Anche se non applicata dal 1994, sono ancora 155 i detenuti marocchini condannati a morte
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Anche se non applicata dal 1994, sono ancora 155 i detenuti marocchini condannati a morte

L'ultimo condannato fucilato, in una foresta, legato ad un albero, fu un potentissimo funzionario dei servizi segreti, stupratore serale. Molti dei condannati affetti da turbe psichiche

Mohamed Tabi, l'ultima vittima della condanna a morte in Marocco
Mohamed Tabi, l'ultima vittima della condanna a morte in Marocco
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20 Febbraio 2018 - 08.54


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Nelle carceri marocchine, anche se nel Regno non vengono compiute esecuzioni capitale dal 1994, sono 115 i detenuti condannati alla pena capitale. A rendere noto il dato è stato il procuratore generale Mohamed Abdennabaoui, il più alto grado della magistratura inquirente, nel corso di un incontro con il corpo diplomatico marocchino.
In Marocco, anche se la giustizia continua ad emettere condanne a morte, esse non vengono eseguite da 24 anni. L’ultima fu quella del potentissimo funzionario dei servizi segreti Mohamed Mustapha Tabit, fucilato il 5 settembre del 1994, legato ad un alberto della foresta di Kenitra. Il funzionario – religiosissimo e devoto alla famiglia, come lo definirono i conoscenti – era stato arrestato per possesso di video pornografici, che vedevano coinvolte 500 donne, per molestie sessuali, deflorazione, stupro violento, sequestro di persona, atti di barbarie ed incitamento alla depravazione.
Mohamed Abdennabaoui anche precisato che le grazie reali consentono di commutare le condanne a morte in ergastolo, come ad esempio nel 2016, quando il sovrano ha deciso di perdonare 23 condannati alla pena capitale, che ora scontano una pena perpetua.
La Coalizione per l’abolizione della pena di morte in Marocco da tempo si batte per la cancellazione dal codice della pena capitale, per chiudere definitivamente i ‘bracci della morte’ nelle carceri del Regno. braccio della morte nelle carceri”. Tanto più che la Coalizione si dice convinta che ormai molti degli ospiti dei ‘bracci della morte’ sono “vecchi e malati di mente, privati di tutti i legami familiari e che vivono tra solitudine e depressione”.

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