protetti BMC Kirpi II e Vuran. Il 17 gennaio sono sbarcati a Tripoli sistemi antiaerei per rinforzare le difese dell’aeroporto Mitiga.  Si tratterebbe, sempre secondo quanto si apprende, dei semoventi antiaerei Korkut armati di cannoni a tiro rapido da 35 millimetri, missili antiaerei Hawk XXI e veicoli dotati di contromisure elettroniche (Koral o Milkar-3A3 secondo la Rivista Italiana Difesa). Le forze turche in Libia potrebbero contare a oggi circa 2mila unità incluso 350 membri delle forze speciali e oltre un migliaio di mercenari siriani che hanno già sofferto alcune perdite in battaglia”. E questo sarebbe il rispetto dell’embargo… “Nel Mediterraneo c’è la Nato che dà sostegno alla missione Sophia ma se l’Ue chiede un maggiore aiuto possiamo applicare l’embargo sulle armi in Libia”, dice il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, alla commissione Affari esteri del Parlamento europeo. “Credo sia molto importante sottolineare la cooperazione fra l’Ue e la Nato, anche se siamo due organizzazioni diverse”, ha precisato. 

Quanto all’Italia, vale quanto scritto da Eugenio Dacrema, Ispi associate research fellow: : “Dal Processo di Berlino esce in modo inoppugnabile la triste fotografia del ridimensionato ruolo italiano nella vicenda libica. Se con i negoziati Onu che avevano portato alla formazione del GNA l’Italia era riuscita e ritagliarsi un ruolo dominante nel processo politico, i tentennamenti mostrati dopo l’escalation militare voluta da Haftar e i suoi sponsor ne hanno deteriorato la posizione, in modo apparentemente irrimediabile. Da una parte, Al-Sarraj ha ormai trovato in Erdogan il suo alleato più importante, l’unico disposto a concedergli il supporto militare di cui ha bisogno. Dall’altra, se l’Italia dovesse decidere di spostare il proprio peso su Haftar si troverebbe a essere l’ultima di una lunga fila di sponsor – Emirati, Egitto, Francia e Russia – con cui il generale ha debiti ben più ingenti da ripagare”. Da pagare con l’oro nero.

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