Kim Jong-un continua con le purghe: silurato il capo degli 007
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Kim Jong-un continua con le purghe: silurato il capo degli 007

L'accusa: corruzione, abuso di potere e abusi dei diritti umani. Ma è un pretesto

Kim Jong-un
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3 Febbraio 2017 - 21.32


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 Un dittatorello da fumetto, in un paese sedicente comunista. Peccato sdolo che l’idea socialista e comunista non prevede l’esistenza di una “monarchia” dove il potere si passa da padri in figlio.
La Corea del Nord va avanti con le sue ‘purghe’ interne: fra le poche notizie che l’isolato e chiuso regime comunista lascia trapelare. A farne le spese, secondo le informazioni raccolte dall’informatissimo ministero per la Riunificazione di Seul, è uno strettissimo collaboratore del giovane dittatore Kim Jong-un: addirittura il capo dei servizi segreti di Pyongyang, nonché ministro alla sicurezza nazionale, Kim Won-hong. L’accusa: «corruzione, abuso di potere e abusi dei diritti umani», secondo formulazioni piuttosto generiche.
La sua sorte, fanno sapere fonti informate sudcoreane, è ignota, ma si presume che non farà la brutta fine che il monolitico regime ha fatto fare – o ha voluto far credere di aver fatto fare – ad alcuni potenti, sbranati vivi dai cani o fucilati con un cannoncino antiaereo, a volte per un’apparente inezia, come un pisolino durante un discorso pubblico del leader. Secondo le fonti, l’ex capo degli 007 potrebbe essere stato espulso per sempre dal potere, oppure gli potrebbe essere stata offerta la possibilità di rientrare nel “cerchio magico” di Kim Jong-un dopo essersi sottoposto a “rieducazione”. Un precedente, spiegano a Seul, ci sarebbe: quello di Choe Ryong-hae, altro stretto collaboratore, riammesso nei ranghi nel 2015 dopo la “rieducazione” in un centro in campagna. Ma – fa notare il portavoce del ministero alla Riunificazione sudcoreano, Jeong Joon-hee – la punizione potrebbe non essere così ‘lieve’, se dall’indagine dovessero emergere altri reati nel suo curriculum di uomo-chiave del regime.

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Sia come sia, gli osservatori fanno notare come tutto questo sia indice di una crisi del sistema di potere di Pyongyang: una strenua difesa e una resa dei conti che però rischia di minare, o almeno creare defezioni nel cuore del potere.
Da quando nel 2011 è diventato il padrone del Paese, raccogliendo il testimone dal padre, il “caro leader” Kim Jong-il, Kim Jong-un ha instaurato un regime di terrore, con una catena di esecuzioni eccellenti che non hanno risparmiato veramente nessun livello di potere o anche grado di parentela col leader: la più spettacolare di queste purghe fatte emergere ad arte è quella di un potente zio di Kim, Jang Song-thaek, marito della sorella di Kim Jong-il, che fino al 2013 era considerato il ‘numero due’ del regime, accusato di “tradimento” e passato per le armi insieme a una decina di collaboratori. Inizialmente si era diffusa la notizia che fosse stato dato in pasto a cani affamati, anche se in molti sospettano che si trattasse di una “bufala” messa in giro da blogger cinesi. Ma solo nel biennio 2012-13, secondo fonti informate di Seul, sono state eseguite almeno 57 condanne a morte ordinate da Kim. Nel 2015 è stata ufficialmente confermata l’esecuzione dell’ex ministro della Difesa e capo delle Forze armate, Hyon Yong-chol, giustiziato, secondo Seul, a colpi di contraerea: stessa fine riservata nell’agosto di quest’anno a due funzionari di alto livello, colpevoli di aver “disatteso ordini”. Sotto la falce perfino un vicepremier, Choe Yong-gon, che avrebbe criticato la politica di forestazione, la cui esecuzione però non è mai stata confermata da Pyongyang. Nei soli primi 9 mesi del 2016, il tetro conteggio avrebbe fatto un salto in avanti: 64 esecuzioni. A ulteriore riprova della crisi, la fuga in un Paese europeo la scorsa estate del “tesoriere” del regime con la chiave a 400 milioni di dollari di cassa. Una defezione eccellente costata alla Corea del Nord un nuovo giro di vite nell’establishment a nord del 38mo parallelo.

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