Niente reinstaurazione della pena di morte – almeno per ora – ma tre mesi di stato di emergenza: il ritorno di Recep Tayyip Erdogan ad Ankara, dove ha presieduto ieri una riunione del Consiglio di Sicurezza nazionale, ha sancito un nuovo passo avanti nella repressione del fallito golpe delle settimana scorsa.
L’arresto del giornalista. Intanto Ankara annuncia la sospensione dei diritti umani. E nel contempo arriva la notizia dell’arresto a Istanbul di Orhan Kemal Cengiz, noto editorialista del quotidiano Ozgur Dusunce e soprattutto avvocato per i diritti umani, e di sua moglie Sibel Hurtas, giornalista del magazine Al Monitor. La coppia è stata fermata dalla polizia all’aeroporto “Ataturk di Istanbul”. Sibel Hurtas è stata successivamente rilasciata. Nei giorni scorsi, il nome di Cengiz era apparso in una presunta lista nera comprendente decine di giornalisti, diffusa da un account Twitter a sostegno di Erdogan. Il profilo Twitter di Cengiz è ancora attivo e ha appena retwittato l’annuncio dell’arresto del giornalista da parte di Andrew Gardner di Amnesty International.
In manette 32 giudici e 2 ufficiali militari. Almeno 32 altri giudici sono stati arrestati in Turchia con l’accusa di legami con la rete di Fethullah Gulen, accusato da Ankara del fallito golpe. Lo riporta l’agenzia statale Anadolu. In manette sono finiti anche altri 2 militari. Ieri sera, prima di annunciare lo stato d’emergenza per 3 mesi, il presidente Recep Tayyip Erdogan aveva fissato a 9.002 il numero degli arresti già effettuati
È attesa per oggi dal Parlamento turco la formale ratifica dello stato di emergenza per tre mesi annunciato ieri sera da Erdogan e l’investitura del presidente dei nuovi poteri speciali. L’Akp, il partito di Erdogan, controlla la maggioranza con 317 membri su 550.
Tra i partiti di opposizione, i nazionalisti del Mhp hanno deciso di appoggiare la decisione dello stato d’emergenza perché “nell’interesse nazionale”, ha dichiarato il leader Devlet Bahceli. Profondo allarme, invece, nel principale partito di opposizione, il repubblicano Chp. “Questa è disonestà, ingratitudine, un golpe civile contro il Parlamento”, ha denunciato a Cnn Turk il deputato e capogruppo Ozgur Ozel, prima dell’inizio della seduta. Per l’Hdp, partito per i diritti delle minoranze in cui trovano ampia rappresentanza i curdi, “il tentativo di golpe del 15 luglio – si legge in una nota – si è trasformato in un’opportunità e uno strumento per liquidare chi contesta il governo e per limitare ulteriormente i diritti democratici e le libertà. La gente è stata costretta a scegliere tra un golpe e un regime. Respingiamo con forza entrambe le opzioni”.
Neanche con le stragi Isis. Lo stato di emergenza – a cui il governo turco non aveva fatto ricorso neanche dopo i sanguinosi attentati terroristici attribuiti all’Isis o al Pkk – permette infatti di imporre il coprifuoco, restringere il diritto di manifestare e limitare la libertà di movimento.
Una misura che lo stesso Erdogan ha definito “necessaria per eradicare rapidamente tutti gli elementi dell’organizzazione terroristica implicati nel tentativo di colpo di Stato”, ovvero i sostenitori del presunto mandante del golpe, l’imam Fethullah Gulen, attualmente in esilio negli Stati Uniti. In una intervista ad Al Jazeera, il presidente tornato ad Ankara cinque giorni dopo il tentato golpe è stato chiaro: “altri nomi arriveranno nei prossimi giorni. Non abbiamo ancora finito”. Prima di assicurare che comunque la Turchia “non si allontanerà mai dal sistema della democrazia parlamentare”.
A dire il vero, senza fare ricorso ad alcun provvedimento di natura straordinaria in soli sei giorni il governo turco ha già identificato e sospeso dagli incarichi o arrestato circa 55mila persone fra militari e funzionari pubblici, compresi centinaia di imam: nel mirino sono finiti in modo particolare – oltre a una parte della cupola militare e della magistratura – funzionari e docenti del Ministero della Pubblica istruzione, fino ad arrivare al richiamo degli accademici attualmente all’estero.
Berlino: no alla caccia alle streghe. La Germania ha lanciato un nuovo appello alla Turchia, chiedendo punizioni proporzionate a quanto accaduto e di evitare una caccia alle streghe. Lo stato d’emergenza, che consente al governo di governare per decreto, ha spiegato il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, “deve essere limitato al tempo necessario e poi revocato immediatamente. Prolungarlo significa indebolire la Turchia sia all’interno che all’esterno”.
Steinmeier ha chiesto quindi ad Ankara di “rispettare i principi dello stato di diritto” e di “mantenere la giusta misura delle cose” ed evitare la caccia alle streghe.
Altri Paesi coinvolti nel golpe. Ma Erdogan non punta il dito solo contro il suo ex alleato: “Altri Paesi potrebbero essere coinvolti” nel golpe, che “potrebbe non ancora essere finito”, ha avvertito senza citare nessuno in particolare, ma invitando ad esempio il ministro degli Esteri francese, Jean-Marc Ayrault, a “farsi gli affari suoi”.
Oltre a Parigi, anche Berlino ha ribadito le critiche alle continue “iniziative contrarie a un modus operandi che rispetti lo stato di diritto”; dopo l’appello del presidente Barack Obama a rispettare i “valori democratici” nelle indagini, Washington ha rinunciato anche alle circonlocuzioni diplomatiche e il Segretario di Stato John Kerry si è limitato a dare il proprio sostegno al governo, senza commentare in alcun modo le purghe in corso.
Grane per Obama. L’Amministrazione Obama si trova di fatto in una situazione assai scomoda, non meno dell’Unione Europea anche se per motivi in parte diversi: Erdogan non ha esitato ad accusare Washington di essere coinvolta nel golpe esigendo quasi a mo’ di smentita l’immediata estradizione di Gulen, e dalla sua Ankara ha in mano una importante carta negoziale, la base Nato di Incirlik.
La base Nato di Incirlik. A Incirlik sono di stanza la maggior parte dei circa 2.500 militari statunitensi che si trovano in Turchia ed è una delle principali basi operative e logistiche per le operazioni militari contro lo Stato Islamico (Isis), ma in generale uno dei pezzi essenziali della scacchiera strategica americana nella regione. Ankara ha già mandato un avviso: nelle ore successive al golpe la base è stata accerchiata e privata di forniture elettriche, ufficialmente per permettere la cattura di alcuni ufficiali dell’aeronautica militare turca, considerata l’arma maggiormente coinvolta nel golpe e il cui comandante, Akin Ozturk, è stato arrestato.
Non è l’unico: dietro le sbarre sono finiti altri 98 fra generali ed ammiragli, tra i quali anche l’aiutante di campo di Erdogan, Ali Yacizi: tutti in attesa di processo insieme ad altre migliaia di ufficiali e soldati. In tutto sono oltre 9mila le persone in stato di fermo od arresto, senza peraltro che sia chiaro se siano compresi fra i 55mila sospesi dal servizio.
Erdogan peraltro continua a tenere il piede sull’acceleratore: ha chiesto ai suoi sostenitori di rimanere mobilitati e di scendere di nuovo in piazza, mentre l’aviazione turca ha colpito el postazioni del Pkk in Irak, prova che il governo avrebbe ripreso del tutto il controllo delle forze armate. Chi non si mostra troppo ottimista sull’evoluzione futura della situazione sono le agenzie di rating: SP Global Ratings ha abbassato la nota turca da BB+ a BB.